fede17
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giovedì 9 febbraio 2017
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villeneuve riporta in alto la fantascienza
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Dennis Villeneuve dimostra di essere in grado di dirigere un film fantascienza, quella fantascienza apparentemente banale che pochi sono stati capaci di valorizzare in questi ultimi anni. La storia comincia quando in una tranquilla mattinata di un qualsiasi giorno arrivano sulla terra dodici astronavi aliene. I governi vogliono comprendere lo scopo del loro arrivo, e per questo motivo viene contattata un'esperta linguista in grado di instaurare un dialogo con gli alieni. Amy Adams, Jeremy Renner e altri collaboratori entrano in una di quelle misteriose astronavi aliene. Quando per la prima volta entrano all'interno dell'astronave mi è sembrato di trovarmi di fronte a un capolavoro assoluto di fantascienza: le perfette e seducenti inquadrature, la colonna sonora potente, la scenografia misteriosa e affascinante, la faccia smarrita di Amy Adams.
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Dennis Villeneuve dimostra di essere in grado di dirigere un film fantascienza, quella fantascienza apparentemente banale che pochi sono stati capaci di valorizzare in questi ultimi anni. La storia comincia quando in una tranquilla mattinata di un qualsiasi giorno arrivano sulla terra dodici astronavi aliene. I governi vogliono comprendere lo scopo del loro arrivo, e per questo motivo viene contattata un'esperta linguista in grado di instaurare un dialogo con gli alieni. Amy Adams, Jeremy Renner e altri collaboratori entrano in una di quelle misteriose astronavi aliene. Quando per la prima volta entrano all'interno dell'astronave mi è sembrato di trovarmi di fronte a un capolavoro assoluto di fantascienza: le perfette e seducenti inquadrature, la colonna sonora potente, la scenografia misteriosa e affascinante, la faccia smarrita di Amy Adams. Tutto era così enigmatico e al tempo stesso ammaliante. Arrival rimane un film dall'elevata qualità cinematografica, ma decade dal suo status di capolavoro nel secondo tempo, aggrovigliandosi troppo nei fili di una storia complicata e distaccata. Comunque, mi sono già innamorato della straordinaria efficacia con cui Villeneuve manovra la macchina da presa, dimostrando di essere uno dei migliori registi del nostro tempo.
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writer58
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domenica 5 febbraio 2017
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il senso del tempo
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Spoiler alert: nella recensione ci sono anticipazioni sulla trama e gli sviluppi del film.
Nel film di Villaneuve "Arrival", il tempo è il protagonista principale, un tempo non più unidimensionale, ma circolare, capace di abbracciare con un solo sguardo passato, presente e futuro. Circolarità che consente di estendere lo sguardo oltre ai limiti fisici imposti dai nostri sensi e dal nostro linguaggio, dalla nostra (limitata) civilizzazione.
Su questo crinale si svolge la vicenda narrata: dodici gigantesce astronavi aliene compaiono all'improvviso e si posizionano in paesi diversi, dal Montana nel nord degli U.S.A alla Cina, dal Pakistan, alla Russia, al Sudan.
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Spoiler alert: nella recensione ci sono anticipazioni sulla trama e gli sviluppi del film.
Nel film di Villaneuve "Arrival", il tempo è il protagonista principale, un tempo non più unidimensionale, ma circolare, capace di abbracciare con un solo sguardo passato, presente e futuro. Circolarità che consente di estendere lo sguardo oltre ai limiti fisici imposti dai nostri sensi e dal nostro linguaggio, dalla nostra (limitata) civilizzazione.
Su questo crinale si svolge la vicenda narrata: dodici gigantesce astronavi aliene compaiono all'improvviso e si posizionano in paesi diversi, dal Montana nel nord degli U.S.A alla Cina, dal Pakistan, alla Russia, al Sudan. Rimangono in attesa, a pochi metri da terra, enormi strutture ovoidali e allungate che svettano come grattacieli di altri mondi sui paesaggi terrestri. All'interno delle astronavi, non c'è forza di gravità, si può camminare sulle pareti verticali.
I governi di tutto il pianeta sono in fibrillazione, vogliono sapere quali sono le intenzioni degli extraterrestri, se la loro presenza è ostile o pacifica, quali sono le ragioni del loro viaggio. Ma la interazione è resa impossibile da formidabili ostacoli comunicativi. Per questa ragione, Louise, linguista di fama mondiale, interpretata da un’eccellente Amy Adams, viene reclutata dal governo statunitense e mandata insieme a Jan, fisico teorico, sulla scena. Deve riuscire a decodificare il linguaggio alieno, stabilire un vincolo comunicativo con loro. Si ritrova in un ambiente colmo di miliari e di frenesia, i governi delle principali potenze mondiali non si parlano tra di loro, alcuni paesi progettano di attaccare militarmente le astronavi.
Il film ricostruisce il percorso di avvicinamento tra Louise e le intelligenze E.T., un itinerario lento, faticoso, attraversato da paure primordiali e limiti connaturati alle nostre capacità espressive. Gli alieni (rappresentati come grandi creature simili a piovre giganti, eptapodi che si muovono dietro un vetro avvolti da una nebbia persistente) comunicano tramite pittogrammi circolari che vengono un po' per volta decrittati fino a comporre la frase inquietante "portiamo armi".
Non si tratta, tuttavia, di armi nel senso convenzionale del termine, ma di strumenti, un linguaggio che permette di apprezzare la circolarità del tempo, che li rende partecipi dei loro bisogni in relazione a quelli dell'umanità.
Louise diviene consapevole del loro linguaggio e accede a un orizzonte multidimensionale degli eventi . La conoscenza del futuro le permetterà di intervenire nel presente e di contribuire ad edificare un mondo meno ostile e diviso. Gli eventi che hanno segnato il suo passato (la perdita della figlia per una malattia incurabile) vengono in qualche modo rivisitati e ridefiniti dalle nuove conoscenze che ha acquisito, emergono dal suo passato anticipazioni inesplicabili (una figura di plastilina che rappresenta gli alieni plasmata dalla figlia, tra altri). La scena del colloquio con il generale cinese è emblematica ed è molto efficace nel descrivere un evento futuro che "forgia" il passato e il presente, lo modifica, come se il tempo fosse diventato un piano su cui è possibile muoversi avanti e indietro, come se ci fosse un feedback costante tra quello che siamo e quello che diventeremo.
Si respira nel film di Villaneuve un clima pensoso, lento, meditativo. Flash back e flash forward si alternano con un movimento simile al frangersi delle onde sul bagnasciuga. La presenza degli alieni diventa un escamotage per compiere una riflessione sui destini dell'umanità e sulla necessità di una comunicazione che miri a condividere invece che creare nuove barriere e nuovi muri.
Omaggio metanarrativo al cinema e alle forme artistiche che sono linguaggi universali e che impastano passato, presente e futuro nel corso della narrazione, che estendono la prospettiva e lo sguardo all'intero pianeta, "Arrival" richiama più "Solaris" che "Incontri ravvicinati del terzo tipo", almeno come impostazione di fondo. Come in "Solaris, il confronto con un'intelligenza aliena provoca modifiche profonde negli umani, attualizza l'ignoto che è in loro. Ma, a differenza di "Solaris", "Arrival" propone uno svolgimento meno drammatico e lacerante. Il linguaggio diventa strumento di condivisione e la condivisione si traduce in un progetto di comunione che riesce ad abolire la tirannia del tempo.
Un esercizio di fantascienza concettuale stimolante, che ci sollecita a riflettere sulla nostra condizione.
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[+] la figlia non l'aveva ancora persa...
(di tyler durden 76)
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(di luiross77)
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laura
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domenica 5 febbraio 2017
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chi sa la risposta?
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Bel film, peccato per il trailer che mostrava un'altro tipo di opera, forse non ha attirato al cinema il target "giusto", disposto ad apprezzarlo e interessato al tema. Ho una domanda per chi l'ha visto: perché Ian, che sarà poi suo marito e che è a conoscenza della missione, non avrà poi la conoscenza del linguaggio e del dono che comporta cioè la conoscenza della propria esistenza? (come si dimostra dal racconto della mamma a Hannah, quando la bimba è triste e sostiene che il papa non la guardi più come prima, e louise, la madre, le dice che il padre è arrabbiato perchè lei stessa gli ha detto una cosa che non era pronto a conoscere)
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kaipy
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sabato 4 febbraio 2017
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splendida regia
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La fantascienza che prediligo, intima, esistenziale.
Certo un po' didascalico nelle pillole di linguistica e manieristico nel delineare i buoni e i cattivi, ma... A me sta bene lo stesso.
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chunk morris
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venerdì 3 febbraio 2017
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arrival - un film che non arriva, da nessuna parte
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Mamma mia, da dove cominciamo? paragonarlo ad Interstellar?? la Critica è troppo buona.
In questo film gli unici protagonisti sono le colonne sonore..Per un'ora e mezza si crea una tensione esorbitante aspettando il colpo di scena che alla fine.....non arriva. Come se il regista stesso si fosse dimenticato di come sviluppare la trama, o meglio, come se fosse indeciso a quale lato del film dare risalto: se a quello fantascientifico o a quello drammatico.
Il risultato è che lo spettatore resta perplesso attendendo sviluppi e risposte che non arrivano da nessuna parte. il tutto condito da "flashback" ossessivi e drammatici della protagonista che purtroppo non riescono a dare empatia e restano completamente slegati dal soggetto principale del film: "L'Arrivo".
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Mamma mia, da dove cominciamo? paragonarlo ad Interstellar?? la Critica è troppo buona.
In questo film gli unici protagonisti sono le colonne sonore..Per un'ora e mezza si crea una tensione esorbitante aspettando il colpo di scena che alla fine.....non arriva. Come se il regista stesso si fosse dimenticato di come sviluppare la trama, o meglio, come se fosse indeciso a quale lato del film dare risalto: se a quello fantascientifico o a quello drammatico.
Il risultato è che lo spettatore resta perplesso attendendo sviluppi e risposte che non arrivano da nessuna parte. il tutto condito da "flashback" ossessivi e drammatici della protagonista che purtroppo non riescono a dare empatia e restano completamente slegati dal soggetto principale del film: "L'Arrivo".
Ciliegina sulla torta è poi il finale che dovrebbe sbrogliare tutta la matassa e che purtroppo lascia basiti dalla superficialità con cui viene trattato l'argomento: il paradosso del tempo.
Nolan ha dedicato un film intero sull'argomento con il suo film "Interstellar".
Qui invece ci si concentra a sfinimento sulle differenze culturali e di linguaggio tra due specie e si finisce con una frase buttata lì, in mezzo al film, nel tentativo di dare un senso metafisico che non c'è. Insomma, un'insalata mista dove si mischiano molti temi (compreso quello del cancro) ma non se ne sbroglia nessuno. Forse era meglio se il regista si fosse dedicato ad una "singola bistecca" arrosto, ma almeno saporita e gustosa. Film insipido
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daniele 69
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giovedì 2 febbraio 2017
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questa è la fantascienza che vogliamo
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All'inizio nulla, poi, improvvisamente 12 astronavi in 12 punti diversi del pianeta.
Novelle rocce fluttuanti di Maigritte.
12 ventri di altrettante veneri preistoriche gravide di cambiamenti.
Sospese, quasi indifferenti se non per il loro permettere l’accesso ogni 18 ore in una sorta di parto all’incontrario.
Denis Villeneuve (il regista) ed Eric Heisserer (il sceneggiatore) fanno il miracolo: abbracciano il racconto originale di Ted Chiang (decisamente freddino, lo possiamo dire) rispettandone gli aspetti più filosofici e lo espandono in contesto di decisamente attuali relazioni geopolitiche.
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All'inizio nulla, poi, improvvisamente 12 astronavi in 12 punti diversi del pianeta.
Novelle rocce fluttuanti di Maigritte.
12 ventri di altrettante veneri preistoriche gravide di cambiamenti.
Sospese, quasi indifferenti se non per il loro permettere l’accesso ogni 18 ore in una sorta di parto all’incontrario.
Denis Villeneuve (il regista) ed Eric Heisserer (il sceneggiatore) fanno il miracolo: abbracciano il racconto originale di Ted Chiang (decisamente freddino, lo possiamo dire) rispettandone gli aspetti più filosofici e lo espandono in contesto di decisamente attuali relazioni geopolitiche.
Per una volta la reazione immediata non è lo scontro ma il tentativo di comunicazione ed almeno all’inizio le nazioni tutte tentano anche di collaborare tra di loro.
Ma se non riusciamo a comunicare tra noi, come possiamo comunicare con una razza che non ha niente in comune con gli umani e non mi riferisco solo all’aspetto (per una volta veramente alieno) ma che hanno anche un modo di pensare e di “vedere” o meglio di percepire l’universo completamente diverso dal nostro?
La teoria di base del racconto e di conseguenza del film è quella di Sapir-Whorf, per cui l’apprendimento di una lingua arriverà ad influenzare anche il modo di pensare di chi la sta apprendendo.
Immaginiamo cosa può succedere se si cerca di apprendere la lingua di una razza aliena che pensa in modo non lineare sia in termini spaziali che temporali?
Una razza per il cui il passato, presente e futuro coesistono ed il loro modo di vivere, comunicare, creare una tecnologia è frutto di questa capacità di vedere il tempo in modo non lineare.
Cosa succederà ad un essere umano quando inizierà ad apprendere e quindi a “vedere” o meglio percepire l’universo come fanno i nostri alieni, lo lascio alla vostra visione del film.
Posso solo dire che la protagonista (Amy Adams) si esibisce una clamorosa prova di bravura.
Il film è visivamente potente.
L’arrivo o meglio l’apparizione delle navi può essere definito solo come poetico.
Il fatto che ci siano praticamente solo due location nelle due ore di film è funzionale e non pesa affatto.
E per una volta posso dire che il film è meglio del racconto da cui è tratto.
Il film all’uscita ha praticamente incassato quattro volte il suo costo… Forse c’è speranza per fantascienza cinematografica.
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nocciolina
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giovedì 2 febbraio 2017
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nin ci ho capito nulla
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ben recitato. Piuttosto lento. tanti flashbacks che mi hanno fatto capire ben poco. Non lo rivedrei.
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riccardo tavani
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mercoledì 1 febbraio 2017
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che lingua parla l'infinito
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Film vestito di fantascienza ma che più di noi umani “qui e ora” non potrebbe parlare. Ma che lingua parla una specie che viene dall’infinito? Ancora prima: siamo sicuri che essa si esprima attraverso qualcosa di simile a ciò che noi chiamiamo “linguaggio”? Queste sono le disperate, immani domande che una delle massime linguista Louise Banks della Terra si pone, pressata non solo dalle proibitive difficoltà dell’impresa assegnatale ma anche dal tempo vertiginosamente ristretto concessole. Tutto il mondo è già con il dito sul grilletto nucleare. Dei molti, vani tentativi di Louise, arrovellandosi con le sue alte conoscenze e teorie linguistiche, al governo americano interessa solo che lei arrivi immediatamente la alla domanda capitale: “Cosa siete venuti a fare qui?”.
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Film vestito di fantascienza ma che più di noi umani “qui e ora” non potrebbe parlare. Ma che lingua parla una specie che viene dall’infinito? Ancora prima: siamo sicuri che essa si esprima attraverso qualcosa di simile a ciò che noi chiamiamo “linguaggio”? Queste sono le disperate, immani domande che una delle massime linguista Louise Banks della Terra si pone, pressata non solo dalle proibitive difficoltà dell’impresa assegnatale ma anche dal tempo vertiginosamente ristretto concessole. Tutto il mondo è già con il dito sul grilletto nucleare. Dei molti, vani tentativi di Louise, arrovellandosi con le sue alte conoscenze e teorie linguistiche, al governo americano interessa solo che lei arrivi immediatamente la alla domanda capitale: “Cosa siete venuti a fare qui?”. È qui che il film diventa urgentemente umano e attuale. Louise, infatti, è soprattutto angosciata dalla possibilità di equivoco. La stessa parola “arma” potrebbe significare proprio “lingua” per questi extraterrestri Eptapodi. È esattamente quello che capita agli umani. Insistono sempre sul “dialogo”, ma il più delle volte sono destinati all’ambiguità, all’incomprensione, allo scontro linguistico e fisico. La base di questo equivoco ontologico, strutturale è nello stesso linguaggio umano. Le parole sono qualcosa di diverso dagli oggetti che indicano. La parola “pipa” – per citare un celebre quadro di Magritte – non è affatto la stessa cosa materiale che indica (e neanche l’immagine dipinta della pipa è la pipa stessa). L’indicare nominalmente un oggetto non significa per niente comprendere o comunicare l’essenza di quell’oggetto, che resta inesorabilmente e in gran parte inespressa. A uno stesso oggetto o stato di cose, sotto un diverso parallelo storico, geografico, emozionale gli uomini possono assegnare significati diversi. Il film prede a riferimento la teoria neurolinguistica di Sapir-Whorf. La estremizza, si è obiettato. Sì, ma qui si tratta di un film, non di un saggio accademico, e quante volte opere narrative hanno saputo intuire prima della scienza? Questa teoria dice che parlare, pensare, scrivere un’altra lingua cambia il modo di percepire il mondo. Mettiamo ora un sistema di segni – grafici, geometrici, matematici, acustici, mentali, epidermici (quello che volete) – che affondi le proprie radici nell’infinito spazio-temporale. Per la stessa teoria della relatività di Einstein in una tale dimensione tutto “avviene” simultaneamente. Anche le regioni più remote giacciono su uno stesso piano fisico universale, connesse in un presente storico permanente, senza tempo. Una lingua che “parlasse” tale dimensione non potrebbe che esprimersi attraverso un’indistinzione tra passato e futuro. Vedere l’uno insieme all’altro. Non solo, ma esprimere anche una compenetrazione tra stati percettivi, logici e corporei-emozionali. Forse allora sarà davvero possibile immediatamente sentire lo stesso significato nell’espressione, anche se appena bisbigliata: “In guerra non ci sono vincitori, ma solo vedove”. Il regista Denis Villeneuve, dopo “La donna che canta”, che sale su dalle viscere infuocate, mediorientali della terra in guerra, ci immerge in questa atmosfera cinematografica fredda, biancastra, opaco-sporca da “movie-scienze” abissalmente contemporaneo, offrendo anche alla protagonista una possibilità davvero stellare di prova d’attrice. Possibilità che Amy Adams – dopo la sua recente grande interpretazione di “Animali Notturni” – riesce a mettere a segno in pieno.
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gustibus
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martedì 31 gennaio 2017
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moderna fantascienza?..ma?
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E pensare che "SICARIO" visto 3-4volte E'UN CAPOLAVORO!!...quindi mi aspettavo un altro esploit di "Villeneuve".... Mi sono sbagliato!...molto molto deluso...io adoro i sci-fi dell'ultima ora.ma qui lo sbadiglio e' obbligatorio...FILM lento lento...con messaggi...dite voi.. Da interpretare?!...IO non sono stato INCANTATO DA nulla...un FILM semplice.... Riposante....forse in attesa di ALIEN covenant....
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iuriv
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lunedì 30 gennaio 2017
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sono ancora tra noi.
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Gli alieni sono (di nuovo) tra noi. Resta da capire se sono dei bulli assetati di sangue come dice Emmerich, oppure se somigliano ai simpatici ET in stile Spielberg. O magari niente di tutto questo.
Il film si fonda su due parole chiave talmente importanti da poterci dedicare un hashtag: incomunicabilità (della quale non parlerò) e tempo. E a questo secondo elemento non mi riferisco solo per il modo in cui è stato implementato nella trama (della quale non parlerò), ma piuttosto dell'utilizzo che ne ha fatto la sceneggiatura.
Villeneuve utilizza una messa in scena quadrata, supportata da un comparto effetti speciali solido e credibile e da un'ottima performance degli attori.
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Gli alieni sono (di nuovo) tra noi. Resta da capire se sono dei bulli assetati di sangue come dice Emmerich, oppure se somigliano ai simpatici ET in stile Spielberg. O magari niente di tutto questo.
Il film si fonda su due parole chiave talmente importanti da poterci dedicare un hashtag: incomunicabilità (della quale non parlerò) e tempo. E a questo secondo elemento non mi riferisco solo per il modo in cui è stato implementato nella trama (della quale non parlerò), ma piuttosto dell'utilizzo che ne ha fatto la sceneggiatura.
Villeneuve utilizza una messa in scena quadrata, supportata da un comparto effetti speciali solido e credibile e da un'ottima performance degli attori.
Ma la forza di questo lavoro sta nei momenti in cui la storia sceglie di piazzare le svolte narrative. Può sembrare una banalità, eppure non sempre capita. In un film come questo, scegliere l'istante giusto per svelare qualcosa consente alle scene di presentarsi con il giusto respiro, in modo che lo spettatore abbia il tempo di metabolizzare quello che vede sullo schermo e rifletterci su.
La precisione con cui viene srotolata la trama aiuta la pellicola a stare lontana dall'obesità che a volte avvolge il genere. In due ore scarse Villeneuve propone la sua visione delle cose, integrandola alla perfezione con la storia di fantascienza che ci racconta.
Pur senza l'ermetismo di 2001 o la potenza visiva di Interstellar, Arrival si inserisce nella fantascienza di alto livello. Un ottimo lavoro che, come i grandi classici prima di lui, riesce ad utilizzare il genere con efficacia per parlare di tutt'altro.
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