sirio
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sabato 7 febbraio 2009
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un sorriso indimenticabile
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Che bello. Un film struggente, essenziale nella sua semplicità, con un Richard Jenkins stellare nel passaggio dal "vecchio trombone" ormai sfinito della sua routine alla persona che ritrova un ruolo nel mondo. Tutti i personaggi sono ben delineati, dal coinvolgente suonatore siriano - bellissima la scena del concerto al parco, tutti diversi, tutti uguali nel suono, tanto che fa venire voglia di imparare a suonare il djembé - alla sua "nerissima" compagna dolce ed appassionata, alla madre così intensamente "madre" senza mai diventare "madre coraggio". Tutti clandestini con il sogno dell'America, tutti alla ricerca di un posto nel mondo dove stare. E sullo sfondo una New York mai oleografica, mai skyline da cartolina, piuttosto una città dai mille contrasti, multirazziale e conservatrice, cupa ed accogliente, ossimoro perfetto dell'America post-11 settembre.
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Che bello. Un film struggente, essenziale nella sua semplicità, con un Richard Jenkins stellare nel passaggio dal "vecchio trombone" ormai sfinito della sua routine alla persona che ritrova un ruolo nel mondo. Tutti i personaggi sono ben delineati, dal coinvolgente suonatore siriano - bellissima la scena del concerto al parco, tutti diversi, tutti uguali nel suono, tanto che fa venire voglia di imparare a suonare il djembé - alla sua "nerissima" compagna dolce ed appassionata, alla madre così intensamente "madre" senza mai diventare "madre coraggio". Tutti clandestini con il sogno dell'America, tutti alla ricerca di un posto nel mondo dove stare. E sullo sfondo una New York mai oleografica, mai skyline da cartolina, piuttosto una città dai mille contrasti, multirazziale e conservatrice, cupa ed accogliente, ossimoro perfetto dell'America post-11 settembre. Purtroppo il film non è girato in "odorama", per comprendere i mille odori di una megalopoli, ma per quanto riguarda suoni e visioni non c'è paragone. Una certa critica lo definisce un film "gravido di lutto": questo senso cupo non l'ho percepito, piuttosto ho visto tutta l'America del dopo 11 settembre, delle paure dell'era Bush, dei controlli esagerati, ma sopra tutto c'era sempre il sorriso indimenticabile ed accattivante del musicista, capace dovunque di sorridere alla vita, mentre incontra il ragazzo palestinese al mercatino, mentre suona nel locale o al parco, perfino parlando col professore al parlatorio prima di essere espulso... quel sorriso che pervade, nelle sue infinite contraddizioni, l'American Dream, e che tutti speriamo spunti presto sul volto di Barack Obama.
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(di nagi)
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anna.to
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domenica 7 dicembre 2008
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film acuto e delicato giocato su dialoghi
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sfumato ed intenso giocato su sentimenti di civiltà,accoglienza e partecipazione.Motlo arriva allo spettatore daigli occhi che esprimono l'amore la paura,lo smarrimento (Tarek)e di Walter che dapprima solo un uomoi educato,formale e chiuso nel suo vecchio dolore per la perdita della moglie e che si lascia vivere ,credendo di vivere ma è senza speranza e obbiettivi.Walter coinvolto dall'energia di Tarik partecipa del suo amore per i tamburi ed...incomincia a vivere.
L'arresto di Tarek lo scontro con l'ottusità di polizia paranoica che espelleranno il giovane,l'incontro con la madre di Tarek lo risvegiano alla vita.Il finale ,a pare mio è ancora da scrivere non può Walter lasciare chequesti due incontri non abbiano un seguito.
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sfumato ed intenso giocato su sentimenti di civiltà,accoglienza e partecipazione.Motlo arriva allo spettatore daigli occhi che esprimono l'amore la paura,lo smarrimento (Tarek)e di Walter che dapprima solo un uomoi educato,formale e chiuso nel suo vecchio dolore per la perdita della moglie e che si lascia vivere ,credendo di vivere ma è senza speranza e obbiettivi.Walter coinvolto dall'energia di Tarik partecipa del suo amore per i tamburi ed...incomincia a vivere.
L'arresto di Tarek lo scontro con l'ottusità di polizia paranoica che espelleranno il giovane,l'incontro con la madre di Tarek lo risvegiano alla vita.Il finale ,a pare mio è ancora da scrivere non può Walter lasciare chequesti due incontri non abbiano un seguito....
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[+] il finale ,a pare mio è ancora da scrivere
(di morkmork)
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lucio
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sabato 17 gennaio 2009
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america e globalizzazione
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Il presidente degli Stati Uniti , Barack Obama , forse ce la farà a eliminare le paure della popolazione . Quel che accadde a New York l'11 di settembre del 2001 fa ancora tremare l'intero Paese . Un aereo in avaria che ammara sul fiume Hudson è un richiamo alla memoria delle Torri Gemelle . Da quella data tutto è cambiato in America . I rapporti tra i cittadini residenti e gli stranieri sono divenuti complicati . Prima dell'attentato terrostico le istituzioni governative chiudevano un occhio nei confronti dei clandestini e degli immigrati irregolari . Oggi non è più così . La polizia non ammette deroghe nei confronti di nessuno . E , se pescati in fallo , coloro che non hanno le carte in regola , vengono rispediti nel loro paese d'origine .
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Il presidente degli Stati Uniti , Barack Obama , forse ce la farà a eliminare le paure della popolazione . Quel che accadde a New York l'11 di settembre del 2001 fa ancora tremare l'intero Paese . Un aereo in avaria che ammara sul fiume Hudson è un richiamo alla memoria delle Torri Gemelle . Da quella data tutto è cambiato in America . I rapporti tra i cittadini residenti e gli stranieri sono divenuti complicati . Prima dell'attentato terrostico le istituzioni governative chiudevano un occhio nei confronti dei clandestini e degli immigrati irregolari . Oggi non è più così . La polizia non ammette deroghe nei confronti di nessuno . E , se pescati in fallo , coloro che non hanno le carte in regola , vengono rispediti nel loro paese d'origine . Senza se e senza ma . I buoni sentimenti sono temporaneamente accantonati fino a nuovo ordine . Quando è la paura a scandire la vita quotidiana , la ragione cede il passo alla emotività e all'istinto di sopravvivenza . In tale prosaico e crudo contesto si inserisce " L'ospite inatteso " , un film intimista che scava nei meandri della mente umana di un occidentale benestante che , per un caso fortuito , si imbatte nello " straniero " che invade la propria calda e sicura dimora . Dalle ( ovvie e animalesche ) incomprensioni iniziali nasce , pian piano , fra il padrone di casa e gli scomodi inquilini , un comune sentire , un forte legame cementato dall'amore per la musica e per l'umanità che la usa , a mò di anestetico , per non pensare alle mutevoli e cangianti scelte del destino . Il film tratta , con delicatezza e acume , il difficile rapporto con gli altri , soprattutto quando gli
" altri " hanno la pelle scura o nera . Il regista ha voluto mettere in evidenza la solitudine che permea il quotidiano del professore e il terrore dei giovani stranieri , ancorché onesti , di perdere il lavoro e la dignità . Nel mondo globalizzato non esistono confini fisici . Il mercato finanziario è il dominus incontrasto dell'economia mondiale . In questa amalgama incolore e insapore i sentimenti hanno la meglio ? L'amore è ancora importante ? Il finale del film non lascia molte speranze in merito . Ma , a dire il vero , non esclude il suo effetto catartico . L'amore che supera gli egoismi è ( forse ) l'unica speranza da coltivare con cura . Se appassisce questa pianta non resta che suonare il tamburo negli angiporti e nell squallide stazioni ferroviarie . " L'ospite inatteso " è , al contempo , un pugno sul mento e una carezza sul viso . In buona sostanza , è l'esatta fotografia dell'esistente .
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linus2k
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lunedì 2 agosto 2010
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"volevo fare solo musica..non sono un delinquente"
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Mai purtroppo come adesso questo film va visto e va fatto vedere... a scuola, ai cineforum, ovunque ce ne possa essere bisogno...
Mai come adesso, in un Paese che rinnega persino le sue origini di emigrante, trattando in maniera disumana i suoi "ospiti inattesi", questo film dovrebbe essere visto e studiato...
Un piccolo film, una storia semplice e delicata, per alcuni forse lenta, ma umanamente ricca... una storia di integrazione, di dialogo, di apertura... il racconto di un'amicizia e di un amore sussurrato...
Lo straniero visto lontano dal clichè di delinquente o di disadattato... la voglia di integrazione... la burocrazia...
Ebbene viene raccontato in questo film l'altra faccia dell'immigrazione, quella che non fa notizia, quella che si ignora o si preferisce ignorare, quella di chi sogna di fare un salto di qualità nella sua vita.
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Mai purtroppo come adesso questo film va visto e va fatto vedere... a scuola, ai cineforum, ovunque ce ne possa essere bisogno...
Mai come adesso, in un Paese che rinnega persino le sue origini di emigrante, trattando in maniera disumana i suoi "ospiti inattesi", questo film dovrebbe essere visto e studiato...
Un piccolo film, una storia semplice e delicata, per alcuni forse lenta, ma umanamente ricca... una storia di integrazione, di dialogo, di apertura... il racconto di un'amicizia e di un amore sussurrato...
Lo straniero visto lontano dal clichè di delinquente o di disadattato... la voglia di integrazione... la burocrazia...
Ebbene viene raccontato in questo film l'altra faccia dell'immigrazione, quella che non fa notizia, quella che si ignora o si preferisce ignorare, quella di chi sogna di fare un salto di qualità nella sua vita... niente di più...
"volevo fare solo musica... non sono un delinquente".... peccato che siano parole dette da dietro il vetro di un centro di raccolta per clandestini che assomiglia ad una prigione...
Una storia amara, bella e commovente, raccontata con garbo e delicatezza... da vedere, rivedere e cercare di non dimenticare mai!
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pipay
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mercoledì 31 dicembre 2008
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solidarietà e sintonia: ecco un miracolo.
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Ancora un altro aspetto dell'America, che si autocritica e attira sempre critiche dal mondo. Del resto la realtà è sempre complessa. La convivenza multietnica, la difficoltà di far convivere culture diverse. L'ostilità verso gli stranieri, specie se si tratta di persone di colore... Quando qualcuno tende la mano, quando scattano solidarietà e sintonia sembra che avvenga un miracolo. Ma si rischia, secie in America, di irritare il "Grande fratello" sempre all'erta, sempre pronto a reprimere, a punire. Il film, molto ben riuscito, illustra perfettamente questa amara realtà. Il protagonista, intendo il Professore, così antipatico all'inizio del film, quando sfoggia la sua misantropia e poi tratta male un suo alunno, si rivela presto come una persona sensibile e deliziosa.
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Ancora un altro aspetto dell'America, che si autocritica e attira sempre critiche dal mondo. Del resto la realtà è sempre complessa. La convivenza multietnica, la difficoltà di far convivere culture diverse. L'ostilità verso gli stranieri, specie se si tratta di persone di colore... Quando qualcuno tende la mano, quando scattano solidarietà e sintonia sembra che avvenga un miracolo. Ma si rischia, secie in America, di irritare il "Grande fratello" sempre all'erta, sempre pronto a reprimere, a punire. Il film, molto ben riuscito, illustra perfettamente questa amara realtà. Il protagonista, intendo il Professore, così antipatico all'inizio del film, quando sfoggia la sua misantropia e poi tratta male un suo alunno, si rivela presto come una persona sensibile e deliziosa. Eccellente l'interpretazione di Richard Jenkins; piacevolissima Hiam Abbass (che ho ammirato in un altro bel film: "Il giardino di limoni). Fa piacere che si sia dato spazio a questi due attori, che meritano attenzione. Bravi anche gli altri interpreti. Qualcuno fa notare che il ritmo del film è un po' lento. Ma è un film che deve far riflettere, quindi non mi sento di attribuire pecche alla regia.
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andrea lisi
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martedì 30 dicembre 2008
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quando la denuncia è sussurrata e tocca il cuore
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L'ospite inatteso di Thomas McCarthy è un film delicato e commuovente che discute con il cuore di problemi di cui la politica si occupa ogni giorno purtroppo in modo retorico, urlato e banale.
Il film ambientato negli Stati Uniti post 11 settembre tratta dell'amore tra un siriano e una dolcissima senegalese e del sentimento sottile tra un burbero professore americano e una splendida donna siriana. In mezzo c'è la fredda, corretta applicazione delle sanzioni di espulsione anti-immigrazione dettate dall'emergenza terrorismo.
Tutto viene trattato partendo dall'amore, dalla descrizione del sentimento che può unire popoli diversi stimolando la crescita culturale e una rinascita di sentimenti nuovi.
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L'ospite inatteso di Thomas McCarthy è un film delicato e commuovente che discute con il cuore di problemi di cui la politica si occupa ogni giorno purtroppo in modo retorico, urlato e banale.
Il film ambientato negli Stati Uniti post 11 settembre tratta dell'amore tra un siriano e una dolcissima senegalese e del sentimento sottile tra un burbero professore americano e una splendida donna siriana. In mezzo c'è la fredda, corretta applicazione delle sanzioni di espulsione anti-immigrazione dettate dall'emergenza terrorismo.
Tutto viene trattato partendo dall'amore, dalla descrizione del sentimento che può unire popoli diversi stimolando la crescita culturale e una rinascita di sentimenti nuovi.
Guardando questa storia può trarre un insegnamento forte anche l'uomo del diritto: il diritto, infatti, non può applicarsi a prescindere dalla situazione umana, a prescindere dal caso concreto.
E proprio da questa considerazione parte la denuncia che sottovoce guida il film verso la conclusione: una politica dura di immigrazione contro il terrorismo non può prescindere dall'analizzare la singola situazione familiare (anche quella di fatto) che si è creata tra due o più persone che appartengono pacificamente a un territorio e non può prescindere dal verificare con serietà la pericolosità sociale del singolo individuo. Le politiche di oggi anti-immigrazione, invece, sembrano essere tutte accumunate da un unico obiettivo: combattere il problema partendo dalla lotta al terrorismo e dalla "macro-analisi" dell'insicurezza nazionale. Questo va sopra ogni cosa.
E appena usciti dalla sala con l'amaro in bocca viene spontaneo pensare quanto insegnamento potrebbero trarre i nostri politici che blaterano su questi temi dalla visione con occhi innocenti di questo filma che parla al cuore.
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maurocioffi
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sabato 28 agosto 2010
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un inatteso ottimo film
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Pellicola atipica, che ad un cinema contemporaneo, molto spesso americano, fatto di colpi di scena e di personaggi "fuori dal comune", contrappone una narrazione pacata e razionale e dei protagonisti profondamente umani, nei quali ci si può ritrovare. Le evoluzioni, specie emotive, dei personaggi non sono sottolineate in maniera esasperante, ma basta un gesto, una parola, per far comprendere quello che sta accadendo. Tratta il tema dell'immigrazione e della fine de "sogno americano", almeno per gli immigrati, dopo l'11 settembre, in maniera sobria, senza generalizzazioni eccessive. Mette lo spettatore di fronte alle contraddizioni e alle ingiustizie che in nome della legalità e della sicurezza possono essere perpetrate.
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Pellicola atipica, che ad un cinema contemporaneo, molto spesso americano, fatto di colpi di scena e di personaggi "fuori dal comune", contrappone una narrazione pacata e razionale e dei protagonisti profondamente umani, nei quali ci si può ritrovare. Le evoluzioni, specie emotive, dei personaggi non sono sottolineate in maniera esasperante, ma basta un gesto, una parola, per far comprendere quello che sta accadendo. Tratta il tema dell'immigrazione e della fine de "sogno americano", almeno per gli immigrati, dopo l'11 settembre, in maniera sobria, senza generalizzazioni eccessive. Mette lo spettatore di fronte alle contraddizioni e alle ingiustizie che in nome della legalità e della sicurezza possono essere perpetrate. Da vedere.
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sergiofi
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giovedì 2 agosto 2018
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storia di solitudini e tamburi
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“The visitor” si conferma un piccolo gioiello, anche rivisto a distanza di molti anni (è un film del 2007). Tom McCarthy (“Mosse vincenti” e “Spotlight”) dà vita con asciuttezza di toni, sullo sfondo di una New York lontana da triti stereotipi, a un contenitore di solitudini esistenziali. Uno spaccato di realtà metropolitana post 2001 in cui si incrociano i destini di un mesto professore che insegna nel Connecticut (l’intenso Richard Jenkins), una rifugiata siriana transfuga in Michigan (la luminosa Hiam Abbass) e una coppia di irregolari alla ricerca di un futuro (Haaz Sleiman e Danai Jekesai Gurira, molto in parte).
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“The visitor” si conferma un piccolo gioiello, anche rivisto a distanza di molti anni (è un film del 2007). Tom McCarthy (“Mosse vincenti” e “Spotlight”) dà vita con asciuttezza di toni, sullo sfondo di una New York lontana da triti stereotipi, a un contenitore di solitudini esistenziali. Uno spaccato di realtà metropolitana post 2001 in cui si incrociano i destini di un mesto professore che insegna nel Connecticut (l’intenso Richard Jenkins), una rifugiata siriana transfuga in Michigan (la luminosa Hiam Abbass) e una coppia di irregolari alla ricerca di un futuro (Haaz Sleiman e Danai Jekesai Gurira, molto in parte). Un melting pot al quale il mondo ha fatto ormai il callo.
Walter Vale trova il suo appartamento occupato dal siriano Tarek (estroverso suonatore di djambè) e dalla senegalese Zainab (che disegna bigiotteria). Una serie di circostanze lo porterà a incontrare Mouna, la madre di Tarek. Solo la vita di Walter riuscirà a raddrizzarsi, nel segno di un cambiamento guidato dalla musica. Tutti gli altri si vedranno costretti a rientrare, desolatamente, nei rispettivi ranghi.
Non c’è retorica consolatoria in quest’opera felice che non sembra voler affrontare il tema delle migrazioni, quanto lo straniamento dalla realtà che può infettare ogni umano di qualsiasi razza e colore. La via del riscatto è per qualcuno a portata di mano. Basta riuscire a cogliere l’attimo fuggente, che il fato ti offre talora su un piatto d’argento. Come nel caso di Walter che ritrova, tardivamente, la strada che aveva perduto.
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luigi chierico
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mercoledì 14 maggio 2014
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un inatteso bel film
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Ecco un tanto atteso buon regista,ottimo sceneggiatore carico di umanità e semplicità:Thomas McCarthy.Se ne sentiva il bisogno da parte di chi guardando indietro vede il cinema americano,per citarne almeno uno:Elia Kazan senza tralasciare tantissimi altri,tutti improvvisamente venuti a mancare.I loro film non muoiono mai e così L’ospite inatteso rimarrà sempre attuale e vero.
Ho visto finalmente una storia toccante quanto reale, narrata in un ambiente che ci mostra un America che non sembra l’America dai lussuosi e grandi appartamenti,dalle ville immerse in magnifici giardini,dove il verde dei prati e le grandi strade servono ad illudere lo spettatore:qui è tutto così bello e perfetto. No c’è un’ America più vera,della vita comune,di un’abitazione modesta di un professore universitario,non di un modesto impiegato o di un emerito sconosciuto,c’è il rigore inflessibile del rispetto delle leggi soprattutto nei confronti di chi,da immigrato,non ha tutte le carte in regola,una vera persecuzione che stupisce anche l’americano benpensante.
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Ecco un tanto atteso buon regista,ottimo sceneggiatore carico di umanità e semplicità:Thomas McCarthy.Se ne sentiva il bisogno da parte di chi guardando indietro vede il cinema americano,per citarne almeno uno:Elia Kazan senza tralasciare tantissimi altri,tutti improvvisamente venuti a mancare.I loro film non muoiono mai e così L’ospite inatteso rimarrà sempre attuale e vero.
Ho visto finalmente una storia toccante quanto reale, narrata in un ambiente che ci mostra un America che non sembra l’America dai lussuosi e grandi appartamenti,dalle ville immerse in magnifici giardini,dove il verde dei prati e le grandi strade servono ad illudere lo spettatore:qui è tutto così bello e perfetto. No c’è un’ America più vera,della vita comune,di un’abitazione modesta di un professore universitario,non di un modesto impiegato o di un emerito sconosciuto,c’è il rigore inflessibile del rispetto delle leggi soprattutto nei confronti di chi,da immigrato,non ha tutte le carte in regola,una vera persecuzione che stupisce anche l’americano benpensante.
Vi sono le strade ed i colori che ricordano i sobborghi dei nostri paesi,da quelli francesi a quelli italiani e spagnoli.
Un mondo vero,reale fatto di uomini normali che vivono la quotidianità in armonia con se stessi.
Ed è in questa atmosfera che raccogliamo con stupore la generosità del professor Walter Vale(Richard Jenkins)nell’ospitare una coppia di sconosciuti:Tarek Khalil e la sua compagna Zainab.La sua non è generosità ma umanità,quella che sta venendo a mancare all’intera Umanità,sono le braccia aperte all’uomo straniero,a chi ha bisogno d’amore e di comprensione più ancora che di aiuto. Il protagonista è il primo ad avere bisogno d’affetto e d’amicizia,vive isolato dentro,fuori dal mondo,nessuno lo chiamo,non si incontra con nessuno,disdegna il suo lavoro che non lo appaga,come a tantissimi!
L’incontro inatteso con la coppia è motivo di prendere consapevolezza che siamo tutti uguali a dispetto di chi ci vede sempre diversi,che il rispetto del prossimo conduce all’amicizia e poi all’affetto.Tarek e Zainab in una specie di globalizzazione ricevono ed offrono dando a Walter un diverso senso della vita,ci si può stare a pranzo e fare colazione insieme,si può imparare a suonare il djembe,tamburo battuto con le mani,ed andare a far musica di percussione tra la gente di colore,ed infine trovare rifugio alla solitudine che crea freddo e silenzio.La solitudine che si incontra anche quando si è tra la folla,in un mondo diverso che ti ignora,tra gente che non parla la tua lingua,quella del cuore perché è quella la lingua universale.Walter resterà vicino al suo ospite inatteso ma non più ignoto,ne conoscerà la madre Mouna Khalil(Hiam Abbass),condividerà anche con lei il suo modesto appartamento ma soprattutto il suo dolore,la sua tristezza ed il suo pianto.In un momento sublime le loro braccia e le loro mani si intrecceranno quasi a legarsi,è solo un messaggio: procediamo a mani unite, in armonia,aiutiamoci l’un l’altro,non facciamoci del male.L’ America è come la Siria”dirà in senso negativo Muana perché la società fatta di leggi e di politica è fredda, distaccata, spesso disumana ed è per questo che Terek si chiederà perché ce l’hanno tanto con lui che non ha fatto niente;
”Non ho forse anche io il diritto di vivere la mia vita e suonare il djembe?”.
Ottima prestazione di Richard Jenkins,taciturno ma espressivo,quel che conta è quel che si fa e non quel che si dice. chigi.chibar22@libero.it
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mareincrespato70
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lunedì 23 giugno 2014
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l'amicizia nella solitudine contemporanea
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Un professore universitario di successo, ma insoddisfatto e perso nella sua anomia quotidiana nonostante il suo benessere; la Siria che riscalda il cuore del Connecticut; la musica come ancoraggio all'umano troppo umano; l'amicizia che arriva, inattesa, come ospite a New York; l'America che fa i conti con se stessa e la sua accoglienza, tra nuove paure e opportunità (troppo?) condizionate.
Noi, il Senegal, e quello che dobbiamo diventare...
Grazie a Sky ho potuto, in ritardo rispetto alla sua uscita, godere della visione di questo splendido film del 2007. Opera seconda del regista Thomas McCarthy, “L'ospite inatteso” è un altissimo esempio di cinema impegnato, civile, che riscalda il cuore e fa riflettere le nostri menti, un viaggio che ti costringe a fare i “giusti” conti con la globalizzazione contemporanea, senza pietismi, senza manicheismi, ma con la profonda complessità che attraversa le nostre vite e i nostri giorni.
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Un professore universitario di successo, ma insoddisfatto e perso nella sua anomia quotidiana nonostante il suo benessere; la Siria che riscalda il cuore del Connecticut; la musica come ancoraggio all'umano troppo umano; l'amicizia che arriva, inattesa, come ospite a New York; l'America che fa i conti con se stessa e la sua accoglienza, tra nuove paure e opportunità (troppo?) condizionate.
Noi, il Senegal, e quello che dobbiamo diventare...
Grazie a Sky ho potuto, in ritardo rispetto alla sua uscita, godere della visione di questo splendido film del 2007. Opera seconda del regista Thomas McCarthy, “L'ospite inatteso” è un altissimo esempio di cinema impegnato, civile, che riscalda il cuore e fa riflettere le nostri menti, un viaggio che ti costringe a fare i “giusti” conti con la globalizzazione contemporanea, senza pietismi, senza manicheismi, ma con la profonda complessità che attraversa le nostre vite e i nostri giorni.
Arricchiscono il film una sceneggiatura di notevole livello, all'altezza del grande cinema d'autore, e dialoghi sorprendenti per la loro bellezza, efficacia priva di retorica, sorrisi misurati, nonostante tutto.
Straordinaria prova dell'attore protagonista Richard Jenkins, ma sugli scudi anche tutti gli altri attori: la famosa attice palestinese Hiam Abbass, ma anche il “percussionista-jazz” Haaz Sleiman con il suo sorriso gentile e la dolcemente malinconica attrice africana Danai Jekesai Gurira.
McCarthy parla di noi e del nostro prossimo, quand'anche proveniente da terre lontane, sicuramente contemporaneo della nostra quotidianità affannata, dove il turbo-capitalismo ha l'obiettivo (sempre sottilmente dichiarato) di “decidere” anche il nostro tempo libero, anche gli spazi del disimpegno, perchè la precarietà altrui deve poter giustificare l'assurdo smisurato benessere di altri.
La musica accompagna questa moderna, dolente, parabola dolente, dove l'amicizia inaspettata diventata la salvezza per se stesso e per gli altri (?), dentro i furiosi ingranaggi di Tempi forse troppo moderni...che dispensano crudeltà.
Un film che esalta ancora una volta la filosofia cinematografica statuntitense figlia del Sundance Festival, irrinunciabile alimento per il cinema contemporaneo di qualità.
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