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L'uomo, la scimmia e la macchina da presa

Project Nim e l'evoluzione del documentario.
di Edoardo Becattini

Una scena del film Project Nim di James Marsh.

martedì 13 marzo 2012 - Approfondimenti

È dai tempi di Buster Keaton e de Il Cameraman che si mettono scimmie davanti alla macchina da presa e le si fanno agire come esseri umani, dando una patina di verità anche al più rocambolesco dei film di finzione. In questo senso, c'è una curiosa continuità fra l'ultimo capitolo della saga del Pianeta delle Scimmie e il documentario Project Nim, presentato all'ultimo Festival di Roma. In entrambi si racconta di uno scimpanzé nato in un centro di ricerca sui primati e poi cresciuto assieme a esseri umani. In entrambi, ci sono luminari dai sentimenti contrastanti e scienziati dall'aria diabolica. Anche la parabola della storia sembra prendere la stessa piega, con lo scimpanzé che impara a comunicare attraverso il linguaggio dei segni e, dopo un'eccellente integrazione iniziale, inizia a esprimersi violentemente ai primi gesti di abbandono. Certo, nel prequel della saga fantascientifica la scimmia dà vita a una rivoluzione degna di Spartacus che, allo stato attuale dell'evoluzione biologica, difficilmente potrebbe essere immortalata nel documentario di James Marsh. Eppure, il parallelo fra i due film ci racconta anche un'altra storia: quella dell'evoluzione del documentario e del film di finzione.
In Project Nim, documentaristiche sono senza dubbio la filosofia e la finalità: ricostruire nel dettaglio l'esperimento sull'acquisizione del linguaggio da parte degli animali realizzato dal 1974 al 1977 dal dipartimento di Psicologia cognitiva della Columbia University. Documentaristici sono anche gli strumenti impiegati, principalmente filmati di repertorio e interviste frontali. Sono le atmosfere narrative e i toni del racconto a seguire invece linee più in accordo ai generi dei film di finzione, e man mano che il film va avanti ci ritroviamo con maggiore frequenza a vedere la situazione dal punto di vista dello scimpanzé Nim e a leggere il racconto più come uno studio dei rapporti fra esseri umani, con l'esperimento che prende pieghe alternative in base ai rapporti sentimentali del suo mandante, il professor Herbert Terrace.

Falsi documentari e veri film di finzione
Non è un caso che James Marsh sia un regista che alterna pacificamente film di finzione (al Sundance è stato appena presentato l'ultimo Shadow Dancer con protagonista Clive Owen) a film documentari. Man on Wire (premio Oscar nel 2009) raccontava la spettacolare impresa del funambolo Philip Petit, in bilico su un filo sospeso fra le cime delle Twin Towers, come un concitato film d'azione. Project Nim assume invece in alcuni momenti i toni dark di un classico film di genere in cui gli animali si ribellano a quegli umani troppo distratti o troppo superbi per meritare un esperimento pacifico.
La contaminazione fra quelle che vengono ancora considerate le due principali forme di espressione del cinema e del racconto a tutto tondo non è certamente una novità. La realtà e la finzione hanno iniziato a comunicare nel comune linguaggio delle immagini e dei movimenti gestuali fin dai primordi del cinema; tanto che André Bazin dichiarava "proibito" il montaggio quando esso rischiava di attentare al realismo della favola cinematografica, e che anche pionieri del documentario come Robert Flaherty mettevano in scena più di quanto dessero a immaginare.
Tuttavia, questo gioco di ibridazioni, questo esperimento di scambio comunicativo fra le due principali categorie di cinema, ha mostrato solo nella modernità i risultati più interessanti.
Ora, difficile dire in questo gioco di parallelismi quale fra il film di finzione e il film documentario venga rappresentato meglio dalla scimmia e quale dall'uomo, e quale fra i due imiti meglio l'altro. In fondo, da quando il documentario ha trovato i suoi canoni e il racconto di finzione ha conosciuto la modernità metalinguistica, a volte abbiamo assistito a delle "manipolazioni genetiche" estranianti (come Zelig di Woody Allen o Forgotten Silver di Peter Jackson). Quel che è certo è che la cavia si fa da ambedue le parti progressivamente più complessa da studiare. Da una parte, documentari che lavorano su stupore e suspense saccheggiando i ritmi e i toni dei film di genere. Dall'altra, film di finzione che copiano gli stilemi del documentario per muovere un effetto di reale e manipolare i criteri di verità. Le due specie, come dimostra la conclusione dell'esperimento ritratto da Marsh, possono convivere e comunicare ma difficilmente lo faranno in maniera pacifica e disinteressata. Così, in bilico fra le due torri del documentario e della finzione, il dialogo fra i due massimi sistemi diviene sempre più simile all'impresa di un funambolo pronto ad essere arrestato dalle autorità.
Questo almeno fino a che le scimmie non inizieranno a imparare a girare film per conto loro.

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