#Chicagogirl: The Social Network Takes On a Dictator

Film 2013 | Documentario 74 min.

Anno2013
GenereDocumentario
ProduzioneSiria, USA
Durata74 minuti
Regia diJoe Piscatella
AttoriAla’a Basatneh .
TagDa vedere 2013
MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Joe Piscatella. Un film Da vedere 2013 con Ala’a Basatneh. Genere Documentario - Siria, USA, 2013, durata 74 minuti. - MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 10 ottobre 2014

Ala'a e i suoi compagni di lotta dovranno decidere quale sia il modo più efficace per combattere un dittatore: i social media o le armi.

Consigliato sì!
3,25/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Cinema
Un documentario che si distingue per chiarezza espositiva, ricchezza informativa e ritmo nel ricostruire un quadro inaccessibile e complesso.
Recensione di Raffaella Giancristofaro
Recensione di Raffaella Giancristofaro

Sobborghi di Chicago: Ala'a Basatneh, 19 anni nel 2012, vive con i genitori e il fratello, frequenta l'università e lavora. Nata a Damasco, ha lasciato la Siria da piccola con la famiglia, in contrasto col regime di Hafez al-Assad (al governo dal 1971 fino alla morte, nel 2000). Non ha molto tempo per sé né per gli amici. È costantemente online su Facebook, parla al telefono o su Skype, manda messaggi con Twitter. Tutto al servizio della causa rivoluzionaria siriana, per la quale riveste il ruolo di collegamento tra chi protesta e chiede libertà, e che sa indirizzare anche tramite Google Maps. Attraverso la sua testimonianza diretta e di alcuni esperti di comunicazione, il film esalta il ruolo cruciale dei social media e del giornalismo partecipativo nella resistenza civile in Siria.
I video che Ala'a carica su FB dopo averli protetti e migliorati (oscurando i volti e sottotitolandoli con iMovie), una volta condivisi con le varie pagine da lei amministrate diventano infatti le principali fonti dei media tradizionali, a cui l'accesso alle informazioni nel Paese è negato in primo luogo dal governo di Bashar al-Assad, mero erede della strategia paterna del terrore. Un capovolgimento e un paradosso, che com'è noto ha stravolto il sistema dell'informazione. Il lavoro di Ala'a e dei suoi compagni di lotta non solo è sporco, ma è tanto: a differenza dei rapidi rovesciamenti politici scatenati dalle proteste in Tunisia ed Egitto, il regime oppressivo siriano non ha allentato la stretta di violenze, repressioni e censure, e gli interventi dell'Onu e delle potenze mondiali si sono (finora) rivelati colpevolmente inefficaci. I contestatori del regime si ritrovano a scegliere tra imbracciare un AK47 e arruolarsi nell'Esercito Siriano Libero - come Aous, uno dei contatti più stretti e militanti di Ala'a - o percorrere la strada della protesta pacifica del citizen journalism. Come fa il filmmaker Bassel Shehade (direttore della fotografia siriana di #chicagoGirl, a cui è dedicato), studente della Syracuse University di NY tornato in Siria per partecipare attivamente alla liberazione democratica del suo Paese e ucciso dal regime nel maggio 2012 mentre riprendeva i bombardamenti.
Girato nel corso di due anni tra USA e Siria (tra Homs e Damasco) con camere Canon 5D, 7D e iPhone 4, realizzato dal pluripremiato produttore di Current Television Mark Rinehart, #chicagoGirl si distingue per chiarezza espositiva, ricchezza informativa e ritmo nel ricostruire un quadro inaccessibile e complesso. Racconta individui calati in una realtà di guerra ancora in corso senza calcare sul pathos. Al tempo stesso ribadisce che è il senso di responsabilità nell'uso dei (social) media, e non il mero accesso ai media in sé, a fare la differenza, in un'implicita polemica con la sterilità dell'hashtag activism. Sa far coabitare la ricostruzione finzionale (i profili FB che si animano in funzione informativa) con l'adrenalinica, quasi insostenibile crudezza delle immagini di fuga tra le bombe e sotto il tiro dei cecchini. Produrre queste prove e renderle visibili può fare e farà la differenza, evitando di scivolare ancora nel negazionismo. Tra le mille opinabili possibilità comunicative offerte dall'azienda di Mr. Zuckerberg c'è anche questa. I più coraggiosi la usano al meglio da tempo. A proprio rischio.

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