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sabato 3 febbraio 2018
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noioso
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vanessa zarastro
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venerdì 2 febbraio 2018
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giornalismo d’inchiesta
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Al film è stata fatta una notevole campagna pubblicitaria compresa la presenza dei due fantastici interpreti nella trasmissione televisiva di Fazio la domenica sera. Si è detto e letto molto quindi è difficile dire qualcosa di originale o di diverso.
Posso dire che vedendo il film mi è venuta un’immensa nostalgia di quelle epoche. Era facile capire dov’era il giusto e dove l’errore, chi erano i buoni e chi i cattivi. Le battaglie contro la guerra del Vietnam hanno unito generazioni di giovani pacifisti determinando, in tutto il pianeta, massicce manifestazioni, veglie e marce richiedenti giustizia e fine della guerra. Il mondo sembrava più semplice e il giornalismo (stampato e televisivo) aveva un ruolo fondamentale capace perfino di far cambiare gli eventi.
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Al film è stata fatta una notevole campagna pubblicitaria compresa la presenza dei due fantastici interpreti nella trasmissione televisiva di Fazio la domenica sera. Si è detto e letto molto quindi è difficile dire qualcosa di originale o di diverso.
Posso dire che vedendo il film mi è venuta un’immensa nostalgia di quelle epoche. Era facile capire dov’era il giusto e dove l’errore, chi erano i buoni e chi i cattivi. Le battaglie contro la guerra del Vietnam hanno unito generazioni di giovani pacifisti determinando, in tutto il pianeta, massicce manifestazioni, veglie e marce richiedenti giustizia e fine della guerra. Il mondo sembrava più semplice e il giornalismo (stampato e televisivo) aveva un ruolo fondamentale capace perfino di far cambiare gli eventi. Basti pensare al ruolo che ha avuto nella storia americana Edward R. Murrow che nel 1953 condusse dagli studi della CBS una feroce battaglia contro il Senatore Mc Carthy e contro le sue liste di prescrizione. Su Murrow George Clooney ha costruito il suo (forse) miglior film da regista Good Night, Good Luck del 2005, tutto in bianco e nero. Pensiamo inoltre a Walter Leland J. Cronkite, chiamato appunto da Murrow alla CBS, famoso e potente conduttore del telegiornale dal 1962 al 1981, ed editor di “CBS Evenig News”.
Il mondo americano è un mondo puritano, e non cattolico, dove la fiducia è la base di tutti i rapporti, ma dove non è perdonato il tradimento della fiducia stessa. I due temi che tratta il film The Post sono appunto il tradimento della fiducia di ben quattro presidenti (Dwight D. Eisenhower, John F. Kennedy, Lyndon B. Johnson, Richard Nixon) e il tema della libertà di stampa, libertà innanzi tutto nei confronti del Governo. Da sempre la stampa anglosassone è fedele a un principio di informazione - non conosce il giornalismo d’opinione tanto caro ai nostri giornali – e tutta una serie di norme deontologiche regola i rapporti con la veridicità dei dati, con il controllo delle fonti di informazione e così via. O almeno così era.
Nella seconda metà degli anni ’60 vengono alla luce i documenti del famoso rapporto Mc Namara, Segretario della Difesa degli Stati Uniti dal 1961 al 1968 durante la Guerra del Vietnam, sotto la presidenza Kennedy prima e Johnson poi. Il rapporto fu stampato parzialmente dal New York Times e dal Washington Post colpiti da un’ingiunzione della Corte Suprema. accusati entrambi di sovvertimento.
Il film The Post termina dove inizia Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula del 1976 dove Bob Woodward e Carl Bernstein giovani cronisti del Washington Post, inizieranno un’inchiesta che porterà all’apertura della procedure di impeachment del 1974 nei confronti di Richard Nixon.
Costruito in modo perfetto dal gran mestiere di Steven Spielberg, il film The Post mostra le due recitazioni magistrali di Meryl Streep nei panni di Katharine Graham, proprietaria del giornale Washington Post e di Tom Hanks in Ben Bradlee, il suo direttore.
Trovo che il tema del giornalismo d’inchiesta sia ormai diventato un genere cinematografico, e senza togliere nulla a The Post non posso non menzionare come esempio recente, l’ottimo film Il caso Spotlight di Tom McCarthy del 2015, vincitore del premio Oscar come miglior film di due anni fa.
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marionitti
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venerdì 2 febbraio 2018
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tutto qui?
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Al cinema mi sono seduto bello carico di attese. La squadra stellare, con Spielberg dietro la macchina da presa, c'era una storia importante, che riguardava questioni scottanti e sempre attuali, il tema era quello del giornalismo che è tra i miei preferito. Due ore per raccontare la decisione del Post se sfidare Nixon e rischiare l'incriminazione pubblicando documenti segreti sulla guerra nel Vietnam. Alla fine mi sono alzato chiedendomi: "Tutto qui?" Ho assistito ad un compito ben svolto, inquadrature da manuale, fotografia d'epoca, la frase giusta al momento giusto, l'enunciazione di qualche principio irrinunciabile e solenne, ma non mi sono emozionato, non mi sono scandalizzato, non ho percepito la tensione morale dei protagonisti.
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Al cinema mi sono seduto bello carico di attese. La squadra stellare, con Spielberg dietro la macchina da presa, c'era una storia importante, che riguardava questioni scottanti e sempre attuali, il tema era quello del giornalismo che è tra i miei preferito. Due ore per raccontare la decisione del Post se sfidare Nixon e rischiare l'incriminazione pubblicando documenti segreti sulla guerra nel Vietnam. Alla fine mi sono alzato chiedendomi: "Tutto qui?" Ho assistito ad un compito ben svolto, inquadrature da manuale, fotografia d'epoca, la frase giusta al momento giusto, l'enunciazione di qualche principio irrinunciabile e solenne, ma non mi sono emozionato, non mi sono scandalizzato, non ho percepito la tensione morale dei protagonisti. Troppi "non" per essere soddisfatto.
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eugenio
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venerdì 2 febbraio 2018
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spielberg e la libertà di stampa
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Si respira odore di rotativa, prima del Numero 1, prima della stampa dell’articolo.
Come in televisione, la macchina lavora a tutto spiano, la pressa schiaccia e il momento topico che precede la pubblicazione in cui si consacra il coacervo di umano e robotico, di dettagli di viti, macchinari oliati, vasche di inchiostro e di una grande massa di carta spostata su caratteri mobili finalmente impressi, ha inizio.
Quarto potere. Alzi la mano chi non se lo ricorda.
Un film che ha mostrato sin da subito i limiti del libero arbitrio della carta stampata e le connivenze tra partiti politici oltre che le influenze che i poteri forti palesano sui mezzi di informazione.
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Si respira odore di rotativa, prima del Numero 1, prima della stampa dell’articolo.
Come in televisione, la macchina lavora a tutto spiano, la pressa schiaccia e il momento topico che precede la pubblicazione in cui si consacra il coacervo di umano e robotico, di dettagli di viti, macchinari oliati, vasche di inchiostro e di una grande massa di carta spostata su caratteri mobili finalmente impressi, ha inizio.
Quarto potere. Alzi la mano chi non se lo ricorda.
Un film che ha mostrato sin da subito i limiti del libero arbitrio della carta stampata e le connivenze tra partiti politici oltre che le influenze che i poteri forti palesano sui mezzi di informazione.
Spielberg nel suo ultimo film candidato agli Oscar, The post, si muove nei meandri della regia d’inchiesta confezionando un omaggio alla libertà di stampa alla Citizen Kane in un periodo difficile ostacolato da trumpismi e forme dittatoriali che vorrebbero farla tacere.
Libertà sfumata nel coraggio nell’amore, sempreterno e catartico per le rotative e la carta stampata, desueta trasfigurazione in caratteri mobili del linguaggio cinematografico.
In breve, poche sequenze dopo l’inizio del film, ecco apparire lo scandalo. I Pentagon Papers, documenti riservati che proverebbero come il governo avesse mentito ai cittadini (e non solo), durante la guerra in Vietnam, provocando lo scandalo dell’amministrazione Nixon, furono divulgati nel 1971 da Daniel Ellsberg, economista vicino al Pentagono.
Migliaia di pagine che il New York Times rivelò all’opinione pubblica sospendendo poi la pubblicazione a causa di un'ingiunzione della corte suprema.
Il film segue quello che successe “dopo lo scandalo” focalizzandosi sul Washington Post o, meglio, sulle persone che quel giornale lo guidarono, rompendo ogni indugio contro una repressione investigativa, fallace nel rivelare l’identità di un mandante nell’ombra ma pronta a chiudere la bocca a chi fosse contrario al benpensare nixiano.
Grazie al coraggio del suo editore, Katharine Graham, prima donna al vertice di un quotidiano e del suo direttore, Ben Bradlee, rispettivamente interpretati da Meryl Streep e Tom Hanks, i nodi vengono al pettine, scontrandosi con i poteri forti, uno squarcio di luce nel buio delle tenebre dell’amministrazione politica, la stessa che pochi mesi dopo avrebbe affrontato un nuovo scandalo: Watergate.
The postin poco meno di due ore mantiene alta l’attenzione dello spettatore, non risultando mai banale o scontato. Crea intorno a lui un clima fremente, incerto, instabile non solo per mostrare i limiti (e il potere) della carta stampata ma figliando in un sotto-filone che in tralice nasconde il complesso ruolo della donna, qui prima voce di un giornale, responsabile di ogni parola del “suo” quotidiano (che da locale, arriverà in Borsa).
Spielberg si “fa donna” per mostrare le fragilità ma anche e soprattutto la determinazione del direttore che lotta in un mondo di uomini per qualcosa di normale ovvero mantenere la propria opinione su ciò che le appartiene.
Ed è curioso che in un film che non ha nulla del giornalismo investigativo, sia proprio Meryl Streep (recentemente membro attivo del movimento me-too contro la discriminazione sulle donne e la salvaguardia dei diritti del genere femminile) la portavoce di un dialogo importante, una frase fulminante, come si scoprirà nella pellicola.
In The post lo spettatore assiste a due antitesi che si fondono in una sola: quella personale di una donna pronta a tutto per abbattere la rete di omertà contro il conformismo, profondo e innaturale, avvinto all’emarginazione del sesso femminile.
Emerge sottile, ambigua, parlando per sguardi, toni della voce e immagini questa discriminazione ma arriva diretta al cuore nell’epica scena dell’entrata del giornale in borsa nonostante i tentennamenti, le rimostranze, le incertezze.
Così quando una camminata dell’editrice tra una folla di sole donne, in silenzio, si palesa agli occhi dello spettatore, ecco la commozione prender piede nella presa di posizione, nell’ nvito a rompere gli schermi, i vincoli, oltre il salotto borghese delle sale impomatate.
The post, in altre parole, due piccioni con una fava. In un colpo solo, un film capace di affermare, con dialoghi riusciti (aiutati da coprimari in stato di grazia), il potere dell’etica e della libertà di stampa e la presa di posizione femminile, simbolo di virtù e contrasto contro ogni forma di preponderazione dell’altro sesso.
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[+] spielberg e welles: mondi lontanissimi
(di clavius)
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mattiacau
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venerdì 2 febbraio 2018
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bel film
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clavius
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venerdì 2 febbraio 2018
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spielberg gioca sempre in casa
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Da decenni Spielberg gode di una sostanziale e diffusa ammirazione sia tra il pubblico che tra i critici. Non fa eccezione questo suo ultimo impalpabile lavoro ambientato negli anni 70, che riprende il gusto estetico di quel decennio con le sue carte da parati, le inquadrature dei soffitti, le contestazioni hippies (appena accennate) nelle strade.
Vorrebbe essere un'appassionante difesa del diritto di stampa, ma di appassionante c'è ben poco. Tutto sa di già visto e non vedo nessun coraggio nel riprendere una storia vecchia di quarant'anni che descrive Nixon per l'ennesima volta (come se ne sentissimo il bisogno) come un orco che vediamo solo di spalle, rancoroso, nel suo ufficio di notte, a dare ordini al telefono per impedire che una qualsivoglia notizia possa sfuggire al suo controllo.
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Da decenni Spielberg gode di una sostanziale e diffusa ammirazione sia tra il pubblico che tra i critici. Non fa eccezione questo suo ultimo impalpabile lavoro ambientato negli anni 70, che riprende il gusto estetico di quel decennio con le sue carte da parati, le inquadrature dei soffitti, le contestazioni hippies (appena accennate) nelle strade.
Vorrebbe essere un'appassionante difesa del diritto di stampa, ma di appassionante c'è ben poco. Tutto sa di già visto e non vedo nessun coraggio nel riprendere una storia vecchia di quarant'anni che descrive Nixon per l'ennesima volta (come se ne sentissimo il bisogno) come un orco che vediamo solo di spalle, rancoroso, nel suo ufficio di notte, a dare ordini al telefono per impedire che una qualsivoglia notizia possa sfuggire al suo controllo. E' innegabile che la figura di Nixon presenti parecchie ombre storiche, ma fa sorridere che il regista forse più influente di Hollywood se la prenda con l'America del passato e lo faccia con molta meno efficacia di quanto abbiano fatto i suoi straordinari colleghi che proprio in quegli anni esprimevano un cinema impegnato, sperimentale, rischioso e personale. Questo film impallidisce rispetto a quello che ci hanno regalato i vari Pollack, Coppola, Penn, Cassavetes, Pakula, Ashby a cavallo tra gli anni '60 e '70.
Spielberg invece va sul sicuro e gioca come sempre in casa. Il suo film non disturba il sonno di nessuno, si limita ad incensare la storia del suo paese fatta di battaglie per i diritti e difesa del bene tout court. Giustizia che trionfa sempre. Ci mancherebbe!! Nella ragnatela del suo cinema pavido c'è finita questa volta anche la Streep, costretta in un ruolo piagnucoloso peggiorato dal pessimo doppiaggio petulante.
E' il film che conferma che Spielberg è un regista che non rischia ed ha poco e niente da dire di serio ai suoi contemporanei, ma nello stesso tempo dimostra per l'ennesima volta una straordinaria capacità nel costruire film dopo film, mattone dopo mattone, le basi dell'immaginario hollywoodiano dominante degli ultimi 30 anni. Un regista di corte insomma, che ha speso tutto il suo straordinario talento per fare film privi di coraggio.
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rumon
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giovedì 1 febbraio 2018
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la stampa al servizio dei governati
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"La stampa è al servizio di chi è governato, non di chi governa": così la Corte Suprema dichiarò nel verdetto in favore del New York Times e del Washington Post, che avevano pubblicato i dossier sull'inutile spargimento di sangue in Viet-Nam che, come dice un personaggio, "al 10% fu a favore dei vietnamiti del sud; al 20% per combattere i comunisti e al 70% perché gli Stati Uniti non potevano apparire sconfitti". "The Post" racconta un giornalismo con la schiena dritta, capace di arrivare ai ferri corti col potere in nome di ideali, come libertà, anche libertà di stampa, democrazia, coscienza del proprio dovere morale nello svolgimento della propria professione.
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"La stampa è al servizio di chi è governato, non di chi governa": così la Corte Suprema dichiarò nel verdetto in favore del New York Times e del Washington Post, che avevano pubblicato i dossier sull'inutile spargimento di sangue in Viet-Nam che, come dice un personaggio, "al 10% fu a favore dei vietnamiti del sud; al 20% per combattere i comunisti e al 70% perché gli Stati Uniti non potevano apparire sconfitti". "The Post" racconta un giornalismo con la schiena dritta, capace di arrivare ai ferri corti col potere in nome di ideali, come libertà, anche libertà di stampa, democrazia, coscienza del proprio dovere morale nello svolgimento della propria professione. Il film racconta anche, oltre che di un direttore come Ben Bradlee (Tom Hanks), appartenente a una razza di giornalisti e di direttori di giornale che oggi non è più così ampiamente rappresentata, di un'editrice, Katharine Graham, che deve superare remore, pregiudizi, ostacoli interiori che le rendono più difficile che a un uomo esercitare la sua professione di editore. Al momento della verità, Katharine Graham è cpace di dire "pubblicate", mettendo sul piatto, per il "Post", il massimo della posta. E vince. Meryl Streep e Tom Hanks hanno un posto prenotato in prima fila per la notte dei prossimi Oscar. Da non perdere.
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