Impossibile considerare The prestige, scritto dai fratelli Nolan e ispirato all’omonimo romanzo di Priest, la semplice storia di una competizione distruttiva fra maghi nella Londra vittoriana fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: il racconto ha una sua logica subdola, l’intreccio si avviluppa, specchio di se stesso, il passato si immedesima nel presente e nel futuro, la realtà nell’apparenza, la scienza nella magia, l’identità si rifrange e, perdendo consistenza, è inafferrabile. Il duello fra due campioni dalla personalità speculare ha l’ archetipo nello scontro fra il biondo Achille e il moro Ettore nell’Iliade e lo ritroviamo, rielaborato, in capolavori della letteratura europea quali I duellanti di Conrad o Il signore di Ballantrae di Stevenson e del cinema da Spielberg a Ridley Scott; in The prestige tuttavia il regista, Christopher Nolan, decostruisce la classicità della situazione, senza tradirne il fascino arcano, intervenendo a sorpresa con brusche dissolvenze, tormentose ripetizioni di sequenze e flashback indotti dall’ossessione, alternando sapientemente il palcoscenico parzialmente illuminato con l’oscurità dei sotterranei sotto di esso, facendo della verità un riflesso della finzione e della finzione un riflesso della verità. I tre momenti dell’illusionismo costituiscono la pista scivolosa su cui la trama della pellicola avanza incespicando angosciosamente: il primo è “la promessa”, cioè il far vedere un oggetto normale, il secondo è “ il colpo di scena”, ovvero il farlo sparire, e il terzo, il più importante, è “il prestigio”, l’azione portentosa del farlo ricomparire da un'altra parte. Qualunque prestigiatore mediocre, o qualunque suo discendente, il cineasta, possiede la scatola magica con i trucchi seriali per sbalordire lo spettatore: ma il sogno del Prometeo d’ogni tempo, l’ultimo traguardo della civiltà, è infrangere la barriera fra pensiero e materia; sui territori dell’irraggiungibile scienziato, artista e mago si sfidano con i loro segreti. Così il labirinto diventa una cupa strettoia cieca da cui è impossibile uscire con la mente sana e dal capello a cilindro della rivalità fra Angie( Jackman) e Borden( Bale) generata dalla passione totalizzante per l’impossibile fuoriesce “il prestigio” abbagliante della pellicola: ciò che abbiamo visto è cronaca o invenzione fantastica e qual è la morale? Nel silenzio si ode la parola evocatrice del miracolo”Abracadabra”, il responso di una sfinge: l’illusionista non denuncia, travestendosi da detective, pericolosi assassini né morto per caso viene traghettato in uno spiritoso aldilà come nel graziosamente innocuo Scoop di Woody Allen, bensì uccide chi l’ama e sacrifica l’anima alla vocazione; le sue chimere generano mostri e prodigi, le stampelle alate su cui però un umanità zoppicante cammina e vola, pur bruciandosi al sole. http://slilluzicando.splinder.com
[+] lascia un commento a blogger »
[ - ] lascia un commento a blogger »
|