writer58
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domenica 20 maggio 2012
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i nuovi avvoltoi...
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"Margin Call", opera prima di Chandor, non mi ha convinto, mi è parso un prodotto poco ispirato e coinvolgente. Provo ad argomentare questa affermazione, procedendo per punti.
A. La crisi finanziaria del 2008 è stata un cataclisma che ha generato pesanti effetti sulle economie mondiali, ne stiamo pagando e ne pagheremo le conseguenze per anni. Il tema si prestava a una trattazione intensa ed "epica", volta a rappresentare le dinamiche e le patologie di un sistema che ha messo in circolo una massa di strumenti finanziari ("i derivati")che hanno un valore dieci volte superiore alla ricchezza mondiale. "Margin call", invece, affronta questa tematica a partire dalla crisi di una società d'affari (molto simile alla "Lehman Brothers") che avviene nello spazio di una notte.
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"Margin Call", opera prima di Chandor, non mi ha convinto, mi è parso un prodotto poco ispirato e coinvolgente. Provo ad argomentare questa affermazione, procedendo per punti.
A. La crisi finanziaria del 2008 è stata un cataclisma che ha generato pesanti effetti sulle economie mondiali, ne stiamo pagando e ne pagheremo le conseguenze per anni. Il tema si prestava a una trattazione intensa ed "epica", volta a rappresentare le dinamiche e le patologie di un sistema che ha messo in circolo una massa di strumenti finanziari ("i derivati")che hanno un valore dieci volte superiore alla ricchezza mondiale. "Margin call", invece, affronta questa tematica a partire dalla crisi di una società d'affari (molto simile alla "Lehman Brothers") che avviene nello spazio di una notte.
B. Il linguaggio utilizzato per descrivere il crac è incomprensibile e molto tecnico. Si parla di algoritmi, di volatilità, di leverage, di speculazioni finanziarie senza fornire allo spettatore le informazioni utili per comprendere la genesi del fenomeno e le sue conseguenze concrete sull'economia e sulla vita delle persone.
C. Il ritmo narrativo è lento, nonostante la drammaticità della situazione descritta. La compressione della durata degli eventi (tutto si svolge nello spazio di 24 ore) si accompagna alla dilatazione dei tempi narrativi.
D. Gli attori forniscono una buona prova (soprattutto Jeremy Irons nel ruolo di uno spietato top manager e Kevin Spacey nelle vesti di un dirigente combattuto tra la fedeltà all'azienda e la sua deontologia nei confronti dei clienti), ma la loro performance è ingabbiata dal modulo narrativo prescelto, che accosta vicende personali ed eventi globali senza risolverli in modo efficace.
Alcuni passaggi del film, tuttavia, mi sono parsi interessanti: il cinismo del giovane broker che misura il valore delle persone sulla base dello stipendio ricevuto; la prolusione del top manager che giustifica la decisione di vendere tutte le attività finanziarie creando un enorme danno ai clienti sulla base del principio "mors tua vita mea". I clienti- secondo Irons- vivono al di sopra delle loro possibilità e hanno delegato alla finanza questo benessere fittizio, creando una "bolla" destinata a scoppiare ciclicamente.
"Margin call" pare la versione cinematografica di un "istant book": la distanza tra gli eventi narrati e la comparsa del film è inferiore ai tre anni. Temo che questa vicinanza sia un sintomo dell'assetto attuale, della "istant society", basata sul "qui ed ora", ma non abbia giovato a un'opera che dovrebbe rielaborare una materia troppo vicina alla nostra condizione attuale.
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rocco albanese
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martedì 22 maggio 2012
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incredibile. dimenticate wall street...
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L'elemento più sorprendente di "Margin Call" è sicuramente la sua capacità di riprendere e raffigurare i vizi e le falle del mondo finanziario del 2008 senza dover ricorrere mai ad artifizi retorici o moraleggianti. Così a differenza di "Wall street" (film che ho amato e che ha segnato la crescita della mia generazione di manager) il regista non ricorre all'immagine del vecchio pilota che rischia di perdere la sua pensione per l'avidità dei broker; e neanche a quella (dei nostri giorni)della vecchietta ignara di aver investito la liquidazione in un derivato. E' dal puntuale e asciutto affresco di un mondo autoreferenziale che emerge nitidamente la sua fragilità: dal meccanismo delle cartolarizzazioni infinite che moltiplicano esponenzialmente minuscoli capitali occultando i reali sottostanti, dai compensi milionari dei top manager abili a sfruttare le acerbe ambizioni di neoassunti, dalla scelta di scaricare sempre il rischio sulle controparti anche a costo di incenerire società secolari.
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L'elemento più sorprendente di "Margin Call" è sicuramente la sua capacità di riprendere e raffigurare i vizi e le falle del mondo finanziario del 2008 senza dover ricorrere mai ad artifizi retorici o moraleggianti. Così a differenza di "Wall street" (film che ho amato e che ha segnato la crescita della mia generazione di manager) il regista non ricorre all'immagine del vecchio pilota che rischia di perdere la sua pensione per l'avidità dei broker; e neanche a quella (dei nostri giorni)della vecchietta ignara di aver investito la liquidazione in un derivato. E' dal puntuale e asciutto affresco di un mondo autoreferenziale che emerge nitidamente la sua fragilità: dal meccanismo delle cartolarizzazioni infinite che moltiplicano esponenzialmente minuscoli capitali occultando i reali sottostanti, dai compensi milionari dei top manager abili a sfruttare le acerbe ambizioni di neoassunti, dalla scelta di scaricare sempre il rischio sulle controparti anche a costo di incenerire società secolari. Il tutto in una frenetica corsa volta a mettere se stessi in salvo senza accorgersi dell'altrui disagio (spettacolare, tra le tante, la scena in cui Simon Baker si rade nel bagno prima delle sequenze finali...). In un alternarsi di tecnicismi (mai fini a se stessi e che da addetto ai lavori ho apprezzato) ed intensi dialoghi che trasmette realismo e credibilità. Nessun dubbio: Jeremy Irons è il nuovo Gordon Gekko.
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umbertosm
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venerdì 25 maggio 2012
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l'esaltazione del dio denaro
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il film Margin Call è un capolavoro, attori eccezionali, storia vera, l'esaltazione del Dio Denaro: quando ci si rende conto che l'esposizione di 8 trilioni di dollari è una mega margin call (maggiore del valore della Banca e delle associate in cui lavorano gli squali dell'alta finanza del film) in poche ore tutto il potenziale di credibilità dei venditori della banca deve essere speso per vendere quanto più titoli tossici a chiunque in nome dell'amicizia e di anni di conoscenza di lavoro... terribile, ma i venditori saranno ripagati con lauto milionario compenso.
Inoltre, quello che mi ha colpito del film è la mancanza totale di contatto fisico, violenza, nessun pugno, nessuna reazione scomposta, nessuna fisicità, solo la tensione nervosa di una rovina imminente.
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il film Margin Call è un capolavoro, attori eccezionali, storia vera, l'esaltazione del Dio Denaro: quando ci si rende conto che l'esposizione di 8 trilioni di dollari è una mega margin call (maggiore del valore della Banca e delle associate in cui lavorano gli squali dell'alta finanza del film) in poche ore tutto il potenziale di credibilità dei venditori della banca deve essere speso per vendere quanto più titoli tossici a chiunque in nome dell'amicizia e di anni di conoscenza di lavoro... terribile, ma i venditori saranno ripagati con lauto milionario compenso.
Inoltre, quello che mi ha colpito del film è la mancanza totale di contatto fisico, violenza, nessun pugno, nessuna reazione scomposta, nessuna fisicità, solo la tensione nervosa di una rovina imminente. Si deve vendere tutto e subito prima che la notizia della margin call si diffonda nel mercato mandando in rovina la banca.
Il film è la raffigurazione di un mondo dove i soldi in ballo sono talmente tanti che gli sgambetti di potere vengono liquidati a suon di milioni e "sporcarsi le mani" non viene preso in considerazione ...solo alla fine Kevin Spacey, ipocritamente disgustato da questo mondo, pur decidendo di rimanere nella banca per ragioni di soldi di cui ha bisogno (si capirà alla fine che deve pagare gli alimenti ad una moglie divorziata con un tenore di vita milionario) si sporcherà letteralmente le mani nella nuda terra per seppellire il suo amato cane morto di tumore...
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fedez84
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martedì 22 maggio 2012
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il primo bel film sulla grande crisi finanziaria!
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Il primo film che racconta in modo avvincente e veriterio la grande crisi del 2007.
Dopo l'occasione sprecata di Wall Street 2, il cinema americano ha finalmente prodotto un film di qualità sul collasso finanziario che ha cambiato il mondo.
Il film si svolge tutto nell'arco di 24 ore: la mattina del primo giorno il capo del dipartimento rischi di una banca d'affari americana è licenziato a causa di faide interne. Lasciando il posto di lavoro consegna una chiavetta usb ad un giovane analista che nella serata verifica il contenuto...
Si scopre che la solidità finanziaria della banca è in crisi a cuasa dei mutui spazzatura in bilancio. Restano 12 ore prima dell'apertura del mercato per decidere cosa fare.
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Il primo film che racconta in modo avvincente e veriterio la grande crisi del 2007.
Dopo l'occasione sprecata di Wall Street 2, il cinema americano ha finalmente prodotto un film di qualità sul collasso finanziario che ha cambiato il mondo.
Il film si svolge tutto nell'arco di 24 ore: la mattina del primo giorno il capo del dipartimento rischi di una banca d'affari americana è licenziato a causa di faide interne. Lasciando il posto di lavoro consegna una chiavetta usb ad un giovane analista che nella serata verifica il contenuto...
Si scopre che la solidità finanziaria della banca è in crisi a cuasa dei mutui spazzatura in bilancio. Restano 12 ore prima dell'apertura del mercato per decidere cosa fare...
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ultimoboyscout
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martedì 2 giugno 2015
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la crisi vista dall'interno.
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USA, annus horribilis 2008. Un dirigente di una grossa società finanziaria è appena stato licenziato. L'uomo è colui che ha scoperto che la società è sull'orlo del baratro, che alcune operazioni concluse di recente hanno indebolito, portando l'istituto al fallimento. Prima di andarsene, il manager affida i dati rivelatori ad un giovane analista, un broker che compresa la situazione innesca una spirale vorticosa per evitare una catastrofe economica di proporzioni immani. Ma, a questo punto, le scelte da compiere, non potranno più essere limpide e corrette. J.C. Chandor racconta una notte insonne, un crescendo folle tutto in una notte, svela il cinismo della finanza che viene a galla nell'arco di pochissime ore.
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USA, annus horribilis 2008. Un dirigente di una grossa società finanziaria è appena stato licenziato. L'uomo è colui che ha scoperto che la società è sull'orlo del baratro, che alcune operazioni concluse di recente hanno indebolito, portando l'istituto al fallimento. Prima di andarsene, il manager affida i dati rivelatori ad un giovane analista, un broker che compresa la situazione innesca una spirale vorticosa per evitare una catastrofe economica di proporzioni immani. Ma, a questo punto, le scelte da compiere, non potranno più essere limpide e corrette. J.C. Chandor racconta una notte insonne, un crescendo folle tutto in una notte, svela il cinismo della finanza che viene a galla nell'arco di pochissime ore. Le ore dei grandi crack che hanno segnato in maniera determinante la recentissima crisi economica. Chandor dirige e scrive la sceneggiatura (con tanto di nomination all'Oscar) da insider, ovvero basandosi sull'esperienza del padre e di un conoscente, dipingendo un quadro impietoso, dal ritmo frenetico, una vera bomba a orologeria che trasforma una storia drammatica in un thriller cupissimo. Il regista ottimizza tutto alla grande: cast stellare, meno di tre settimane di riprese, un set reale nei pressi del Madison Square Garden a New York e appena tre milioni di dollari di budget. "Margin call" (in gergo ultima possibilità, ultima chiamata) è un racconto serratissimo, un qualcosa in stile "Wall Street" in chiave attuale, ispirato da fatti veri che getta una luce ancor più sinistra sul mondo della finanza e di riflesso, su tutti noi. Film piccolo ma importante, incalzante e spietato, che racconta il perchè (piuttosto credibile) di questi ultimi anni duri, una storia, o magari qualcosa di più, di denuncia senza gridare e senza puzza sotto il naso, istruttiva, narrata come una tragedia di stampo shakespeariano. Spacey e Irons mostri di bravura, assieme a J.C. sono i principali artefici della riuscita di questo gioiellino.
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jeff69
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venerdì 2 maggio 2014
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sciupare il mercato o sopravvivere?
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Crudele, attuale, ineluttabile. La sorte decisa in una notte, in una riunione che non lascia scampo a sentimenti o riguardi per nessuno. Vendere tutto subito sapendo che dopo quel giorno non ci sara' piu' un mercato per nessuno dei venditori. Decisione difficile, ma inevitabile. Ma in fondo che problema c'e'? Sono solo soldi. Nient'altro che soldi.
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angelo umana
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martedì 3 giugno 2014
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cosa è accaduto, dopo che è accaduto
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Nei corridoi a moquette dei grattacieli di Wall Street un pugno di persone ha l’incedere solenne e pensoso di chi tiene in mano le sorti della ricchezza finanziaria dell’uomo della strada. Bei vestiti, giacche e cravatte o maniche di camicia perché stanno “seriamente lavorando”, stipendi dai 250.000 di dollari annui per gli analisti o broker giovani, ai 2,5 milioni per i loro piccoli responsabili, luogotenenti dei boss veri e propri, i cui stipendi veleggiano attorno a varie decine di milioni, oltre a stock-options e premi da performance. Non succede solo a Wall Street ma anche nelle più normali banche nostrane, nelle Poste Italiane, nelle reti di promotori: bisogna vendere i prodotti della propria società e reinvestire subito il denaro, così va il mondo, così va la finanza.
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Nei corridoi a moquette dei grattacieli di Wall Street un pugno di persone ha l’incedere solenne e pensoso di chi tiene in mano le sorti della ricchezza finanziaria dell’uomo della strada. Bei vestiti, giacche e cravatte o maniche di camicia perché stanno “seriamente lavorando”, stipendi dai 250.000 di dollari annui per gli analisti o broker giovani, ai 2,5 milioni per i loro piccoli responsabili, luogotenenti dei boss veri e propri, i cui stipendi veleggiano attorno a varie decine di milioni, oltre a stock-options e premi da performance. Non succede solo a Wall Street ma anche nelle più normali banche nostrane, nelle Poste Italiane, nelle reti di promotori: bisogna vendere i prodotti della propria società e reinvestire subito il denaro, così va il mondo, così va la finanza. L’America ci ha educato a quei prodotti e poi, se hanno nomi inglesi, sono sintomo di modernità e d efficienza, si comprano più volentieri. Importa poco che cosa effettivamente contengano quei prodotti, moltissimi delle reti di vendita non lo sanno, per tutti è importante la loro performance nel rifilare ogni genere di strumento finanziario, da semplici obbligazioni e azioni a “sofisticati” Mortgage Backed Securities o Asset Backed Securities, titoli garantiti da mutui o da attivi, niente di più “tranquillo”: la mole di questi derivati era nel 2008 pari a 12 volte il pil mondiale, più o meno come dire che la produzione di un terreno agricolo è di 100 cavoli e che ci sono opzioni su quei 100 cavoli per 1200, una ricchezza inesistente, non proprio garantita da corrispondenti attività.
Questi sono gli eserciti che difendono il denaro dei risparmiatori, parlano di controllo del rischio, di attenzione al cliente, di stress-test o prove teoriche per immaginare il risultato che può avere una certa volatilità, parlano di “bene comune” ove viene impiegato il loro talento, ma in realtà il loro compito è badare al bene loro e della società che li paga. “Essere i primi, i più in gamba”, “loro i soldi non li perdono, se ne fregano se li perdono gli altri”. Gli altri sono la gente che “va in giro senza avere la minima idea di cosa gli sta per succedere”: del resto la finanza ha permesso a persone normali di vivere come dei re, i mutui e i prestiti facili hanno permesso di soddisfare “Tutti i nostri desideri”, altro film. Chi ha colpa? “C’è sempre la stessa percentuale di perdenti e la stessa di gente che guadagna, da anni si manda sul lastrico qualcuno”, onestamente. Fu così nell’87, nei primi anni 90, nel 2000 E continua del tutto così, i trilioni di derivati sono ancora tutti lì.
Nel 2008 viene fuori “la più grande montagna di escrementi del capitalismo”, siamo nel periodo del fallimento della Lehman Brothers, ma lo scarso valore di quei mutui che garantivano le obbligazioni erano già visibili agli inizi del 2007. “Margin Call” è un film didascalico, descrive un piccolo microcosmo per dire cosa succede quando una delle tante società finanziarie si accorge di avere quella montagna di escrementi in casa e li vende, senza ricomprare alcunché, in una mezza giornata: “la mia perdita è il tuo guadagno”, è la parola d’ordine dei venditori al telefono coi loro abituali compratori di fiducia, così si rovinano amicizie o rapporti di lavoro. L’importante è disfarsi di quei prodotti e più se ne vendono maggiore è l’incentivo di performance che riceve l’impiegato: così ha promesso il grande capo John Tuld-Jeremy Irons (a lui la stoffa dell’attore più grande, nel film) per bocca del suo luogotenente Sam-Kevin Spacey. In effetti però il primo si è definito un “golden retriever” (cane da riporto), uno che “non è stato il cervello a portarmi fin qui” e l’altro confessa che in quei grafici non ci ha mai capito nulla, pure se è lì da 34 anni. L’ipotesi ormai certezza che le perdite sul valore di quei derivati è maggiore del valore della società stessa ha origine da Eric, un operatore che viene licenziato dopo 19 anni per le spending-review dell’epoca, e prima di andarsene passa una chiavetta ad un ragazzo più giovane che capisce il disastro che incombe. A Eric hanno però offerto una piccola buonuscita e l’assistenza di cui possa aver bisogno per ricollocarsi, gli viene messa sul tavolo una rivista, “Looking ahead”, con barche a vela in copertina … Eppure lui è ingegnere, aveva costruito un piccolo ponte che, erano conti suoi, aveva fatto risparmiare 1531 anni di tempo non passato in auto dai cittadini di uno stato americano, o 30 miglia al giorno. L’economia reale in effetti è un’altra cosa, zappar la terra ha effetti più tangibili. Il film si conclude con Sam che scava la fossa alla sua cagna, Belle, morta di cancro, per la quale prima del tracollo finanziario era disperato davvero, più che per i risparmiatori, e spendeva 1000$ al giorno di cure.
N.B. Il film, del 2011, è stato proiettato gratuitamente in un cinema di Trento, nell’ambito del Festival dell’Economia 2014. Lo presentava un cinefilo ex commissario Consob, che spiegava agli spettatori il significato di ciò che era accaduto in quel 2008. La Consob, quel carrozzone alla cui guida spesso sono stati messi personaggi graditi alla politica (si ricorda ad esempio un certo Pazzi presidente, voluto da Andreotti), l’organismo “di controllo delle società e la borsa” affetto da “lentezza delle procedure e inefficienza endemica” (parole di Marco Travaglio nel libro “Viva il Re!”). L’accostamento sorge spontaneo: tutti a spiegarci quel che è successo dopo che è successo, mai prima (Parmalat, Montepaschi e banche varie). Qualche altra montagna di escrementi verrà giù prima o poi, è nell’ordine delle cose, e dopo un altro film si farà e un altro ex commissario di controllo della Borsa ci spiegherà l’evento “imprevedibile”.
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flyanto
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lunedì 21 maggio 2012
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la crisi usa del 2008 come testimoninaza di quella
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Film in cui viene raccontata la crisi scoppiata nel 2008 all'interno di una banca americana scoperta e "risolta" nell'arco temporale di un'intera giornata. Ritmo avvincente ed ovviamente molto ben recitato dal nutrito cast di ottimi attori che vanno da Jeremy Irons (il migliore in assoluto) a Stanley Tucci, a Kevin Spacey, ecc... in un film dove la crisi negli USA del 2008 all'interno del mondo finanziario diviene una preziosa trestimonianza di quello che purtroppo avverrà dopo in tutti i mercati mondiali.
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giorpost
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mercoledì 19 giugno 2013
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gli squali di wall street dietro la crisi del 2008
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L’ era che stiamo vivendo è complicata e sarà ricordata soprattutto per lo stato d’animo che caratterizza l’ uomo medio occidentale di oggi, tempestato di ansie, incertezze e paure. Una delle maggiori concause di questa situazione va individuata nella cosiddetta “alta finanza” e negli squali che la popolano. Sono questi predatori di Wall Street, veneratori del dio danaro, che hanno provocato, tra le altre cose, il fallimento della Lehman Brothers, l’ aumento vertiginoso dei costi del petrolio e l’ affossamento dell’ Argentina, alimentando la più grave catastrofe finanziaria dal ‘29, ovvero la crisi del 2008. Margin Call (USA, 2011) è una pellicola coraggiosa che tratta questo non facile argomento con un certo stile, ancor più meritevole considerando che il regista è un esordiente (J.
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L’ era che stiamo vivendo è complicata e sarà ricordata soprattutto per lo stato d’animo che caratterizza l’ uomo medio occidentale di oggi, tempestato di ansie, incertezze e paure. Una delle maggiori concause di questa situazione va individuata nella cosiddetta “alta finanza” e negli squali che la popolano. Sono questi predatori di Wall Street, veneratori del dio danaro, che hanno provocato, tra le altre cose, il fallimento della Lehman Brothers, l’ aumento vertiginoso dei costi del petrolio e l’ affossamento dell’ Argentina, alimentando la più grave catastrofe finanziaria dal ‘29, ovvero la crisi del 2008. Margin Call (USA, 2011) è una pellicola coraggiosa che tratta questo non facile argomento con un certo stile, ancor più meritevole considerando che il regista è un esordiente (J.C. Chandor, nome da memorizzare) e tenendo presente che grandi film di denuncia negli ultimi tempi ne abbiamo visti pochi e di scarso tenore, eccezion fatta per Wall Street: Il denaro non dorme mai e Michael Clayton.
Chandor è riuscito a mettere insieme un incredibile cast che, guidato con maestria, vede giganteggiare un Jeremy Irons in stato di grazia, mettere in risalto un bravissimo Paul Bettany e constatare la solita ottima performance di Kevin Spacey. Il film narra dell’ improvviso ed apparentemente inaspettato crollo di una banca d’ investimenti sconvolta dalle improvvide movimentazioni perpetrate dai suoi traders nei precedenti due anni (azioni virtuali, mutui spazzatura) fino a provocare perdite che superano il valore della società. Il fatto esce fuori grazie al capo settore Eric Dale (Tucci) che, appena licenziato in tronco, poco prima di andarsene con tanto di scatoloni per gli effetti personali consegna una chiavetta USB al giovane Sullivan, suo “discepolo”, nella quale ci sono dati e schemi da interpretare. Fatto questo, lo scenario che si presenta al giovane del settore rischi è di quelli apocalittici. Allertato immediatamente il suo superiore Will Emerson (Bettany), quest’ ultimo non esita un attimo, alle 11 di sera, a chiamare a sua volta il suo capo Sam Rogers (Spacey). Una volta appurata la gravità degli eventi, si passa allo step successivo che vede entrare in scena Cohen (Baker), capo di Rogers, coadiuvato dalla Robertson (Moore), colei che nel pomeriggio aveva licenziato Dale ed altri dipendenti, staccando loro, tra le altre cose, perfino i cellulari.
In questo effetto domino, nel quale ci si rende conto delle gerarchie interne ad un organigramma aziendale, s’ intuisce che un dirigente fino a quel momento ritenuto il pezzo grosso, ha in realtà sopra di lui un pesce più grande, il quale a sua volta dipende da un colonnello che deve sottostare al volere del comandante e così via, risalendo la corrente, fino ad arrivare all’ entrata in scena del capo supremo, in questo caso l’ amministratore delegato John Tuld, alias Jeremy Irons. Viene dunque indetta una riunione alle 4 del mattino dove in pochissimi minuti si dovrà decidere la strategia d’ uscita per limitare il più possibile i danni, senza tenere minimamente conto delle conseguenze planetarie che tutto questo comporterà. Emblematica è la frase che Rogers pronuncia a Tuld: “avvelenerai il mercato per anni con titoli che non valgono niente”, ma ancor più scioccante è la risposta di quest’ ultimo, il quale afferma che “dobbiamo solo fare quello che abbiamo sempre fatto: vendere”. Proprio da queste parole si evince che tutti noi siamo nelle mani di un manipolo di predatori senza scrupoli pronti a mettere i loro interessi davanti ad ogni cosa. Si arriva addirittura a minacciare Dale di rovinarlo se non dovesse tornare in società semplicemente per aspettare la fine della giornata, in modo che non possa far trapelare la notizia dell’ imminente fallimento e dei titoli tossici che la banca sta per vendere consapevolmente. Nell’ arco di poco più di 12 ore, la vita di una banca, dei suoi dipendenti e conseguentemente di milioni di persone viene stravolta, tranne che per pochi eletti manager, affaristi o pesci di stazza variabile che si scopre essere stati sempre al corrente della situazione avallandone, anzi, scelte e comportamenti di dubbia moralità. Scopriamo, infatti, che la Robertson, Dale (nel frattempo rientrato nella sede della banca), Cohen, lo stesso Rogers (pur combattuto tra lo scegliere tra integrità e stabilità) percepiranno una lauta buonuscita, buttando ove necessario anche la propria testa in pasto ai soci purché ci si assicuri la barca a mare.
L’ operazione alla fine riesce e i danni sono “limitati” seppur a cospetto di perdite di miliardi di dollari. In un finale atipico, Sam Rogers torna nel giardino della sua ex casa abitata dalla ex moglie per sotterrarvi il cane morto a causa di un tumore fulminante, una sequenza intimista e cruda al contempo ove si capta l’ indifferenza di una donna che vive nel lusso, tra lifting e creme facciali a testimoniare i guadagni facili di un marito che ora è un uomo distrutto, piegato alle volontà del suo capo, piombato in pochi attimi in un’ amarezza inaspettata e che ha perso i riferimenti che aveva (l’ affetto del cane, la stabilità economica senza compromessi). Un ottimo film che racconta di colletti bianchi che si sporcano per una manciata di danari, ma anche una storia reale che, se guardata con un respiro ampio, è una di quelle tante storie che hanno destabilizzato la finanza mondiale, con ingenti perdite di posti di lavoro e con la conseguente storica elezione di Obama.
Degna fotografia, belle atmosfere notturne con New York che fa da sfondo, un cast di alto profilo e dialoghi interessanti con alternanza di ritmo e parsimonia al punto giusto. Considerando che parliamo di un’ opera prima, direi che non è affatto poco.
Voto: 7.5
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santiago81
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venerdì 26 settembre 2014
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dimenticate wall street
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Se cercate il dramma shakespeariano e le scene madri che hanno fatto grande il film di Oliver Stone, passate oltre.
Qui non c'è un Gordon Gekko mefistofelico e affascinante, non c'è traccia di glamour, non ci sono "cattivi" compiaciuti né eroi redenti o integerrimi.
Margin Call è qualcosa di completamente diverso.
I protagonisti sono personaggi verosimili, non stereotipi, uomini "medi" che non sono convinti di poter governare il sistema ma, piuttosto, sono consapevoli di farne parte.
E non c'è redenzione: se cercate il finale consolatorio che faccia giustizia, questo non è il film per voi.
Chandor (figlio di un broker, come Stone) condensa in 24 ore gli eventi che hanno portato alla Grande Crisi che tutt'ora stiamo vivendo.
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Se cercate il dramma shakespeariano e le scene madri che hanno fatto grande il film di Oliver Stone, passate oltre.
Qui non c'è un Gordon Gekko mefistofelico e affascinante, non c'è traccia di glamour, non ci sono "cattivi" compiaciuti né eroi redenti o integerrimi.
Margin Call è qualcosa di completamente diverso.
I protagonisti sono personaggi verosimili, non stereotipi, uomini "medi" che non sono convinti di poter governare il sistema ma, piuttosto, sono consapevoli di farne parte.
E non c'è redenzione: se cercate il finale consolatorio che faccia giustizia, questo non è il film per voi.
Chandor (figlio di un broker, come Stone) condensa in 24 ore gli eventi che hanno portato alla Grande Crisi che tutt'ora stiamo vivendo.
E lo fa con lucidità, con un rigore registico ammirevole per un esordiente, senza mai perdere il controllo di un cast all-star che ha intelligentemente evitato di gigioneggiare o di sgomitare per mettersi in mostra.
Il risultato è una narrazione talmente verosimile da sfiorare il docu-drama; la discesa agli inferi di un intero sistema è raccontata senza cercare l'enfasi ad ogni costo, perché certi processi non sono stati decisi da singoli "signori del Male" ma piuttosto sono il risultato di un meccanismo che, finché ha funzionato, stava bene a tutti. Tutti - chi più, chi meno - sono stati complici. E anche questo viene raccontato.
Tutti gli attori hanno lavorato abilmente di sottrazione per "sparire" dentro i propri personaggi e risultare credibili; ne consegue un microcosmo tratteggiato in modo efficacissimo con pochi, significativi dettagli, ognuno dei quali capace di sottendere un'intera storia pregressa.
Kevin Spacey è il classico esponente della upper middle class americana, dirigente di medio livello ma di lungo corso, compresso fra ciò che sente come giusto e ciò che sa essere inevitabile. Jeremy Sisto è il giovane analista a cui il capo (Tucci), dopo essere stato licenziato, affida una propria ricerca sui modelli di investimento della Società (che ricorda Lehman Brothers): sarà lui a scoprire che il castello di carte inizia a scricchiolare. Simon Baker (The Mentalist) è il giovane manager che, grazie alla propria spregiudicatezza, è riuscito a scalare il mondo della finanza più di altri più anziani o meno decisi colleghi. Demi Moore si cala bene nei panni della dirigente con sufficiente pelo sullo stomaco da basare le proprie decisioni sul profitto ma non abbastanza accortezza da scansarne le conseguenze. Jeremy Irons è l'unico a cui il regista concede un po' di compiacimento ma perfino il suo John Tuld, presidente della Società costretto a convocare un CdA in piena notte, non è un Dio onnipotente, alla Gekko, ma piuttosto, lui stesso, una parte del meccanismo. Di quelle, però, che, conoscendone i presupposti, il funzionamento e i prevedibili esiti, è in grado di scaricare su altri le conseguenze delle proprie azioni.
Nessuno si esalta nel fare del male al prossimo, lo fa per salvare sè stesso, lo fa perché può.
Ottima la fotografia. Alcuni termini usati nel film possono risultare oscuri ma la loro non-comprensione dovrebbe spingerci ad interrogarci sulla nostra consapevolezza di come girano i soldi piuttosto che a lamentarci per il fatto che, in un film, non ci viene fatta una lezione di alta finanza. Se non si ha una pur vaga idea di cosa sia il leverage, per esempio, non sorprendiamoci se non riusciamo a capire i fenomeni finanziari più elementari.
In ogni caso, non sono un'impedimento insormontabile nel seguire la trama.
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