ashtray_bliss
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sabato 7 gennaio 2017
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comunicare, amare e comprendersi sono i veri doni.
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Spoiler-Alert:
Come spettatrice e amante del genere sci-fi premetto che sono rimasta un poco delusa dal encomiato Arrival di Villeneuve del quale mi aspettavo qualcosa di diverso, probabilmente di più magnetico e coinvolgente. Ma come linguista io stessa ho particolarmente apprezzato in questo film la tematica. Il modo in cui si approccia alla tematica del linguaggio e della comunicazione, ed infine del modo in cui per la prima volta nel corso di un film fantascientifico, il linguaggio vada interpretato come il dono e contemporaneamente l'arma per aprire e quindi dominare il Tempo. L'aspetto che mi ha intrigato di più è l'importanza che viene data alla comunicazione, che è l'aspetto più essenziale e basilare della nostra esperienza umana ma anche un bisogno innato.
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Spoiler-Alert:
Come spettatrice e amante del genere sci-fi premetto che sono rimasta un poco delusa dal encomiato Arrival di Villeneuve del quale mi aspettavo qualcosa di diverso, probabilmente di più magnetico e coinvolgente. Ma come linguista io stessa ho particolarmente apprezzato in questo film la tematica. Il modo in cui si approccia alla tematica del linguaggio e della comunicazione, ed infine del modo in cui per la prima volta nel corso di un film fantascientifico, il linguaggio vada interpretato come il dono e contemporaneamente l'arma per aprire e quindi dominare il Tempo. L'aspetto che mi ha intrigato di più è l'importanza che viene data alla comunicazione, che è l'aspetto più essenziale e basilare della nostra esperienza umana ma anche un bisogno innato. Comunichiamo i nostri sentimenti, i nostri pensieri e desideri, le nostre idee. Le società più evolute (umane ed aliene, come mostra il film) si basano sul concetto di comunicazione. Una comunicazione che si effettua attravverso il linguaggio, quel meraviglioso sistema di simboli arbitrariamente scelti per codificare messaggi complessi e astratti da comunicare al prossimo. Infatti, qualsivoglia forma di comunicazione prevede l'uso del linguaggio, sia che esso sia articolato e complesso come quello scritto, orale o ambedue delle nostre lingue oppure quello visuale, verbale, concettuale e simbolico come quello cinematografico al quale assistiamo.
In tale contesto, troviamo Louise Banks, linguista di fama mondiale che viene reclutata dall'esercito degli States per aiutarli a tradurre e comprendere i messaggi e le intenzioni degli alieni appena approdati nel Montana a bordo di un'astronave ovoidale, prontamente rinominata come "il guscio". Quelli del Montana però non sono gli unici alieni ad essere arrivati sul pianeta Terra; altre 11 navicelle infatti sono atterrate in punti diversi del pianeta e la domanda cruciale che interessa i governi di tutto il mondo e': "Cosa vogliono?" "Sono venuti in pace o vogliono dichiarare una guerra?" "Da dove vengono?". Ovviamente per rispondere a queste domande è indispensabile che esista un common ground sul quale avvenga la comunicazione, e quindi la reciproca comprensione. Questo è l'altro elemento interessante del film: l'altro, il diverso ed estraneo si cerca di comprenderlo, lo si avvicina e lo si approccia senza pregiudizi. O almeno ciò è quello che fa Louise e Ian, il fisico teorico del team a lei assegnato. La dottoressa ben presto capisce che i due alieni a bordo della peculiare navicella (all'interno del quale le leggi fisiche vengono a meno) comunicano attravverso una forma di linguaggio scritto che si basa su dei peculiari simboli circolari, dei logogrammi affascinanti ed enigmatici, che lei deve riuscire a tradurre per potersi mettere in contatto con loro nel minor tempo possibile.
Il linguaggio diventa di nuovo la chiave per aprire e aprirsi all'Altro. Comprenderlo e comprendere meglio noi stessi, dato che come direbbe Wittgenstein i limiti della nostra lingua sono i limiti del nostro mondo. E come dichiara l'ipotesi Sapir-Whorf, esplicitatamente citata nel film, la nostra lingua condiziona il nostro modo di pensare, vedere e approcciare il mondo.
Ma mentre Louise supera questi ostacoli linguistici, fisici e materiali per mettersi a contatto col diverso, inizia ad avere delle strane visioni che man mano si fanno sempre più intense e vivide. Quello che appare essere il passato, in realtà si rivela essere il futuro che aiuta Louise a cambiare il corso delle cose nel presente. Sotto tale aspetto il film rivela anche la sua vena più intima, umana e sentimentale, intrecciando la storia al presente di una scienziata dedita anima e corpo allo studio del linguaggio a quella del futuro che vede una madre amorevole e premurosa colpita da una tragedia terribile, indicibile: quella di perdere la propria figlia per un male precoce ed innarestabile. Ricalcando i passi e il linguaggio cinematografico lanciato dal visionario Christopher Nolan con Interstellar, Villeneuve torna a parlarci degli elementi del tempo e del amore che negli ultimi anni interessano la narrativa sci-fi dal polso intelletuale e dalle venature intrinsicamente antropocentriche e filosofiche.
L'amore anche qui assume la forma di linguaggio universale, l'elemento motivante che non impedisce a Louise di mettere al mondo sua figlia, nonostante sappia anticipatamente cose le succederà. Il tempo assume invece la forma di un dono (oppure di un'arma, a seconda del punto di vista) che gli alieni vogliono regalare all'Umanità, ma del quale infine solo Louise potrà usufruire. Il tempo, che secondo Nolan assume la forma di una quarta dimensione, qui resta un elemento al quale gli esseri umani potranno accedere attraverso la conoscenza della lingua aliena, quella lingua universale e circolare in grado di sbloccarlo. Quello che quindi costituisce il maggior nemico dell'uomo, a sua volta smette di essere lineare e dove passato presente e futuro si intrecciano, proprio come i logogrammi.
Se però il film si pone subito su un piano molto intelletuale e filosofico non è esente da alcune, talvolta grossolane, pecche che mi impediscono di assegnarli un punteggio maggiore e che mi hanno fatta uscire dal cinema molto perplessa (i famosi mixed feelings).
Primo, un linguista non conosce tutte le lingue del mondo come invece farebbe presumere il film. Quello è uno stereotipo alquanto ingenuo da proporre al pubblico. Un bravo linguista (dipende dalla specializzazione) potra conoscere la struttura morfo-sintattica delle lingue ma difficilmente potrà comprendere e produrre in esse, potendo scrivere, parlare e tradurre.
Secondo non ho apprezzato affatto la rappresentazione visiva degli alieni, come dei giganteschi polipi i quali sono perennemente avvolti da un banco di nebbia ma contemporaneamente si tengono a debita distanza dall'uomo dietro un vetro dalla luminosa ma asettica luce bianca che crea un notevole contrasto visivo col resto dell'interno. Ma aldilà della notevole estetica che il regista crea, la rappresentazione di esseri extraterrestri evoluti come degli eptapodi, l'ho trovata poco creativa e molto deludente.
La terza e ultima cosa che non ho apprezzato , è il fatto che il film non spiega niente sulla provenienza di queste creature, su chi siano e su quale sia la minaccia che entro 3000 anni avrebbero dovuto affrontare insieme all'uomo. Volendo poi esercitare in modo inverso l'abilità di pensiero, gli alieni essendo più evoluti e conoscendo il futuro (essendo per loro il tempo ciclico e non lineare) dovrebbero sapere in anticipo che gli Uomini non usufruiranno del loro dono e che solo Louise si farà portatrice di quest'abilità (conoscere ed imparare la loro lingua quindi sbloccare il tempo) rendendo vano il loro tentativo. Il film cade così in alcuni -inevitabili del resto- plot holes.
Benchè poi sia evidente che come tutti i film di fantascienza che si rispettino, Arrival utilizza un linguaggio scientifico (che qui è proprio quello linguistico) e la stessa simbologia sci-fi come metafora, per portare la narrazzione sul piano dei sentimenti umani, quelli che in fin dei conti sono i motori che ci permettono di vivere e di evolverci. Il film fa quindi leva sull'interiortà del'essere umano utilizzando una intensa Amy Adams per porre uno sguardo su quesiti filosofici che ci attanagliano, come appunto "cosa faremmo se potessimo vedere in anticipo il futuro?".
Ma eccetto i contenuti dei quali il film abbonda, non offre qualcosa di più originale, innovativo o visionario nè in termini di tematica nè in termini di spettacolarità, eccezione fatta per la resa della navicella. Non è facile ricreare un immaginario fantascientifico nuovo come osò fare Nolan nel 2014 (unendo i tasselli della fisica teorica, del tempo, dei sentimenti umani in un potentissimo action-drama fantascientifico). Arrival in tal senso appare piuttosto statico come film, monocorde e a tratti monocromatico. La suspense e il mistero, elementi fondamentali nel genere sci-fi, qui sono appena percepibili. Anche la mancanza di colpi di scena eclatanti e la staticità della location dove si svolge l'azione (all'interno della navicella e all'interno della base militare) potrebbero far venir meno l'attenzione degli spettatori e talvolta annoiare.
Sulla recitazione di Amy Adams invece c'è poco da dire: è perfetta, fragile, intelligente, umana ed empatica anche col ignoto che la circonda. Praticamente da sola la Adams regge il peso della pellicola impegnativa e complessa. Jeremy Renner e Forest Whitaker risultano poco più che comparse al suo cospetto.
In definitiva, Arrival è un film di stile e di maniera che rievoca alcuni classici del cinema come Odissea 2001, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo e più recentemente si ritrovano elementi di Interstellar. Niente fraintendimenti: Arrival è un film letterario e intelletuale ma non si rivolge ad un pubblico d'elite. Ciononostante non riesce mai pienamente a coinvolgere ed emozionare, non ti trasporta nel suo viaggio alla conoscenza dell'Altro ed infine fatica ad entusiasmare ed estasiare come ci si aspetta da uno sci-fi firmato dal regista pluri-elogiato come Villeneuve. Essenziale, misurato ed estraniato da pomposità visive purtroppo non mi ha convinto pienamente. 3/5.
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writer58
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domenica 5 febbraio 2017
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il senso del tempo
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Spoiler alert: nella recensione ci sono anticipazioni sulla trama e gli sviluppi del film.
Nel film di Villaneuve "Arrival", il tempo è il protagonista principale, un tempo non più unidimensionale, ma circolare, capace di abbracciare con un solo sguardo passato, presente e futuro. Circolarità che consente di estendere lo sguardo oltre ai limiti fisici imposti dai nostri sensi e dal nostro linguaggio, dalla nostra (limitata) civilizzazione.
Su questo crinale si svolge la vicenda narrata: dodici gigantesce astronavi aliene compaiono all'improvviso e si posizionano in paesi diversi, dal Montana nel nord degli U.S.A alla Cina, dal Pakistan, alla Russia, al Sudan.
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Spoiler alert: nella recensione ci sono anticipazioni sulla trama e gli sviluppi del film.
Nel film di Villaneuve "Arrival", il tempo è il protagonista principale, un tempo non più unidimensionale, ma circolare, capace di abbracciare con un solo sguardo passato, presente e futuro. Circolarità che consente di estendere lo sguardo oltre ai limiti fisici imposti dai nostri sensi e dal nostro linguaggio, dalla nostra (limitata) civilizzazione.
Su questo crinale si svolge la vicenda narrata: dodici gigantesce astronavi aliene compaiono all'improvviso e si posizionano in paesi diversi, dal Montana nel nord degli U.S.A alla Cina, dal Pakistan, alla Russia, al Sudan. Rimangono in attesa, a pochi metri da terra, enormi strutture ovoidali e allungate che svettano come grattacieli di altri mondi sui paesaggi terrestri. All'interno delle astronavi, non c'è forza di gravità, si può camminare sulle pareti verticali.
I governi di tutto il pianeta sono in fibrillazione, vogliono sapere quali sono le intenzioni degli extraterrestri, se la loro presenza è ostile o pacifica, quali sono le ragioni del loro viaggio. Ma la interazione è resa impossibile da formidabili ostacoli comunicativi. Per questa ragione, Louise, linguista di fama mondiale, interpretata da un’eccellente Amy Adams, viene reclutata dal governo statunitense e mandata insieme a Jan, fisico teorico, sulla scena. Deve riuscire a decodificare il linguaggio alieno, stabilire un vincolo comunicativo con loro. Si ritrova in un ambiente colmo di miliari e di frenesia, i governi delle principali potenze mondiali non si parlano tra di loro, alcuni paesi progettano di attaccare militarmente le astronavi.
Il film ricostruisce il percorso di avvicinamento tra Louise e le intelligenze E.T., un itinerario lento, faticoso, attraversato da paure primordiali e limiti connaturati alle nostre capacità espressive. Gli alieni (rappresentati come grandi creature simili a piovre giganti, eptapodi che si muovono dietro un vetro avvolti da una nebbia persistente) comunicano tramite pittogrammi circolari che vengono un po' per volta decrittati fino a comporre la frase inquietante "portiamo armi".
Non si tratta, tuttavia, di armi nel senso convenzionale del termine, ma di strumenti, un linguaggio che permette di apprezzare la circolarità del tempo, che li rende partecipi dei loro bisogni in relazione a quelli dell'umanità.
Louise diviene consapevole del loro linguaggio e accede a un orizzonte multidimensionale degli eventi . La conoscenza del futuro le permetterà di intervenire nel presente e di contribuire ad edificare un mondo meno ostile e diviso. Gli eventi che hanno segnato il suo passato (la perdita della figlia per una malattia incurabile) vengono in qualche modo rivisitati e ridefiniti dalle nuove conoscenze che ha acquisito, emergono dal suo passato anticipazioni inesplicabili (una figura di plastilina che rappresenta gli alieni plasmata dalla figlia, tra altri). La scena del colloquio con il generale cinese è emblematica ed è molto efficace nel descrivere un evento futuro che "forgia" il passato e il presente, lo modifica, come se il tempo fosse diventato un piano su cui è possibile muoversi avanti e indietro, come se ci fosse un feedback costante tra quello che siamo e quello che diventeremo.
Si respira nel film di Villaneuve un clima pensoso, lento, meditativo. Flash back e flash forward si alternano con un movimento simile al frangersi delle onde sul bagnasciuga. La presenza degli alieni diventa un escamotage per compiere una riflessione sui destini dell'umanità e sulla necessità di una comunicazione che miri a condividere invece che creare nuove barriere e nuovi muri.
Omaggio metanarrativo al cinema e alle forme artistiche che sono linguaggi universali e che impastano passato, presente e futuro nel corso della narrazione, che estendono la prospettiva e lo sguardo all'intero pianeta, "Arrival" richiama più "Solaris" che "Incontri ravvicinati del terzo tipo", almeno come impostazione di fondo. Come in "Solaris, il confronto con un'intelligenza aliena provoca modifiche profonde negli umani, attualizza l'ignoto che è in loro. Ma, a differenza di "Solaris", "Arrival" propone uno svolgimento meno drammatico e lacerante. Il linguaggio diventa strumento di condivisione e la condivisione si traduce in un progetto di comunione che riesce ad abolire la tirannia del tempo.
Un esercizio di fantascienza concettuale stimolante, che ci sollecita a riflettere sulla nostra condizione.
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(di tyler durden 76)
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eugenio
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mercoledì 18 gennaio 2017
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fantascienza esistenziale
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Misto tra Malick e Spielberg, il nuovo film di Dennis Villenueve, apprezzato regista di thriller (come dimenticare Prisoners?) centra in pieno il filone della “fantascienza esistenziale”.
Un genere che consiste nel contaminare un filone, quello dell’ incontro con l’alieno, il diverso, con una vicenda profondamente personale che coinvolge lo spirito umano.
E in questo senso Arrival non fa eccezione. Si presenta come un prodotto valido con attori convincenti, Amy Adams su tutti, che in affascinanti flash back e flash forward si muove nell’intimità di un “incontro ravvicinato” dalle conseguenze decisive per l’umanità.
Dodici astronavi a forma di guscio atterrano in luoghi sparsi per la Terra, causando stupore e soprattutto timore nelle varie nazioni mondiali.
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Misto tra Malick e Spielberg, il nuovo film di Dennis Villenueve, apprezzato regista di thriller (come dimenticare Prisoners?) centra in pieno il filone della “fantascienza esistenziale”.
Un genere che consiste nel contaminare un filone, quello dell’ incontro con l’alieno, il diverso, con una vicenda profondamente personale che coinvolge lo spirito umano.
E in questo senso Arrival non fa eccezione. Si presenta come un prodotto valido con attori convincenti, Amy Adams su tutti, che in affascinanti flash back e flash forward si muove nell’intimità di un “incontro ravvicinato” dalle conseguenze decisive per l’umanità.
Dodici astronavi a forma di guscio atterrano in luoghi sparsi per la Terra, causando stupore e soprattutto timore nelle varie nazioni mondiali. Non si sa cosa vogliono, non si sa come sia possibile stabilire una conversazione con queste misteriose entità e perchè siano giunte proprio in quelle nazioni.
Viene reclutata Louise Banks (Amy Adams), linguista di fama mondiale, insieme al fisico Ian Donnelly (Jeremy Renners) per cercare di stabilire un contatto con gli alieni.
Loiuse con passione si interessa al caso. Entra nel monolite, opportunamente protetta da scafandro e tuta, cerca di trovare una lingua comune per capire cosa rappresentino quei simboli circolari, apparentemente uguali ma estremamente diversi per significato e man mano che si addentra nella comprensione di quella lingua sconosciuta, una specie di macchia di caffè, scagliata come fil nero dagli ectopodi (gli alieni hanno sette zampe retrattili e viene mostrata solo la parte terminale), inizia a percepire “visioni” di qualcosa che strettamente la riguardano: la sua famiglia e, in particolare, il rapporto con la figlia Hannah, prematuramente morta di cancro.
Nel frattempo, fuori dall’universo “ovattato” del monolite, il mondo impazzisce alla prima “traduzione” del messaggio alieno: “offrire armi” ed è pronto, Cina in testa, a dichiarare guerra a questi strani “gusci”senza attendere oltre.
Il concetto principale alla base di Arrival è la cosiddetta ipotesi di Sapir-Whorf". Conosciuta anche come "ipotesi della relatività linguistica", afferma che lo sviluppo cognitivo di ciascun essere umano è influenzato dalla lingua che parla. Nella sua forma più estrema sostiene che il modo di esprimersi determina il modo di pensare.
Ed in effetti Arrival ne è esempio eccellente. Come in Interstellar la pellicola nasconde un paradosso temporale, nella circolarità di una lingua in cui spazio e soprattutto tempo non assumono la dimensione lineare cui siamo abituati ma vengono continuamente ribaltati muovendo le acque di un genere che trova nell’immagine il suo effetto più affascinante.
Villeneuve gira con stile, padroneggia l’effetto visivo sul pubblico con grande efficacia. Metaforica risulta la scelta delle inquadrature, azzeccata quella del dialogo difficile tra Loiuse e gli eptodi,interessante il profondo significato nascosto con i continui rimandi alla maternità sofferta della linguista.
Come se, ci volesse dire Villenueve, quel qualcosa di ignoto proveniente dallo spazio buio, quel diverso di cui non è chiaro lo scopo del suo arrivo, non debba essere per forza inteso come minaccia ma al contrario, possa abbracciare un’ottica di comprensione reciproca e di un profondo significato cristiano, verso una lingua comune e profetica, il vero dono, che si chiama fratellanza e capacità di vedere ben oltre le “apparenze del tempo”.
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[+] fantascienza adulta, umana e del dialogo
(di antonio montefalcone)
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peer gynt
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giovedì 1 settembre 2016
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apprendere il linguaggio e i paradossi del tempo
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Un'ottima fantascienza, quella dell'ultimo film del canadese Denis Villeneuve, che si ispira ad un racconto dell'americano Ted Chiang (coetaneo del regista) per raccontare ben più di una storia di invasione aliena della Terra. Siamo nel cinema di genere, ma gli ascendenti di questo film non vanno cercati nei blockbuster tematicamente simili, ma nello spirito di film come "Incontri ravvicinati del terzo tipo" di Spielberg e ancor più "Contact" di Zemeckis (con, perché no, un'ombra di Kubrick che aleggia comunque sul film). L'incontro degli alieni con gli umani è, anzi dev'essere, malgrado tutto e tutti, un confronto di culture, una comprensione della struttura mentale dell'altro attraverso la comprensione del suo linguaggio.
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Un'ottima fantascienza, quella dell'ultimo film del canadese Denis Villeneuve, che si ispira ad un racconto dell'americano Ted Chiang (coetaneo del regista) per raccontare ben più di una storia di invasione aliena della Terra. Siamo nel cinema di genere, ma gli ascendenti di questo film non vanno cercati nei blockbuster tematicamente simili, ma nello spirito di film come "Incontri ravvicinati del terzo tipo" di Spielberg e ancor più "Contact" di Zemeckis (con, perché no, un'ombra di Kubrick che aleggia comunque sul film). L'incontro degli alieni con gli umani è, anzi dev'essere, malgrado tutto e tutti, un confronto di culture, una comprensione della struttura mentale dell'altro attraverso la comprensione del suo linguaggio. In questo approccio teorico e nelle sfumature psicologiche ed emotive del personaggio protagonista, la linguista Louise Banks (una convincente Amy Adams), il film trova le sue migliori motivazioni, oltre ad annoverare una musica ottimamente funzionale alla suspense e un accorto uso delle anacronie narrative, la cui apparente banalità trova una spiegazione sorprendente nel finale. Con il gusto di giocare anche con i paradossi temporali, e in modo non banale, Villeneuve filma una fantascienza matura che (con l'eccezione di Nolan) mancava da un po' dagli schermi.
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laurence316
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lunedì 23 gennaio 2017
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dramma intimista mascherato da film di sf
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Prima di dedicarsi al sequel di Blade Runner, Villeneuve esordisce nella fantascienza con questo “piccolo” film di genere, tratto da un racconto di Ted Chiang e sceneggiato da Eric Heisserer, interessante e ben costruito, con un colpo di scena sul finale che non delude. Anche se, come nel precedente film del regista (Sicario) si tenta di mascherare gli elementi di un racconto abbastanza classico (alla cui radice vi è un altro dramma familiare e la conseguente elaborazione del lutto) all’interno di una cornice narrativa macchinosa e, per gran parte della durata, anche accattivante (impossibile dire altro per evitare spolier).
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Prima di dedicarsi al sequel di Blade Runner, Villeneuve esordisce nella fantascienza con questo “piccolo” film di genere, tratto da un racconto di Ted Chiang e sceneggiato da Eric Heisserer, interessante e ben costruito, con un colpo di scena sul finale che non delude. Anche se, come nel precedente film del regista (Sicario) si tenta di mascherare gli elementi di un racconto abbastanza classico (alla cui radice vi è un altro dramma familiare e la conseguente elaborazione del lutto) all’interno di una cornice narrativa macchinosa e, per gran parte della durata, anche accattivante (impossibile dire altro per evitare spolier).
E’ quindi abilmente costruito, questo Arrival, non v’è alcun dubbio, ma non è di certo una nuova vetta del genere, che che ne dicano molti. E’ un buon film di fantascienza, ma non particolarmente originale né particolarmente memorabile, com’è stato invece spesso scambiato, anche perché già ad una seconda visione perde gran parte del suo fascino, essendo lo spettatore già a conoscenza del colpo di coda conclusivo, che è un po' l’asse portante su cui si regge tutto il film e, senza il quale, non si rivela poi così intricato né complesso né straordinario. E altre delle idee del film sono state in parte già viste altrove (vedi Contact).
Numerosi, comunque, gli spunti di riflessione offerti dal film: dall’importanza di una corretta comunicazione e del linguaggio (la teoria di Sapir-Whorf secondo la quale la lingua che si parla influenza in maniera determinante il modo in cui si percepiscono le cose è citata esplicitamente) alla, per l’appunto, soggettività della percezione della realtà e del tempo, dall'importanza della collaborazione a quella del reciproco aiuto e della comprensione dell'altro. Il problema è che nessuno di questi viene mai particolarmente sviluppato e che, nella seconda parte, si svia dalla vicenda principale (e più interessante) per concentrarsi sempre più sulle vicende personali della protagonista, dimenticandosi quasi completamente degli “eptapodi” e delle motivazioni per cui sono giunti sulla Terra (il tutto viene liquidato in una manciata di battute). La storia avrebbe, insomma, meritato un minimo di approfondimento in più: c’erano sicuramente tutti gli ingredienti per creare un nuovo capolavoro di genere.
Ottima, comunque, l’interpretazione della Adams, ma anche i comprimari se la cavano (anche se Renner, a dirla tutta, risulta un poco fuori parte).
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lgiulianini
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martedì 23 maggio 2017
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mi ha preso!
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Arrival è un film strano, di cui mi è piaciuta molto l'atmosfera densa di sospensione e di mistero nello sforzo non indifferente di comunicare con una specie aliena, ipotesi probabile e poco indagata dalla fantascienza finora, ma ricco di snodi soggettivi, legati alla vicenda umana della protagonista Louise, che conducono a risultati oggettivi poco plausibili, ed a volte non facilmente spiegabili.
La Terra viene visitata contemporaneamente da dodici astronavi a forma di guscio che misurano 450m, sono di una composizione chimica sconosciuta, non emettono alcuna radiazione né forma di energia nota, insomma si avvicinano a pochi metri dal suolo o dal mare in dodici punti del Pianeta e si fermano, in attesa.
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Arrival è un film strano, di cui mi è piaciuta molto l'atmosfera densa di sospensione e di mistero nello sforzo non indifferente di comunicare con una specie aliena, ipotesi probabile e poco indagata dalla fantascienza finora, ma ricco di snodi soggettivi, legati alla vicenda umana della protagonista Louise, che conducono a risultati oggettivi poco plausibili, ed a volte non facilmente spiegabili.
La Terra viene visitata contemporaneamente da dodici astronavi a forma di guscio che misurano 450m, sono di una composizione chimica sconosciuta, non emettono alcuna radiazione né forma di energia nota, insomma si avvicinano a pochi metri dal suolo o dal mare in dodici punti del Pianeta e si fermano, in attesa.
Quello che visita gli Stati Uniti si ferma in Montana, subito chiaramente gli umani cercano di capire di cosa si tratti, chi siano questi visitatori e che cosa vogliano.
Ogni diciotto ore ogni guscio apre un portello, un invito al contatto evidente con gli umani, che dappertutto realizzano team misti di militari e scienziati in coordinamento tra loro, per capire il fenomeno e se esso rappresenti una minaccia cui elaborare una eventuale risposta.
In Montana il compito, oltre all'immancabile onnipresente Cia personificata grazie a Dio da un anonimo e del tutto dimenticabile funzionario, viene assunto dall'altrettanto immancabile esercito, qui rappresentato dal sempre ottimo Forest Whitaker, e da un team di scienziati capitanati da Louise Banks (Amy Adams) , linguista di fama mondiale, e dal fisico teorico Ian Donnely (Jeremy Renner).
Penetrati all'interno del guscio, i nostri scopriranno gli eptapodi, esseri dotati di sette tentacoli che usano per scrivere, anche contemporaneamente, i simboli semasiografici attraverso cui comunicano. E qui comincia il difficile: la scrittura semasiografica essendo non fonetica, esprime concetti e non suoni, un singolo ideogramma può esprimere intere frasi, una piccola variazione nei simboli circolari spezzati che gli eptapodi compongono ( vengono ribattezzati Tom e Jerry!), può essere una variazione anche fondamentale di significato, e qui, di fronte ad una scrittura a-numerica per eccellenza quale quella semasiografica, eccellerà il ruolo e l'importanza della linguista Louise Banks.
Ora le prime perplessità sorgono. Ci si domanda come possa una civiltà evolversi attraverso un linguaggio non verbale e non numerico per quanto complesso, essendo accaduto per la storia dell'Umanità l'esatto contrario. Proprio dalla fonazione e dal linguaggio e dalla capacità di parlarsi tra uomini riuscendosi a capire ed accordarsi al limite davanti ad un fuoco di bivacco, sono nati i primi nostri progressi, che la insorgenza DOPO, di una scrittura fonetica, non comune a tutti ma traducibile e di una numerazione condivisa ed intellegibile da popoli diversissimi, hanno consolidato fino al punto cui siamo arrivati, e che chiamiamo Civiltà Umana.
Oltretutto poco si capisce come esseri che di fatto sono grandi piovre, abbiano potuto costruire e manipolare alcunché, essendo proprio la conformazione della nostra mano prensile con pollice opponibile, ad avere fatto la differenza nella evoluzione della nostra specie rispetto alle altre pur presenti sul nostro Pianeta, al limite intelligenti e forse pensanti ( ed i polipi è provato che lo siano), ma non tecnologiche per i limiti anatomici di cui sopra.
Comunque senza svelare dettagli, Louise e Ian riescono ad instaurare un rapporto abbastanza promettente con i due eptapodi, la comprensione di molte cose sulla reale funzione della loro visita sembra vicinissima, ma le pressioni dall'esterno costituiscono un grave ostacolo, i singoli e le Nazioni hanno paura di questi visitatori senza linguaggio, e quando Louise traduce il messaggio “offrire arma” come scopo della loro presenza, il Mondo civile ed armato, in deficit di interpretazioni possibili che non siano ostili, sembra sull'orlo di una guerra.
Il tutto sarà scongiurato da una intuizione di Louise, e dal suo personale coraggio, e qui la vicenda degli strani visitatori si intreccerà strettamente con la sua figura di donna e di madre.
Si scoprirà che la vera “arma” degli eptapodi è proprio la loro scrittura non fonetica, non lineare e quindi atemporale. Una scrittura semasiografica non risponde al tempo, perché esprime concetti NON attraverso la fonazione che è soggetta ad evoluzione e quindi orientata in AVANTI, può muoversi in avanti così come all'indietro, e siccome siamo ciò che riusciamo ad esprimere attraverso il linguaggio secondo l'ipotesi di Sapir-Whorff, apprendendo il modo di comunicare degli alieni, Louise capisce che essi possono muoversi nel tempo attraverso il linguaggio, “rivivendo” il passato e comprendendone tutte le scelte, e “predicendo” il futuro, attraverso una simbologia così complessa che non è limitata alla realtà così com'è, ma anche alla realtà che si è vissuta ed a quella che si vivrà con piena consapevolezza.
Attraverso l'assorbimento del linguaggio alieno Louise rivivrà la sua vicenda personale e straziante con la figlia Hannah prematuramente scomparsa, comprenderà le scelte che hanno portato alla sua nascita, prospetterà, vedendola ormai con chiarezza, una nuova nascita futura. E condizionerà da sola la storia collettiva, rivelando rocambolescamente al comandante dell'esercito cinese (il primo a voler attaccare!), un segreto così recondito del suo vissuto da fargli cambiare idea sul da farsi, e consentire agli alieni di abbandonare indisturbati il nostro Pianeta.
Una idea affascinante bisogna dire muove Villeneuve, una riflessione sull'enigma del tempo e della sua non linearità: su questo di fatto si basa tutto il film.
La non linearità del tempo è un fatto che in fisica teorica si conosce bene, anche se non mancano dibattiti di ogni sorta cui in questa sede non è possibile neanche solo accennare, il tempo è una funzione dello spazio, come lo spazio si può curvare in presenza di grandi masse ed energie (come prospetta la teoria della singolarità riguardante buchi neri supermassicci e quasar, ove si postula che le altissime energie gravitazionali in gioco curvino lo spazio tanto fino addirittura ad azzerare il tempo nel cosidetto orizzonte degli eventi), e qui si vede un legame con il grande Interstellar di Nolan, un fatto pare però incontestabile: la freccia del tempo è unidirezionale, il tempo può rallentare, al limite anche forse fermarsi, ma mai tornare indietro. E questo perché l'Universo, almeno QUESTO UNIVERSO, è in espansione, si muove globalmente in avanti anche se a velocità diverse, la luce pur curvandosi in presenza di alti contenuti di materia ed energia (di fatto equivalenti secondo le equazioni di Einstein), segue all'infinito distaccandosi dalla sua fonte, provocando l'irradiazione luminosa che non è altro che una radiazione come le altre che conosciamo, un bicchiere che cade, cade e si rompe in mille pezzi, non può in alcun modo tornare indietro e ricomporsi sulla superficie da cui è caduto. Ma da qui in avanti servirebbe cambiare luogo e spostarsi in valutazioni di fisica teorica (con debite analisi, osservazioni, esperimentazioni, calcoli e raffiche di equazioni), neanche pensabili nel luogo in cui mi trovo.
Merito di Denis Villeneuve di avermi tanto indotto a riflettere di fronte ad un'Opera cinematografica almeno tentando di avvicinare il grande pubblico ad istanze di questo tipo.
Un Cinema così, di fronte a proverbiali sciocchezze multipremiate forse non a caso, si dimostra non solo affascinante ma addirittura utile. Da vedere quando ci si sente disposti ad almeno qualche ora di riflessione, non è un film spettacolo, nessun effetto speciale, azione ridotta all'osso. Lo vedo come un film di domande più che di risposte, un garbato invito alla riflessione per ciascuno di noi.
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woody62
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giovedì 26 gennaio 2017
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incontri ravvicinati del quinto tipo
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Una recensione su “Arrival” non può prescindere dal film di Spielberg del 1977, vincitore di due premi Oscar, che ne costituisce ideale premessa narrativa e “filosofica”. Il primo contatto fisico con gli alieni (del “terzo tipo” secondo la definizione dell'astrofisico Hyneck), è qui superato dal “quinto tipo”, ovvero secondo la definizione di Greer, dagli “incontri bilaterali posti in essere tramite iniziative umane coscienti, volontarie ed attive, o tramite la comunicazione cooperativa con intelligenze extraterrestri”. E proprio la comunicazione è il fulcro del film, intesa nel senso del rapporto tra umani e alieni, ma soprattutto tra umani ed umani.
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Una recensione su “Arrival” non può prescindere dal film di Spielberg del 1977, vincitore di due premi Oscar, che ne costituisce ideale premessa narrativa e “filosofica”. Il primo contatto fisico con gli alieni (del “terzo tipo” secondo la definizione dell'astrofisico Hyneck), è qui superato dal “quinto tipo”, ovvero secondo la definizione di Greer, dagli “incontri bilaterali posti in essere tramite iniziative umane coscienti, volontarie ed attive, o tramite la comunicazione cooperativa con intelligenze extraterrestri”. E proprio la comunicazione è il fulcro del film, intesa nel senso del rapporto tra umani e alieni, ma soprattutto tra umani ed umani. Ne deriva che il personaggio chiave è la linguista Louise Banks (ottimamente interpretata da Amy Adams) cui è affidato l'immane compito di trovare una soluzione al problema: come comunicare con gli “eptapodi”, gli alieni con sette arti che a dire il vero nel film si intravedono appena. La brillante scienziata capisce ben presto che l'approccio vocale basato sui suoni è impraticabile (ricordate il metodo “musicale” di Spielberg?), mentre sarà un simbolismo grafico a consentire la comunicazione. Resta però il problema dato dalla complessità della lingua umana ove i significati delle parole e le mille sfumature del linguaggio possono comportare interpretazioni opposte. E' il caso di “offrire arma”, frase che gli alieni esprimono in tutti i dodici siti ove i “gusci” giganteschi sono atterrati. Solo Louise, con l'aiuto degli alieni e la collaborazione del fisico Ian Donnelly- con cui nascerà un amore -, sarà in grado di capire il reale significato della frase e questo potrà salvare il mondo. L'altro aspetto trattato dal film è la comunicazione tra gli umani; nel momento in cui il flusso di informazioni tra i diversi Stati si interrompe, sembrano prevalere gli atteggiamenti bellicosi e oltranzisti e l'umanità si avvicina al baratro della distruzione. Sarà la semplice, quanto fondamentale “teoria dei giochi” a fornire una soluzione. L'unico modo per superare la crisi è optare per un gioco “non a somma zero”, ovvero un rapporto in cui entrambi i giocatori abbiano un loro guadagno. In poche parole, serve un intento collaborativo condiviso da tutti e che può giovare a tutti. Questo accadrà per i rapporti tra gli Stati e, come si capirà alla fine, anche per i rapporti tra umani e alieni. L'aspetto più interessante del film riguarda tuttavia la protagonista Banks, compresa la sua tragedia familiare con una figlia morta per un tumore in tenera età, come si apprende dalle prime scene e nei flash durante i “colloqui” con gli alieni. Ancora una volta aiuta la comprensione il metodo comunicativo alieno che non segue una linea temporale ordinaria, ma il bellissimo finale che riguarda la vita e la storia di Louise, merita di non essere svelato. Un film da non perdere.
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maurizio meres
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martedì 17 gennaio 2017
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l'arrivo,il comunicare e il sapere
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Film basato essenzialmente sul paradosso del tempo,attraverso una studiosa ed esperta nella traduzione delle lingue e sul significato universale dei simboli,inizia l'approccio di comunicare con il grande mistero della vita "che non siamo soli "Louise attraverso una sorta di comunicazione quasi spirituale con gli alieni viene beneficiata dal dono di vedere tutto il trascorrere della propria vita con flash che la portano nel futuro sia nel bene che nel male senza poterla modificare,ma accettare tutto in una sorta di grazia di Dio,sinceramente non so fino a che punto per noi umani si può essere accettare una situazione del genere,ma lei è una scienziata aperta e non influenzabile da credenze e pregiudizi.
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Film basato essenzialmente sul paradosso del tempo,attraverso una studiosa ed esperta nella traduzione delle lingue e sul significato universale dei simboli,inizia l'approccio di comunicare con il grande mistero della vita "che non siamo soli "Louise attraverso una sorta di comunicazione quasi spirituale con gli alieni viene beneficiata dal dono di vedere tutto il trascorrere della propria vita con flash che la portano nel futuro sia nel bene che nel male senza poterla modificare,ma accettare tutto in una sorta di grazia di Dio,sinceramente non so fino a che punto per noi umani si può essere accettare una situazione del genere,ma lei è una scienziata aperta e non influenzabile da credenze e pregiudizi.
Nel film ci sono i soliti conflitti tra popoli,il potere di ognuno che distrugge l'essenzialità di dialogo,ma che alla fine in una sorta di torre di babele al contrario,i popoli attraverso Louise si capiscono comprendo l'importanza del dialogo ma soprattutto apprezzano il grande dono del sapere.
Villeneuve estrapola questo film dai racconti noti come "storie della mia vita" di uno scrittore Americano Ted Chiang,autorevole personaggio della narrativa fantastica,gli riesce nel migliore dei modi entrando dell'intimo dei personaggi senza mai essere né patetico e soprattutto violento,gli alieni sono fragili non sono indistruttibili uno di loro muore,ma il loro concetto di vita non conosce violenza,la loro dissolvenza finale può intendersi come l'anima e il corpo siano indipendenti l'uno dall'altro.
Bellissimo finale un po' enigmatico ma logico,se si segue bene il film tutto torna,il tempo nella nostra dimensione ritorna ad essere il protagonista,dove Louise riesce nel dare la giusta dimensione esistenziale seppur drammatica,alla sua vita.
Fantastico si,ma essenziale per quello che ora non siamo (universalmente aperti).
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robertalamonica
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domenica 22 gennaio 2017
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amy adams oltre lo spazio e il tempo
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'Arrival'. Inserire e incasellare questo film in un filone di fantascienza esistenzialista che vede Denis Villeneuve in buona compagnia con Terrence Malick e Christopher Nolan non rende giustizia alla specificità di questo bel film e all'infinita delicatezza e profondità con cui il regista canadese tratta i suoi temi e motivi: l'amore e l'importanza della comprensione reciproca come base imprescindibile di qualsiasi scambio comunicativo. Louise Banks, eminente linguista scelta per decriptare le intenzioni e le modalità espressive dei 'visitatori', non 'si perde nella traduzione' ma decide di dare un'opportunità al dono che i visitatori, gli 'eptapodi', stanno facendo alla Terra, affidandosi e donandosi, appunto, all'humanitas, a una filantropia che trascende i confini di razza, genere, provenienza.
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'Arrival'. Inserire e incasellare questo film in un filone di fantascienza esistenzialista che vede Denis Villeneuve in buona compagnia con Terrence Malick e Christopher Nolan non rende giustizia alla specificità di questo bel film e all'infinita delicatezza e profondità con cui il regista canadese tratta i suoi temi e motivi: l'amore e l'importanza della comprensione reciproca come base imprescindibile di qualsiasi scambio comunicativo. Louise Banks, eminente linguista scelta per decriptare le intenzioni e le modalità espressive dei 'visitatori', non 'si perde nella traduzione' ma decide di dare un'opportunità al dono che i visitatori, gli 'eptapodi', stanno facendo alla Terra, affidandosi e donandosi, appunto, all'humanitas, a una filantropia che trascende i confini di razza, genere, provenienza. E sceglie di accogliere l'amore nel momento stesso in cui scopre quanto e quale dolore 'il dono' porterà nella sua vita. Il dono degli eptapodi è il dono dell'accettazione della circolarità della vita, della morte come momento di passaggio in cui ogni fine corrisponde a un inizio, in una dimensione temporale che non è lineare ma circolare, appunto. L'amore, la scrittura, la comunicazione, la cultura, l'empatia, l'accoglienza e non la mera tecnologia saranno la chiave per la risoluzione di una crisi che è sì quella esistenziale della protagonista ma che simboleggia la crisi drammatica della cultura nel mondo contemporaneo (rappresentata dalla scarsa affluenza alle lezioni di Louise all'università), della condivisione stoica del destino dell'uomo, dell'importanza della ricerca di un significato profondo che leghi la parola all'azione. Bello, davvero.
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andrea1974
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lunedì 23 gennaio 2017
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oltre la fantascienza, film esistenscientifico
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Un film solido, sicuro, che mantiene quel che promette fin da subito: forse è questo il limite e il senso del deja-vù che lo penalizza. Affascina per la filosofia del linguaggio che affronta, forse unica novità al filone fantascientifico, da "Incontri raccivinati del terzo tipo" a "Interstellar", passando per "2001 Odissea nello spazio", cui si rifà il film; affascina per i flash-back che divengono flash-foward e viceversa, creando un cortocircuito temporale, cui tuttavia già "Interstellar" ci aveva abituati. Ma il film rimane un pò freddino, come l'astronave e gli eptopodidi, la tensione militare e la paura collettiva.
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Un film solido, sicuro, che mantiene quel che promette fin da subito: forse è questo il limite e il senso del deja-vù che lo penalizza. Affascina per la filosofia del linguaggio che affronta, forse unica novità al filone fantascientifico, da "Incontri raccivinati del terzo tipo" a "Interstellar", passando per "2001 Odissea nello spazio", cui si rifà il film; affascina per i flash-back che divengono flash-foward e viceversa, creando un cortocircuito temporale, cui tuttavia già "Interstellar" ci aveva abituati. Ma il film rimane un pò freddino, come l'astronave e gli eptopodidi, la tensione militare e la paura collettiva. Un esercizio stilistico che vuole continuare il filone di una nuova fantascienza coniugata con la profondità umana e le emozioni: ma le emozioni rimangono ovattate e fredde, e lo stupore fantascientifico si perde per strada.
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