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venerdì 27 gennaio 2017
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grande villeneuve
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Grande film di fantascienza esistenziale; inquieta,commuove e fa riflettere.
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annina22
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giovedì 26 gennaio 2017
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bel film "drammascientifico"
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Ho apprezzato molto il film, piacendomi sia il drammatico che il fantascientifico, per me andava più che bene. Ho trovato di grande originalità il modo in cui viene sviluppato il concetto di comunicazione e di lingua; un po' meno la "forma" di questi alieni. La cosa che mi è piaciuta meno è, tipicamente dei film usa, questi scenari apocalittici in cui "gli altri" giocano sempre il ruolo dei cattivi/incivili... vedasi russia e cina in Arrival, appunto.
Non lo ritengo un film lento,come giudicato dai più,anzi,piacevolmente da gustare anche grazie alla splendida colonna sonora. Lo consiglio e lo rivedrei, è un film che sa evocare tenerezza e riflessione.
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Ho apprezzato molto il film, piacendomi sia il drammatico che il fantascientifico, per me andava più che bene. Ho trovato di grande originalità il modo in cui viene sviluppato il concetto di comunicazione e di lingua; un po' meno la "forma" di questi alieni. La cosa che mi è piaciuta meno è, tipicamente dei film usa, questi scenari apocalittici in cui "gli altri" giocano sempre il ruolo dei cattivi/incivili... vedasi russia e cina in Arrival, appunto.
Non lo ritengo un film lento,come giudicato dai più,anzi,piacevolmente da gustare anche grazie alla splendida colonna sonora. Lo consiglio e lo rivedrei, è un film che sa evocare tenerezza e riflessione. Presenta qualcosa di non visto senza stratosferici effetti pseudo-speciali, è un film credibile, dove si intravede la nostra (dis)umanità.
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cristian
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giovedì 26 gennaio 2017
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la rinascita della fantascienza.
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Il regista canadese Denis Villeneuve (Prisoners; Enemy; Sicario; il prossimo Blade Runner 2049) soffia finalmente aria fresca sul panorama fantascientifico, recentemente un po’ fiacco, con il film Arrival che getta nuove e stimolanti basi da cui ripartire appassionatamente. Eric Heisserer (Final Destination 5; La cosa [2011]; Lights Out - Terrore nel buio) realizza una sceneggiatura che dosa perfettamente parlato e suspence. Fotografia affidata a Bradford Young (Selma - La strada per la libertà). Musiche di Jóhann Jóhannson (Prisoners; La teoria del tutto; Sicario; il prossimo Blade Runner 2049). Amy Adams interpreta perfettamente il personaggio (come si sospettava), mentre Jeremy Renner si conferma un buon comprimario.
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Il regista canadese Denis Villeneuve (Prisoners; Enemy; Sicario; il prossimo Blade Runner 2049) soffia finalmente aria fresca sul panorama fantascientifico, recentemente un po’ fiacco, con il film Arrival che getta nuove e stimolanti basi da cui ripartire appassionatamente. Eric Heisserer (Final Destination 5; La cosa [2011]; Lights Out - Terrore nel buio) realizza una sceneggiatura che dosa perfettamente parlato e suspence. Fotografia affidata a Bradford Young (Selma - La strada per la libertà). Musiche di Jóhann Jóhannson (Prisoners; La teoria del tutto; Sicario; il prossimo Blade Runner 2049). Amy Adams interpreta perfettamente il personaggio (come si sospettava), mentre Jeremy Renner si conferma un buon comprimario. Solo una parte secondaria, ma importante e recitata con la giusta severità, per Forest Whitaker.
La linguista Louise Banks (Amy Adams) viene scelta per entrare a far parte di un team speciale, formato da esercito e scienziati, il cui compito è quello di riuscire a scoprire le intenzioni di una specie aliena arrivata sulla Terra a bordo di 12 navi soprannominate “gusci”. Louise ha già avuto a che fare con questioni di sicurezza di alto livello grazie alla sua eccezionale conoscenza delle lingue e per questo viene scelta quale possibile veicolo comunicativo tra umani e alieni al fine di scoprire il perché del loro arrivo. Il compito di Louise è di fondamentale importanza visto che le navi, sparse per il globo, potrebbero causare l’intervento militare delle Nazioni “occupate”. Ad aiutare la linguista ci sarà, tra gli altri, il fisico teorico Ian Donnelly (Jeremy Renner) mentre il braccio armato è rappresentato dal colonnello Weber (Forest Whitaker).
Fresco di 8 nominations all’ormai imminente edizione degli Oscar, lo sci-fi di Denis Villeneuve, Arrival, riesce a mettere in mostra la migliore qualità che in questi anni il genere aveva smarrito: l’originalità. Il regista si serve del reiterato e maltrattato tema dell’ “invasione aliena” per raccontare tutt’altro. Le 12 astronavi che arrivano sulla Terra si comportano in modo totalmente opposto rispetto a quanto visto sullo schermo nell’ultimo lungo periodo. Gli alieni non vogliono seminare morte e distruzione per chissà quale motivo. Vogliono dialogare! E scordatevi di usare il termine ‘semplicemente’ tra le parole ‘vogliono’ e ‘dialogare’ perché, in realtà, quello che ad esseri primitivi come noi riesce più semplice è sicuramente fare ricorso alle armi senza pensare nemmeno per un secondo alle disastrose conseguenze. Finalmente viene presentata sullo schermo una vera intelligenza superiore, in tutti i sensi. Ma, che cosa vogliono i visitatori? Tra la tensione che vige in 12 Paesi occupati da altrettante navi spaziali, in quella che sembra essere la classica calma prima della tempesta (sono il primo nella storia a usare questo modo di dire!), agisce dunque la figura di Louise Banks, la linguista che cercherà di usare con i visitatori l’arma più potente (ma l’uomo mica lo sa) a nostra disposizione: il dialogo. L’apprezzabile personaggio interpretato da Amy Adams è assillato, durante tutto l’arco del film, da vecchi, dolci e orribili ricordi riguardanti la figlia, morta in giovane età a causa di un male. Come ci si può attendere, la reiterazione di tali ricordi risulterà in qualche modo determinante. Determinante e spiazzante. Villeneuve ti da il tempo di un film per cercare di carpire elementi significanti da questi ricordi ma tutto quello che riesce a fare è stupirti. In uno sci-fi che si rispetti il pensiero logico va a farsi benedire ed è proprio quando scopri di aver torto che puoi godere del risultato della pellicola. Villeneuve, che ho già apprezzato enormemente in Prisoners, è abile nel creare la giusta atmosfera, la giusta musica, le giuste ambientazioni, la perfetta misurazione dei momenti lenti e tesi che ben si accordano ad un prodotto del genere. La bellezza del film sta nell’intreccio, nel venirsi incontro, soltanto alla fine, di elementi che all’inizio partono distanti e come posti su linee parallele che non si incontreranno mai. L’altra tematica è il tempo. La pellicola gioca, con mestiere, con questo fattore intangibile provando a liberarlo dalla prigione della nostra limitata e lineare concezione di esso. E’ una delle cose che più ammiro nei registi che, come Villeneuve, ci riescono (vedi, sul tema, Interstellar; non meno sensazionale al riguardo Predestination). In definitiva, l’invito ad una necessaria quanto immediata rivalutazione del dialogo tra gli esseri umani viene urlato a gran voce in Arrival. C’è bisogno di risvegliare l’umanità che dorme nelle nostre menti labili, diffidenti, in continua competizione l’una con l’altra per raggiungere un bene personale fregandosene dell’altro. L’incomprensione, generata dalla volontà di non voler capire, ci porta a reazioni immediate e insensate soltanto per paura che il nostro vicino faccia la prima mossa che ci porti alla sconfitta. Questo è un mondo che, oggi più che mai, deve pretendere che la fiducia reciproca e la collaborazione per un bene comune e più grande della soggettività diventino i valori portanti dell’essere umano. Tutto questo in Arrival c’è. Una lodevole pellicola di fantascienza che non rinuncia al messaggio profondamente attuale e reale, e destinata a diventare, negli anni, un cult. Ne avevamo bisogno.
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woody62
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giovedì 26 gennaio 2017
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incontri ravvicinati del quinto tipo
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Una recensione su “Arrival” non può prescindere dal film di Spielberg del 1977, vincitore di due premi Oscar, che ne costituisce ideale premessa narrativa e “filosofica”. Il primo contatto fisico con gli alieni (del “terzo tipo” secondo la definizione dell'astrofisico Hyneck), è qui superato dal “quinto tipo”, ovvero secondo la definizione di Greer, dagli “incontri bilaterali posti in essere tramite iniziative umane coscienti, volontarie ed attive, o tramite la comunicazione cooperativa con intelligenze extraterrestri”. E proprio la comunicazione è il fulcro del film, intesa nel senso del rapporto tra umani e alieni, ma soprattutto tra umani ed umani.
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Una recensione su “Arrival” non può prescindere dal film di Spielberg del 1977, vincitore di due premi Oscar, che ne costituisce ideale premessa narrativa e “filosofica”. Il primo contatto fisico con gli alieni (del “terzo tipo” secondo la definizione dell'astrofisico Hyneck), è qui superato dal “quinto tipo”, ovvero secondo la definizione di Greer, dagli “incontri bilaterali posti in essere tramite iniziative umane coscienti, volontarie ed attive, o tramite la comunicazione cooperativa con intelligenze extraterrestri”. E proprio la comunicazione è il fulcro del film, intesa nel senso del rapporto tra umani e alieni, ma soprattutto tra umani ed umani. Ne deriva che il personaggio chiave è la linguista Louise Banks (ottimamente interpretata da Amy Adams) cui è affidato l'immane compito di trovare una soluzione al problema: come comunicare con gli “eptapodi”, gli alieni con sette arti che a dire il vero nel film si intravedono appena. La brillante scienziata capisce ben presto che l'approccio vocale basato sui suoni è impraticabile (ricordate il metodo “musicale” di Spielberg?), mentre sarà un simbolismo grafico a consentire la comunicazione. Resta però il problema dato dalla complessità della lingua umana ove i significati delle parole e le mille sfumature del linguaggio possono comportare interpretazioni opposte. E' il caso di “offrire arma”, frase che gli alieni esprimono in tutti i dodici siti ove i “gusci” giganteschi sono atterrati. Solo Louise, con l'aiuto degli alieni e la collaborazione del fisico Ian Donnelly- con cui nascerà un amore -, sarà in grado di capire il reale significato della frase e questo potrà salvare il mondo. L'altro aspetto trattato dal film è la comunicazione tra gli umani; nel momento in cui il flusso di informazioni tra i diversi Stati si interrompe, sembrano prevalere gli atteggiamenti bellicosi e oltranzisti e l'umanità si avvicina al baratro della distruzione. Sarà la semplice, quanto fondamentale “teoria dei giochi” a fornire una soluzione. L'unico modo per superare la crisi è optare per un gioco “non a somma zero”, ovvero un rapporto in cui entrambi i giocatori abbiano un loro guadagno. In poche parole, serve un intento collaborativo condiviso da tutti e che può giovare a tutti. Questo accadrà per i rapporti tra gli Stati e, come si capirà alla fine, anche per i rapporti tra umani e alieni. L'aspetto più interessante del film riguarda tuttavia la protagonista Banks, compresa la sua tragedia familiare con una figlia morta per un tumore in tenera età, come si apprende dalle prime scene e nei flash durante i “colloqui” con gli alieni. Ancora una volta aiuta la comprensione il metodo comunicativo alieno che non segue una linea temporale ordinaria, ma il bellissimo finale che riguarda la vita e la storia di Louise, merita di non essere svelato. Un film da non perdere.
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lionardo
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giovedì 26 gennaio 2017
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l'alterità, l'amore ed il tempo umano.
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Non è un film facile, fin dall'inizio si capisce che qualcosa succede, deve succedere. In qualche momento, in quel momento o forse sempre, per sempre. Gli alieni arrivano sulla terra, siamo abituati a vedere film del genere, ma chi sono, cosa ci fanno, come ci sono arrivati questi esseri dal corpo strano? Dobbiamo trovare un modo per capirlo, per farlo tuttavia le cose che possediamo le nostre conoscenze sono del tutto inutili, dobbiamo trovare qualcosa di nuovo basandoci sul vecchio che farà da significante. Il rischio tuttavia sarà perdersi, cambiare e in parte perdere se stessi. Si capisce fin dalla prima volta in cui il gruppo scelto approccia gli alieni, la testa gira vacilla, la nausea sale, non tutti riescono a reggere il momento, non tutti sono forti abbastanza per approcciarsi all'Altro, a qualcosa di cui per il momento siamo completamente inconsapevoli e non sappiamo di non saperlo.
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Non è un film facile, fin dall'inizio si capisce che qualcosa succede, deve succedere. In qualche momento, in quel momento o forse sempre, per sempre. Gli alieni arrivano sulla terra, siamo abituati a vedere film del genere, ma chi sono, cosa ci fanno, come ci sono arrivati questi esseri dal corpo strano? Dobbiamo trovare un modo per capirlo, per farlo tuttavia le cose che possediamo le nostre conoscenze sono del tutto inutili, dobbiamo trovare qualcosa di nuovo basandoci sul vecchio che farà da significante. Il rischio tuttavia sarà perdersi, cambiare e in parte perdere se stessi. Si capisce fin dalla prima volta in cui il gruppo scelto approccia gli alieni, la testa gira vacilla, la nausea sale, non tutti riescono a reggere il momento, non tutti sono forti abbastanza per approcciarsi all'Altro, a qualcosa di cui per il momento siamo completamente inconsapevoli e non sappiamo di non saperlo. Non sarà facile e poi perchè farlo, non sarebbe più facile distruggere tutto e scacciare l'Alieno dalla terra, cosa possiamo ottenere in cambio? Bel film a mio modo di vedere.
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astromelia
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giovedì 26 gennaio 2017
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polpettone confuso semiridicolo
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primo dei film candidati all'oscar che ho visto,deludente e poco credibile,se dovessi fare un film sugli alieni sicuramente non m'inventerei dei polipi a sette arti ,ma come sempre chi più ne ha ne metta,inoltre la trama è contorta poco si afferra sopratutto all'inizio,e troppo simile ai film di malick ,visioni sul futuro ma che è anche passato inducono nello spettatore continue domande perdendo il filo conduttore,insomma una fantascienza nel più puro stile ,cioè quello di costruire un possibile futuro ma che rimanda al presente di ognuno di noi,tesi a sbrogliare la matassa delle nostre elucubrazioni terrene,per questo non c'è bisogno di navicelle improbabili ne di mostri alieni,ma meramente di riflessioni spazio/tempo sulle nostre azioni e le conseguenze causa/effetto delle stesse.
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primo dei film candidati all'oscar che ho visto,deludente e poco credibile,se dovessi fare un film sugli alieni sicuramente non m'inventerei dei polipi a sette arti ,ma come sempre chi più ne ha ne metta,inoltre la trama è contorta poco si afferra sopratutto all'inizio,e troppo simile ai film di malick ,visioni sul futuro ma che è anche passato inducono nello spettatore continue domande perdendo il filo conduttore,insomma una fantascienza nel più puro stile ,cioè quello di costruire un possibile futuro ma che rimanda al presente di ognuno di noi,tesi a sbrogliare la matassa delle nostre elucubrazioni terrene,per questo non c'è bisogno di navicelle improbabili ne di mostri alieni,ma meramente di riflessioni spazio/tempo sulle nostre azioni e le conseguenze causa/effetto delle stesse.
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pruno
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giovedì 26 gennaio 2017
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illuminante
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Arrival è un magnifico pretesto. L'argomento che permea tutta l'opera è la comunicazione, ma ci si illude di vedere un film di fantascienza; per intenderci, è la stessa sensazione (stesso pretesto, fine diverso) che si prova guardando la prima volta Melancholia di Von Trier.
Gli abitanti delle civiltà aliene (gli invasori) sono stati spesso rappresentati come infinite copie di uno stesso calco, con al massimo qualche arto o occhio in più a distinguere i capi dai sudditi. Eppure noi, unica razza dominatrice, siamo divisi in inifinite fazioni per cultura, usanze, passato e quindi, linguaggio: siamo disuniti in tutto; neanche un pericolo incombente riuscirà a non mettere in luce l'estremo egoismo che permea la razza umana.
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Arrival è un magnifico pretesto. L'argomento che permea tutta l'opera è la comunicazione, ma ci si illude di vedere un film di fantascienza; per intenderci, è la stessa sensazione (stesso pretesto, fine diverso) che si prova guardando la prima volta Melancholia di Von Trier.
Gli abitanti delle civiltà aliene (gli invasori) sono stati spesso rappresentati come infinite copie di uno stesso calco, con al massimo qualche arto o occhio in più a distinguere i capi dai sudditi. Eppure noi, unica razza dominatrice, siamo divisi in inifinite fazioni per cultura, usanze, passato e quindi, linguaggio: siamo disuniti in tutto; neanche un pericolo incombente riuscirà a non mettere in luce l'estremo egoismo che permea la razza umana.
La vastità e la bellezza del tema trattato e la profondità della interpretazione della protagonista (Amy Adams è in splendida forma) fanno scorrere i minuti e non fanno sentire la mancanza di qualsivoglia scena d'azione: tutto accade con estrema fluidità, i pezzi del puzzle si depositano proprio lì, dove devono stare, e svelano una figura che non ti aspetti e di sicuro fascino.
Sconsigliato a chi è in cerca di ecatombi e bandiere a stelle estrisce che sventolano su una nave spaziale fumante al tramonto.
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cinefilorosso
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mercoledì 25 gennaio 2017
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quando la fantascienza incontra l'amore e la filos
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L'inizio e la fine,la fine e l'inizio,sono i punti cardine di arrival,un film visionario e filosofico,che somministra all'umanità il dubbio è la paura di essere annientati da una razza aliena,e costringendoci a porci delle domande.
E se invece il genere umano fosse soltanto vittima del suo egocentrismo? Se invece la natura della razza umana fosse irrimediabilmente violenta e guerrafondaia?
Gli eptapodi ci offrono una via di fuga,mostrando amore e gentilezza,e,nella loro mostruosa forma,apparendoci come creature dolci e sensibili.
"Offriamo armi" è questo ciò che jerry comunica alla linguista louise,che spinta dalla sua profonda emotività si addentra in una storia sempre più densa di significato,cercando di scoprire lo scopo è sopratutto il linguaggio che questi mostruosi giganti stanno cercando di diffondere,mentre il resto delle potenze mondiali si incammina già verso la repressione violenta.
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L'inizio e la fine,la fine e l'inizio,sono i punti cardine di arrival,un film visionario e filosofico,che somministra all'umanità il dubbio è la paura di essere annientati da una razza aliena,e costringendoci a porci delle domande.
E se invece il genere umano fosse soltanto vittima del suo egocentrismo? Se invece la natura della razza umana fosse irrimediabilmente violenta e guerrafondaia?
Gli eptapodi ci offrono una via di fuga,mostrando amore e gentilezza,e,nella loro mostruosa forma,apparendoci come creature dolci e sensibili.
"Offriamo armi" è questo ciò che jerry comunica alla linguista louise,che spinta dalla sua profonda emotività si addentra in una storia sempre più densa di significato,cercando di scoprire lo scopo è sopratutto il linguaggio che questi mostruosi giganti stanno cercando di diffondere,mentre il resto delle potenze mondiali si incammina già verso la repressione violenta.
Un film diverso,che non rinuncia,ma anzi,abbraccia lo stile visionario che tanto è caro a terence malick,e nonostante questo,brilla di una luce propria.
Un gigantesco monolite nero ci riporta nel 1968,quando stanley kubrick partoriva un capolavoro del calibro di 2001 odissea nello spazio,successivamente ci trascina attraverso un clima di tensione già assaporato nella guerra dei mondi del maestro spielberg,ed infine ci pone davanti a delle riflessioni ideologiche e filosofiche che stringono la mano ad incontri ravvicinati del terzo tipo.
Il film si fa forte di una sceneggiatura salda e ben costruita,e di una narrazione che ha come puntello una figura retorica di tipo sintattico,la prolessi.la pellicola poi Gioca sui colori,il bianco e il Nero,gioca sul sonoro,ponendo un senso di "piccolezza" ed "inquietudine" nello spettatore,il quale non può fare a meno di rimanere sbigottito nell'ascoltare i tonanti versi dei giganteschi mostri dai sette arti.
memorabile dal punto di vista scenografico e fotografico la primissima scena del contatto tra i due protagonisti e gli alieni,il tutto orchestrato da un montaggio davvero azzeccato,che non lascia spazi vuoti o tempi morti.
Amy infine,è bellissima,ma oltre ad essere splendida è anche straordinariamente brava,espressiva,malinconica,profondamente irrequieta e fortemente tormentata dagli eventi che si susseguono,corre veloce insomma,ma jeremy renner e forest whitaker,pur non avendo grande spessore nel film e forse rimanendo sempre un Po nell'ombra,riescono comunque a tenere il passo.
Villeneuve orchestra il tutto con grande maestria,riuscendo a creare una pellicola che pur strizzando l'occhio a qualche classico che noi tutti conosciamo,rompe gli schemi ordinari della fantascienza e si erge in alto,osando e facendo centro.
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trollipp
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mercoledì 25 gennaio 2017
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con l'inchiostro della penna stilografica
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Scienze e fiction nel film di Villeneuve sugli schermi mondiali per celebrare un arrivo, gli arrivi alieni.
Arrival vuol dire anche neonato, avvento, apparizione.
Il tempo dell'avvento e siamo già nel Carnevale.
"Arrivano" con le due r del verbo che scaldano i motori, arrivano nei gusci, astronavi del 2017, arrivano dei polpi, dei cefalopidi che emettono inchiostro nero attraverso un sifone, dice Wikipedia,non uno dei tentacoli.
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Scienze e fiction nel film di Villeneuve sugli schermi mondiali per celebrare un arrivo, gli arrivi alieni.
Arrival vuol dire anche neonato, avvento, apparizione.
Il tempo dell'avvento e siamo già nel Carnevale.
"Arrivano" con le due r del verbo che scaldano i motori, arrivano nei gusci, astronavi del 2017, arrivano dei polpi, dei cefalopidi che emettono inchiostro nero attraverso un sifone, dice Wikipedia,non uno dei tentacoli. Arrivano per darci un dono che fra tremila anni ci servirà, servirà a loro, ok ci servirà. Il dono di leggere nel futuro.
Andiamo dunque a vedere questo film al Centro Commerciale in una sala vuota, altri due spettatori più in là. In quattro.
Arrival e arriva il neonato, la neonata, la nascita della figlia della protagonista, insegnante e ricercatrice universitaria, non sappiamo se a contratto o meno, comunque linguista, che abita in una casa veranda spettacolare, in un bosco con vista lago.
I film sono così.
Arrival sono dodici gusci che stazionano in alcuni punti della terra, Cina, Russia, America, l'Europa è un po' messa in disparte mentre la Cina si prepara ad attaccare il loro guscio, la Russia, il Pakistan ed il Sudan faranno lo stesso. L'America brava brava attende e cerca di comprendere quei segnali prima di intraprendere una guerra intelligente. Fantascienza dunque.
Visto così l'impianto sembra uno schema già fin troppo visto, ed infatti lo è, ridicolo a volte, come ridicolo l'arrivo notturno in casa della protagonista Louise e la battuta sui dieci minuti per preparare uno zaino necessario ad una così importante spedizione.
Un film senza una logica, prima i protagonisti indossano scafandri per andare ed è difficilissimo salire in una specie di parete uterina lunghissima per incontrare gli alieni, poi vanno e vengono senza protezioni come se andassero a passeggio sul corso cittadino.
La sceneggiatura è basata su un racconto dal titolo "Storia della tua vita" di Ted Chiang e contiene qualche spunto interessante. La difficoltà di comunicazione, di interpretare i segni, il concetto di memoria circolare con possibilità di conoscere il futuro.
Con l'inchiostro della penna stilografica anche io, da bimba, facevo quei cerchi e quelle figure, forse ancestrali, in una memoria dove passato e futuro si incrociano nel luogo effimero del presente.
Un futuro che conosciamo, ne siamo responsabili, scegliendo volta per volta la guerra, la vita o il disprezzo. Un futuro che è un cerchio, molti cerchi, che noi non vedremo.
Salviamo dal film i due attori, non aspettando l'Oscar
Ippolita Luzzo
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fredb
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mercoledì 25 gennaio 2017
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"cara, che significa quel cerchio alieno?....
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vediamo.... significa... "MAI... UNA... GIOIA... ah ecco la traduzione del cerchio alieno: MAI UNA GIOIA!"
Ma che film e? Ma stiamo scherzando?
Fantapolitica da due soldi altro che fantascienza.
Mi immagino la storia di come sia nato il film:
Io produttore di Hollywood voglio fare un film polico contro tutto quello che rappresenta il neo presidente degli USA ( e per questo merito anche tanti oscar! )
Inoltre ci voglio investire tanto... tantissimo, che solo la prima scena, che è copiata da Indipendance Day del 1996, mi deve costare almeno 10 milioni di dollari.
Ma non posso dire troppo direttamente che le idee del nuovo presidente non mi piacciono.
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vediamo.... significa... "MAI... UNA... GIOIA... ah ecco la traduzione del cerchio alieno: MAI UNA GIOIA!"
Ma che film e? Ma stiamo scherzando?
Fantapolitica da due soldi altro che fantascienza.
Mi immagino la storia di come sia nato il film:
Io produttore di Hollywood voglio fare un film polico contro tutto quello che rappresenta il neo presidente degli USA ( e per questo merito anche tanti oscar! )
Inoltre ci voglio investire tanto... tantissimo, che solo la prima scena, che è copiata da Indipendance Day del 1996, mi deve costare almeno 10 milioni di dollari.
Ma non posso dire troppo direttamente che le idee del nuovo presidente non mi piacciono... che gli Stati Uniti non si devono chiudere con l'Asia anzi al contrario dovrebbero comunicare, scambiarsi i dati, informazioni, cultura, ecc...
Allora, come si fa? Ah ecco facciamo un film di fantascienza in cui ce lo dicono gli alieni !!!
WAUUUOOOAAAWWW che ideona... facciamolo!
Si ma facciamolo bello pesante... di una noia inverosimile... angosciante... con una protagonista che stà sulle balle a tutti, dai... facciamo finta che sia un film intimista tosto alla Malick con i flash back emotivi strappa budella!!! Ah non dimentichiamo... la protagonista deve vivere in una villa immensa con tutte pareti di vetro in cui non vivrebbe nessuno, così è tutto più credibile.
Concludo dicendo che gli alieni di Arrival sono copiati un pò dai Simpson ed un pò da Futurama, però li chiamiamo Tom e Gerry, così stanno simpatici a tutti.
Geniale!
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