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domenica 12 agosto 2018
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precisazione...
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Nella presentazione si legge che Hugh Glass (Di Caprio) desidera vendicarsi di due uomini che lo hanno derubato e abbandonato dopo essere rimasto ferito per colpa di un orso...non é cosí, egli desidera vendicarsi dopo che uno di questi due uomini (John Fitzgerald alias Tom Hardy) gli ha ucciso il figlio (Forrest Goodluck alias Hawk) con una pugnalata...
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greatsteven
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sabato 21 luglio 2018
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incredibile leggenda di un eroe senza ripensamenti
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REVENANT – REDIVIVO (USA, 2016) diretto da ALEJANDRO GONZáLEZ IňARRITU. Interpretato da LEONARDO DICAPRIO, TOM HARDY, DOMHNALL GLEESON, WILL POULTER, FORREST GOODLUCK, PAUL ANDERSON
Ispirato ad eventi realmente accaduti. North Dakota, 1823: mentre il trapper Hugh Glass è a caccia di alci, il suo accampamento viene attaccato da un gruppo di feroci indiani Arikara, e nel tentativo di difendersi, muoiono ben trentatré uomini della spedizione. Non potendo salvare le pellicce accuratamente lavorate per venderle ad altre tribù di nativi americani e dovendo abbandonare la barca su cui viaggiano lungo il Missouri perché potrebbero risultare facile preda degli Arikara, i dodici uomini rimasti vivi, su consiglio di Glass, che ha portato seco nella missione anche il giovane figlio Hawk, avuto da una donna Pawnee uccisa durante un saccheggio al loro villaggio indiano da soldati statunitensi, decidono di intraprendere la via del bosco risalendo sentieri montuosi, pur essendo consapevoli che l’inverno alle porte li intralcerà.
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REVENANT – REDIVIVO (USA, 2016) diretto da ALEJANDRO GONZáLEZ IňARRITU. Interpretato da LEONARDO DICAPRIO, TOM HARDY, DOMHNALL GLEESON, WILL POULTER, FORREST GOODLUCK, PAUL ANDERSON
Ispirato ad eventi realmente accaduti. North Dakota, 1823: mentre il trapper Hugh Glass è a caccia di alci, il suo accampamento viene attaccato da un gruppo di feroci indiani Arikara, e nel tentativo di difendersi, muoiono ben trentatré uomini della spedizione. Non potendo salvare le pellicce accuratamente lavorate per venderle ad altre tribù di nativi americani e dovendo abbandonare la barca su cui viaggiano lungo il Missouri perché potrebbero risultare facile preda degli Arikara, i dodici uomini rimasti vivi, su consiglio di Glass, che ha portato seco nella missione anche il giovane figlio Hawk, avuto da una donna Pawnee uccisa durante un saccheggio al loro villaggio indiano da soldati statunitensi, decidono di intraprendere la via del bosco risalendo sentieri montuosi, pur essendo consapevoli che l’inverno alle porte li intralcerà. Glass viene aggredito da una femmina di orso grizzly, particolarmente aggressiva per proteggere i suoi cuccioli e, malgrado riesca ad abbatterla con una fucilata e il suo coltello, rimane in fin di vita a causa delle numerose e profonde ferite riportate. Nonostante il comandante della missione, il capitano Andrew Henry, tenti di medicarlo dandogli dei punti e facendo l’impossibile per curarlo, capisce che lo sventurato non è trasportabile e dunque il plotone si deve dividere in due gruppi: uno che raggiunga il villaggio portando il viaggio a piedi a compimento e l’altro che assista Glass fino alla fine per poi dargli degna sepoltura. Del secondo gruppo fanno parte il figlio Hawk, il giovane e premuroso Jim Bridger e il perfido cacciatore John Fitzgerald. Quest’ultimo, dopo aver tentato di spingere Hugh al suicidio, cerca di soffocarlo, ma Hawk lo ferma, rimettendoci però la vita per colpa di una pugnalata al ventre da parte del malvagio e insensibile cacciatore. Bridger, all’oscuro di tutto perché assente in quel momento, si lascia convincere da Fitzgerald ad abbandonare la lettiga su cui è legato Glass dopo che l’ingannatore lo imbroglia asserendo che ha perso di vista Hawk e che deve per forza abbandonare il moribondo in una fossa improvvisata perché ha avvistato almeno venti Arikara a poca distanza. Dopo essersi trascinato fuori a fatica dalla fossa e aver giurato vendetta sul cadavere del figlio, Hugh si rimette in piedi e si trascina per i boschi, sopravvivendo con ogni mezzo e sfuggendo più volte agli Arikara grazie anche alla propria fortuna. Durante una tormenta di neve che rischia di danneggiargli le ferite in suppurazione, viene soccorso da un vecchio e solitario Pawnee, che ha anch’egli perduto la sua famiglia e vuole ricongiungersi alla sua tribù, di cui diventa amico e col quale condivide un tratto di percorso. Ormai sulla via della guarigione e in grado di proseguire il cammino individualmente, Hugh, che si ritrova solo al risveglio, ritrova il proprio amico indiano impiccato e scopre che i responsabili sono i cacciatori francesi. Scopre inoltre che il gruppo di uomini aveva sequestrato la figlia d’un capo Arikara. Ruba perciò ai nemici stranieri il cavallo che loro avevano sottratto al suo amico appeso, ma viene scoperto; nella sua precipitosa fuga, uccide tre cacciatori francesi e salva la donna da essi rapita, che prima di scappare con lui evira il capo-spedizione che l’aveva stuprata. Di nuovo inseguito dagli Arikara, Hugh precipita in un burrone, ma si salva grazie ad un albero e alla neve fresca che ammortizzano che la caduta. Per sopravvivere al freddo, apre uno squarcio nella carcassa del suo cavallo e vi si nasconde dentro. Frattanto uno dei francesi sopravvissuti all’attacco giunge, in cerca di riparo, al forte dove stazionano i compagni di Glass. Bridger nota per caso la borraccia di Glass, caduta al misterioso uomo autore dell’agguato al loro campo. Il capitano Henry, credendo che la borraccia sia stata data dal padre ad Hawk e che il mezzosangue sia ancora disperso nelle intemperie, invia una spedizione, la quale riporta però indietro Hugh che, affamato ed esausto, viene condotto al forte. Dopo aver scagionato Bridger dalle accuse di tradimento verso la pattuglia, Henry parte con Glass alla ricerca di Fitzgerald, fuggito dal forte nei boschi dopo aver svaligiato la cassaforte del capitano. Separatisi per cercarlo, il primo a trovarlo è Henry, che però viene dal traditore ucciso con una fucilata al torace; grazie ad uno stratagemma, Hugh riesce a trarlo nella sua trappola e ingaggia con lui, una volta precipitati lungo una scarpata innevata vicino ad un torrente burrascoso, una lotta furibonda e, benché più volte ferito dall’avversario, prevale su di lui. Ma a quel punto, capendo che la vendetta è nelle mani del Signore e non nelle sue e intravedendo in lontananza il capo Arikara e la figlia ad egli restituita, affida ad essi l’incombenza e loro lo sgozzano e gettano nelle correnti del fiume. Placata la sua sete di vendetta che gli aveva fornito forze straordinarie, Hugh si abbandona spossato sulla neve e ricorda la moglie, non si capisce se attendendo il sollievo della morte o sulla via d’un eventuale ritorno. Scritto dal regista con Mark Lee Smith, distribuito dalla Twentieth Century Fox, basato sull’omonimo romanzo di Michael Punke (edito in Italia da Einaudi nel 2014, ma composto nel 2002) e vincitore di svariati premi (3 Oscar – DiCaprio, Iñarritu regista, la fotografia stupenda di Emmanuel Lubezki; 5 BAFTA; 3 Golden Globes), fonde mirabilmente i generi cinematografici di impatto più virile (western, avventura, azione, thriller, ma anche il drammatico e il biografico, siccome la storia trae il soggetto dal veramente vissuto Hugh Glass, cacciatore di pelli del Missouri che fu abbandonato dai compagni in punto di morte e riuscì ciononostante a sopravvivere) e privilegia i personaggi maschili senza accantonare quelli femminili, numericamente inferiori, dando ad entrambe le categorie il motivo della violenza necessaria, il bisogno della lotta per non farsi sopraffare dagli elementi naturali contrari e di costante opposizione e l’odio fomentato, ma mai primigenio, degli esseri umani giusti contro quelli egoisti che puntano esclusivamente a versare sangue, intascare quantità esorbitanti di denaro e mettere in salvo sé stessi disinteressandosi degli stessi compagni cui avrebbero dovuto promettere fedeltà. Sebbene la statuetta gli sia stata data più che altro per contentino, per via delle sette nomination precedenti andate a vuoto, DiCaprio, che ha sofferto parecchio per questa meravigliosa interpretazione, si è meritato appieno il premio recitando un ruolo con battute rarefatte e un impegno fisico considerevole che va lodato in quanto gli ha richiesto un dispendio di energie che non tutti gli attori hollywoodiani nel senso più autoreferenziale del termine avrebbero saputo reggere. Lo affiancano: uno spregiudicato T. Hardy, cacciatore senza scrupoli che vende la vita dei propri compagni di spedizione per scampare egli al trapasso ma che non tiene conto di chi può rinsavire per vendicarsi; D. Gleeson, carattere positivo che agisce come il più savio e assennato dei capitani, rimproverando alla bisogna i propri sottoposti e non disdegnando di complimentarsi con chi fa il proprio dovere combattendo le avversità implacabili di un ambiente ostile e di gente tutt’altro che caritatevole; W. Poulter, il giovane Jim Bridger, ragazzo intelligente che si salva per la sua correttezza di comportamento e la sua lealtà che, a parte le brecce che possono blandire il suo cuore per la ricerca della salvezza, non crolla mai; e F. Goodluck, il fedele Hawk nato dalla procreazione fra un uomo bianco e una Pawnee, che ha assistito all’uccisione della madre e non trascurerebbe mai il padre, in salute e in malattia, neanche se spinto da motivazioni contrarie assai persuadenti. Iñarritu, due volte consecutive premio Oscar per la regia (nel 2015 lo vinse grazie al capolavoro Birdman, eguagliando così registi come John Ford e Joseph L. Mankiewicz), si conferma l’autore messicano di storie cinematografiche con le migliori capacità di stupire con la sua scrittura lucida e intensa che sembra sprizzare fuori dallo schermo, la sua direzione degli interpreti sempre attenta e catalizzante e la sua dote di gestire tutti i contributi tecnici, nessuno escluso, adoperando un’ottima commistione che li valorizza uno per uno a favore della costruzione generale di trama, impressioni non immediate, significati profondi. 532,5 milioni di dollari d’incasso nel mondo nel solo 2016. Una sorpresa al botteghino oltremodo meritata per un film che annunciava fin dal principio di non deludere nessuna aspettativa, a prescindere da chi si aspettava qualcosa. Sicuramente qualcosa di preparato.
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davide
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lunedì 8 gennaio 2018
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insomma
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l'ho trovato lento e non del tutto convincente, Di Caprio meritava l'oscar per altri film, qui ha dimistrato di essere un bravissimo attore ma secondo me ne ha interpretati altri molto più belli.
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pedro
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venerdì 29 dicembre 2017
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imperdibile
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Va detto subito che si tratta di un film della categoria superiore. Si possono dare 4 o 5 stelle, è solo la mia opinione ovviamente, a film che, nel loro genere, sono di buona qualità. Ma non solo le 4 o 5 stelle di film come questo che entrano, sempre a mio modestissimo parere, nei grandi film.
Innanzitutto la migliore interpretazione di sempre di DiCaprio (e pensare che alcuni considerano da Oscar sua modesta interpretazione in “diamanti di sangue”), ma eccellente anche Hardy ed altri, come Poulter.
Regia (Iñarritu) e Fotografia (Lubezki, senza uso di luce artificiale) impeccabili. Ecco svelato anche perchè il cinema messicano persiste nei suoi mediocrissimi livelli.
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Va detto subito che si tratta di un film della categoria superiore. Si possono dare 4 o 5 stelle, è solo la mia opinione ovviamente, a film che, nel loro genere, sono di buona qualità. Ma non solo le 4 o 5 stelle di film come questo che entrano, sempre a mio modestissimo parere, nei grandi film.
Innanzitutto la migliore interpretazione di sempre di DiCaprio (e pensare che alcuni considerano da Oscar sua modesta interpretazione in “diamanti di sangue”), ma eccellente anche Hardy ed altri, come Poulter.
Regia (Iñarritu) e Fotografia (Lubezki, senza uso di luce artificiale) impeccabili. Ecco svelato anche perchè il cinema messicano persiste nei suoi mediocrissimi livelli. I suoi talenti vanno ad Hollywood.
L’uso dei lunghi piani sequenza e dei grandangolari fatta nel migiore dei modi. Certo ricorda Kubrik del quale esiste secondo me anche una citazione: il primo piano di DiCaprio durante l’uccisione del figlio ricorda quello del marito durante la violenza alla moglie in Arancia Meccanica.
Musica non invasiva. Adeguata. Molti suoni della natura. Ed è qui che si capisce l’importanza di girare in esterni, nei luoghi, col clima reale. Difficile per tutti (si dice che DiCaprio si ammalò durante le riprese) ma l’utente, lo spettatore, saprà che dietro a loro non c’è un lenzuolo verde, ghiaccio di gelatina e neve di polistirolo.
Come sempre c’è qualche dattaglio che si poteva migliorare o risparmiare (per esempio la solita furibonda lotta finale) o poco comprensibile nel racconto (perchè escono solo in due per catturare Fitzgerald?), ma ciò toglie poco al film.
Riassumendo: un film imperdibile, il migliore di DiCaprio e Iñarritu.
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marcos.
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venerdì 20 ottobre 2017
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spiegazione del finale
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Se qualcuno mi da spiegazione del finale....non comprendo il motivo per cui gli Arikara lasciano Glass in vita .... forse l'indiana che lui ha salvato è nel gruppo a cavallo? Ma se è così non si vede che lei intervenga per difenderlo con suo padre
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dandy
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martedì 17 ottobre 2017
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iron man nell'800?
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Dal racconto omonimo di Michael Punke(basato su una storia reale del folklore americano),un film di ambiziosa statura epica,ambientato in un inizio 800 dove i protagonisti combattono più contro se stessi e contro l'ambiente che con gli indiani.Nessun richiamo al western,nè al mito della frontiera,piuttosto uno sguardo di maestosa intensità su una natura ostile e implacabile,contro cui il protagonista oppone una feroce resistenza mosso dalla vendetta.La forza delle immagini,l'uso delle locations hanno un fascino notevole,con echi della pittura di Alfred Jacob Miller e Karl Bodmer,rimandi letterari(Dostoevskij e Tolstoi) e citazioni cinematografiche(esplicite quelle di "Andrej Rubilov" di Tarkovaky;più esili quelle di Herzog e Malick).
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Dal racconto omonimo di Michael Punke(basato su una storia reale del folklore americano),un film di ambiziosa statura epica,ambientato in un inizio 800 dove i protagonisti combattono più contro se stessi e contro l'ambiente che con gli indiani.Nessun richiamo al western,nè al mito della frontiera,piuttosto uno sguardo di maestosa intensità su una natura ostile e implacabile,contro cui il protagonista oppone una feroce resistenza mosso dalla vendetta.La forza delle immagini,l'uso delle locations hanno un fascino notevole,con echi della pittura di Alfred Jacob Miller e Karl Bodmer,rimandi letterari(Dostoevskij e Tolstoi) e citazioni cinematografiche(esplicite quelle di "Andrej Rubilov" di Tarkovaky;più esili quelle di Herzog e Malick).Il risultato complessivo però,finisce per essere freddo come l'ambiente che mostra.L'insistito realismo,dall'attacco dell'orso al calvario per raggiungere la destinazione è a rischio di saturazione,e influisce sulla narrazione.E sulla vera emozione,tant'è che il finale si svolge nel più plateale dei modi.Insomma Inarritu si è concentrato troppo sul tour de force di Di Caprio(costretto come tutti gli altri a recitare in un clima veramente proibitivo,tanto da ammalarsi di polmonite)per cercare di trasmettere allo spettatore il gelo,il dolore,la fatica,la fame,e la rabbia.3 Oscar,per regia,fotografia e a 22 anni dalla sua prima nomination,DiCaprio(cosa che ha scatenato sui social e co un'infinità di critiche,battutine,meme,doppiaggi ironici del discorso dell'attore,foto e quant'altro).La stessa storia era già stata narrata nel'71 in "Uomo bianco,va col tuo Dio!".
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ennio
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sabato 16 settembre 2017
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nella natura selvaggia gli usa vincono sempre
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Gli scenografi e i trucchi da illusionisti si sono superati in questo film, che premia giustamente il grande attore Di Caprio, il quale l'avrebbe meritato per altre interpretazioni di più largo respiro. Ma quando fai un grande film sulla natura selvaggia, sul far west, sulle radici del tuo paese la recitazione del protagonista non è la cosa più importante. In quel ruolo molti altri attori avrebbero visto servito su un piatto d'argento la possibilità di un premio. Che, ripeto, è un premio alla carriera.
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gustibus
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domenica 20 agosto 2017
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nulla che incanta!
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Il film dei 3oscar tra cui la miglior regia a A.G. Innaritu,che poi ha ripetuto l'anno dopo con Birdman,oscar a Leonardo Di Caprio e ben 160 minuti di film tutto nelle selvaggie terre dei Sioux e indiani vari che dovevano difendersi da francesi,americani,a caccia di pelli d'orso.Piu' o meno la sintesi di questo lentissimo e lunghissimo film(io,adoratore dei film molto lunghi!)il racconto si poteva vedere tranquillamente in 105minuti!che dire?l'Oscar a Di Caprio meritato,ma forse PIU'IN altri film,che so,The departed?la fotografia e'discreta(per me!)il suono e'discreto(per me!)Tom Hardy l'avete riconosciuto?io no!con il trucco selvaggio ecc.era impossibile,la regia?normale che di piu'non si puo'!insomma Revenant non mi ha entusiasmato sul grande schermo,e sul monitor a 50pollici nemmeno!Questione di gusti?chissa'?dopo 15/20mila film visti e'probabile che sto perdendo punti,ma non credo.
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Il film dei 3oscar tra cui la miglior regia a A.G. Innaritu,che poi ha ripetuto l'anno dopo con Birdman,oscar a Leonardo Di Caprio e ben 160 minuti di film tutto nelle selvaggie terre dei Sioux e indiani vari che dovevano difendersi da francesi,americani,a caccia di pelli d'orso.Piu' o meno la sintesi di questo lentissimo e lunghissimo film(io,adoratore dei film molto lunghi!)il racconto si poteva vedere tranquillamente in 105minuti!che dire?l'Oscar a Di Caprio meritato,ma forse PIU'IN altri film,che so,The departed?la fotografia e'discreta(per me!)il suono e'discreto(per me!)Tom Hardy l'avete riconosciuto?io no!con il trucco selvaggio ecc.era impossibile,la regia?normale che di piu'non si puo'!insomma Revenant non mi ha entusiasmato sul grande schermo,e sul monitor a 50pollici nemmeno!Questione di gusti?chissa'?dopo 15/20mila film visti e'probabile che sto perdendo punti,ma non credo. Un film normale che se non c'era l'atteso oscar a Di Caprio meritava 2 stelle!Da vedere solo,soltanto una volta!Non si mette(forse)nella durata originale di piu'di 2ore e mezza un film cosi'lento e film come"Il ritorno del re"si taglia ben1ora!misteri?!
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st7no
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giovedì 13 luglio 2017
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maestoso
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Di Caprio nasconde in se' qualcosa di estremamente particolare. Partendo dal fatto che non sono molte le persone che vogliono "lavorare" con lui, tutte quelle che invece lo fanno, permettono agli spettatori di godere di questi spettacoli UNICI. Per Di Caprio arriva l' oscar anche se a mio avviso, avrebbe gia' dovuto prenderlo prima con almeno 3/4 film, ma la statuetta tanto agognata finalmente lo consacra "sovrano".
Detto questo dell' immenso Di Caprio, il film, forse e dico forse, leggermente troppo lungo, lascia senza fiato! Le immagini, le foto, la passione della trama e di come si sviluppa, e' da pura adrenalina e il coinvolgimento che ne deriva, penso sia ai massimi livelli.
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Di Caprio nasconde in se' qualcosa di estremamente particolare. Partendo dal fatto che non sono molte le persone che vogliono "lavorare" con lui, tutte quelle che invece lo fanno, permettono agli spettatori di godere di questi spettacoli UNICI. Per Di Caprio arriva l' oscar anche se a mio avviso, avrebbe gia' dovuto prenderlo prima con almeno 3/4 film, ma la statuetta tanto agognata finalmente lo consacra "sovrano".
Detto questo dell' immenso Di Caprio, il film, forse e dico forse, leggermente troppo lungo, lascia senza fiato! Le immagini, le foto, la passione della trama e di come si sviluppa, e' da pura adrenalina e il coinvolgimento che ne deriva, penso sia ai massimi livelli. Tante le occasioni dove "sentivo freddo" quasi catapultato in quei boschi, in quelle pianure ghiacchiate e innevate. Insomma, giudicare cotanto capolavoro risulta anche difficile, meglio goderselo e respirare compiaciuti.
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andrej
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lunedì 17 aprile 2017
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una storia di sopravvivenza e vendetta
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Bel western invernale, liberamente basato su una storia vera e caratterizzato da una splendida fotografia, da paesaggi straordinari e da un'ottima recitazione da parte di tutti gli attori, molto calati nella propria parte e credibili. Particolarmente convincenti il protagonista, L. Di Caprio (bravo come sempre), il suo antagonista, T. Hardy (qui in insolite vesti da cattivo e irriconoscibile, con capelli e barba lunghi ed incolti) e D. Gleeson, nella parte del capitano Henry. La regia e' buona, ma non eccezionale. Due, a mio parere, i difetti del film, che gli impediscono di diventare il capolavoro che avrebbe potuto essere: 1) l'eccessiva lentezza della vicenda che, dopo un inizio incalzante e veloce, procede via via per tempi sempre piu' lunghi (forse anche per sottolineare l'immensita' dei territori selvaggi in cui si svolge l'azione e la lentezza e difficolta' degli spostamenti attraverso di essi); comunque, quali che siano le ragioni di questa scelta registica, il risultato e' che le 2 ore e mezza di durata del film si sentono a volte un po' troppo; 2) lo scarso appeal dei personaggi che, cosi' rozzi, primordiali e selvatici come sono, saranno magari anche piu' realistici, ma diventano tutti estremamente poco simpatici, rendendo davvero difficile allo spettatore una forte partecipazione emotiva alle loro vicende.
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Bel western invernale, liberamente basato su una storia vera e caratterizzato da una splendida fotografia, da paesaggi straordinari e da un'ottima recitazione da parte di tutti gli attori, molto calati nella propria parte e credibili. Particolarmente convincenti il protagonista, L. Di Caprio (bravo come sempre), il suo antagonista, T. Hardy (qui in insolite vesti da cattivo e irriconoscibile, con capelli e barba lunghi ed incolti) e D. Gleeson, nella parte del capitano Henry. La regia e' buona, ma non eccezionale. Due, a mio parere, i difetti del film, che gli impediscono di diventare il capolavoro che avrebbe potuto essere: 1) l'eccessiva lentezza della vicenda che, dopo un inizio incalzante e veloce, procede via via per tempi sempre piu' lunghi (forse anche per sottolineare l'immensita' dei territori selvaggi in cui si svolge l'azione e la lentezza e difficolta' degli spostamenti attraverso di essi); comunque, quali che siano le ragioni di questa scelta registica, il risultato e' che le 2 ore e mezza di durata del film si sentono a volte un po' troppo; 2) lo scarso appeal dei personaggi che, cosi' rozzi, primordiali e selvatici come sono, saranno magari anche piu' realistici, ma diventano tutti estremamente poco simpatici, rendendo davvero difficile allo spettatore una forte partecipazione emotiva alle loro vicende. Vera grande protagonista della pellicola, assai piu' affascinante dei protagonisti umani, e' la Natura, selvaggia, incontaminata e possente, al cui cospetto la piccolezza e meschiníta umana risaltano ín modo ancora piu’ evidente ed impietoso. Memorabili, a questo riguardo, le riprese in campo lunghissimo di valli e montagne, dove le figure umane sono ridotte a puntini appena visibili, o quelle non meno suggestive delle foreste, in cui gli alberi, gia’ di per se stessi altissimi, sono spesso ripresi dal basso verso l’alto, per sottolinearne maggiormente la statura di giganti in confronto agli umani che, sporchi, stremati e miserabili, arrancano ai loro piedi come insignificanti insetti.
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