marbus
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lunedì 16 settembre 2013
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bell'amico
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Ogni volta che si guarda un film di Sorrentino, si viene catapultati in un mondo unico e particolare, esattamente come avveniva con Fellini. Questa nerissima commedia non fa eccezione. La sgradevolezza copre tutto e tutti, persone e cose. Non c'è un solo personaggio che abbia in se un seme di bontà , di pudore o una qualche possibilità di salvezza. E quello che più di tutti paga lo scotto di questa vita chiusa tra quattro mura , siano esse fisiche o interiori, è Geremia, il protagonista della pellicola nonchè il personaggio apparentemente e programmaticamente più squallido. Un uomo a cui il denaro più che per vivere nel lusso (abita in una specie di topaia)serve alimentare in se stesso una sensazione di potere che possa preludere ad una vana speranza di salvezza.
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Ogni volta che si guarda un film di Sorrentino, si viene catapultati in un mondo unico e particolare, esattamente come avveniva con Fellini. Questa nerissima commedia non fa eccezione. La sgradevolezza copre tutto e tutti, persone e cose. Non c'è un solo personaggio che abbia in se un seme di bontà , di pudore o una qualche possibilità di salvezza. E quello che più di tutti paga lo scotto di questa vita chiusa tra quattro mura , siano esse fisiche o interiori, è Geremia, il protagonista della pellicola nonchè il personaggio apparentemente e programmaticamente più squallido. Un uomo a cui il denaro più che per vivere nel lusso (abita in una specie di topaia)serve alimentare in se stesso una sensazione di potere che possa preludere ad una vana speranza di salvezza. Un uomo che ha scarsissima conoscenza dei sentimenti e che quindi sconta e subisce le conseguenze dell'amore. E da carnefice diventa vittima di un mondo che egli stesso ha contribuito a creare. E un mondo che d'altra parte con le sue piccole o grandi meschinità , ha permesso ad un personaggio come Geremia di spadroneggiare. Il tutto ambientato in una provincia assolata e desolata, in cui vincono l'apparenza e l'ostentazione. Tutto fa parte di questo disegno squisitamente decadente : la fotografia , la musica e l'interpretazione di un giganttesco Giacomo Rizzo , attore dalle potenzialità mai intuite, che diretto magistralmente da un Sorrentino sempre più narratore d'immagini, è una mascheraperfetta di un personaggio laido, logorroico, arguto e sentenzioso, che fa cose terribili e può risultare spesso ripugnante ma raramente antipatico. Molto bene anche Laura Chiatti , angelo diabolico la cui aspirazione di superiorità rispetto allo schifo che la circonda è solo un pio e ingenuo desiderio. Sarà prioprio lei che condurrà Geremia sempre più in fondo. Per chi non vuole mai confondere l'insolitò con l'impossibile.
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fabuciz
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martedì 10 settembre 2013
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sorrentino sottotono
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la figura del viscido strozzino risulta troppo grottesca e i personaggi troppo cliché.
Sicuramente Sorrentino ha voluto dar risalto allo squallore dii una vita simile, fatta di assurdi risparmi e avidità spesso crudeli ma alla lunga diventa un film fastidioso e noioso.
Diverse situazioni sono poco credibili, in alcuni punti il montaggio è impreciso e le inquadrature "datate". L'idea dell'avaro truffato funziona sempre per rendere più gradevole la storia è, in ogni caso, tutt'altro che originale
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filippo catani
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martedì 30 luglio 2013
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un microcosmo popolato da personaggi sciagurati
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Agro Pontino. Geremia de' Geremei di professione "ufficiale" fa il sarto ma ciò che lo rende "famoso" è la sua attività di usuraio. L'uomo vive in una casa improponibile con l'anziana e malata madre e deposita scrupolosamente in una cassetta di sicurezza tutto il denaro che accumula. Un giorno però la conoscenza di una bella e giovane donna lo manderà in crisi.
Sorrentino ci regala un amaro ritratto di una parte del nostro paese e dei personaggi che ne abitano questo squallido sottobosco. Geremia (uno straordinario Rizzo) è un personaggio terrificante: a parte la ripugnanza fisica, è la sua mancanza completa di moralità che ne fa un vero mostro.
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Agro Pontino. Geremia de' Geremei di professione "ufficiale" fa il sarto ma ciò che lo rende "famoso" è la sua attività di usuraio. L'uomo vive in una casa improponibile con l'anziana e malata madre e deposita scrupolosamente in una cassetta di sicurezza tutto il denaro che accumula. Un giorno però la conoscenza di una bella e giovane donna lo manderà in crisi.
Sorrentino ci regala un amaro ritratto di una parte del nostro paese e dei personaggi che ne abitano questo squallido sottobosco. Geremia (uno straordinario Rizzo) è un personaggio terrificante: a parte la ripugnanza fisica, è la sua mancanza completa di moralità che ne fa un vero mostro. Nella sua mente distorta lui si crede un benefattore a chiedere il 100% di interessi o a "deliziare" il suo pubblico di aciagurati con terribili frasi ad effetto o con finta gentilezza chiamandoli fratello mio o sorella mia. Detto di lui, è pero questo intero microcosmo ad essere corrotto: c'è l'amico di Geremia (bravissimo Bentivoglio) che gli fa da scudiero e gli raccoglie informazioni sulle possibilità di pagare delle persone. Poi c'è chi si indebita per non sfigurare nella organizzazione di un matrimonio o chi si indebita per il gioco d'azzardo. Geremia però non ha fatto i conti con una bionda che lo sconvolgerà per sempre. Quì veniamo all'unica nota negativa del film: Laura Chiatti è decisamente fuori ruolo e fuori film. Sarebbe stata necessaria un'interpretazione che è fuori dalle sue corde e anche il ruolo della femme fatale non le giova proprio. Detto questo, nella pellicola c'è tutto Sorrentino: sguardo lucido e disincantato nei confronti di una realtà sempre più corrotta, dialoghi taglienti, personaggi borderline e un'ottima colonna sonora. Insomma si tratta di un ottimo lavoro.
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gufetta76
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lunedì 29 luglio 2013
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se dio esistesse non mi si sarebbe accanito contro
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Ottimo. Immenso il protagonista , la sua ridicolizzazione del male, la rappresentazione dell'ipocrsia e della superficialità in modo ironico e farsesco rendono questa opera gustosa, divertente ma anche riflessiva. Film veloce, fotografia perfetta come al solito. Eccelso il protagonista, purtroppo però esistono attrici come Laura Chiatti : pessima
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dario
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domenica 28 luglio 2013
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prevedibile ma curato
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La regia riesce a tenere in piedi una storia prevedibile, scontata, zeppa di luoghi comuni e di scaltrezze convenzionali. Debole la storia, giocata su stereotipi e su personaggi caricaturati. Ma sicura e robusta la narrazione. Una certa asciuttezza aiuta l'operazione. Bravi gli attori, recite al disopra dello standard del cinema medio italiano. Rizzo colma la mancanza di personalità, per una figura del genere, grazie ad un certo istrionismo. Il migliore è Bentivoglio, una sorpresa gradevolissima.
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gianleo67
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mercoledì 6 marzo 2013
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viscido qusimodo dell'agro pontino
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Piccolo e sgraziato, Geremia ha una modesto negozio di sartoria che in realtà usa come copertura per i suoi loschi traffici di usuraio, coadiuvato da un barista col pallino della musica country e da una bizzarra coppia di pizzaioli gemelli che usa come guardiaspalle tuttofare. Vive con la madre perennemente allettata in una casa umida e malandata, accumulando denaro e sperando una volta o l'altra di far breccia nel cuore di una donna che ne ammiri l'eloquio garbato e colto. La sua vita subisce una svolta quando conosce Rosalba, avvenente e spregiudicata figlia di una delle sue 'vittime' e soprattutto quando un ricco sedicente industriale dei sanitari gli propone l'affare della vita.
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Piccolo e sgraziato, Geremia ha una modesto negozio di sartoria che in realtà usa come copertura per i suoi loschi traffici di usuraio, coadiuvato da un barista col pallino della musica country e da una bizzarra coppia di pizzaioli gemelli che usa come guardiaspalle tuttofare. Vive con la madre perennemente allettata in una casa umida e malandata, accumulando denaro e sperando una volta o l'altra di far breccia nel cuore di una donna che ne ammiri l'eloquio garbato e colto. La sua vita subisce una svolta quando conosce Rosalba, avvenente e spregiudicata figlia di una delle sue 'vittime' e soprattutto quando un ricco sedicente industriale dei sanitari gli propone l'affare della vita. Epilogo beffardo con sorpresa finale.
Terzo ciak del regista e autore napoletano ancora una volta alle prese con una bizzarra sociologia dell'insolito, dove i contorni di una realtà sociale di verosimili difficoltà economiche e l'amaro disincanto di solitudini esistenziali sono deformati da una lente registica che riproduce l'affesco variegato e spiazzante di un mondo popolato da figure grottesche e che pure conservano riconoscibili, i desideri e le debolezze piu' intime della natura umana. Il centro di gravità di questo mondo di ridicoli questuanti è un essere infimo e viscido la cui sembianze deformi accentuano ed esasperano il retaggio di una miseria antica , materializzano il senso di un abbrutimento interiore: l'irredimibile corruzione di uno spirito votato al culto crudele e spietato del Dio denaro. Il denaro come oggetto del desiderio (il protagonista lo accumula senza trarne un vantaggio nel migliorare il suo tenore di vita) ma anche come perversa forma di seduzione in grado di ri-bilanciare rapporti sociali e di potere nati sotto la cattiva stella di una sfortuna congenita sembra in realtà l'impietosa cartina di tornasole in grado di rivelare le infime bassezze della natura umana, in cui tutti i personaggi rispecchiano la miseria di esistenze superficiali e di intime debolezze (una vita domestica agiata, un matrimonio e un funerale sfarzosi, la compulsiva cupidigia ludopatica, l'irrequietezza per l'emancipazione da una squallida vita di provincia). Questo sentimento di degerazione etica e sociale viene abilmente accentuato dalla perversa fascinazione che il protagonista sembra emanare e subire allo stesso tempo, tra il rapporto morboso con la madre allettata e la teatrale messa in scena di fantasie erotico vouyaristiche con un'occasionale concubina domestica, per finire con la fraudolenta arrendevolezza della bella miss concupiscente. Nessuno si salva in questo gioco al massacro dove pure l'astuto cravattaro (che ha eretto le sue fortune sulla dosata misura delle sue pretese) finisce per divenire vittima di un'astuta macchinazione che ribilancia i rapporti di forza. Il linguaggio di Sorrentino,sempre agitato dalla abili variazioni di prospettiva e le insinuanti carrellate in avanti, sembra fatto apposta per stupire e spiazzare lo spettatore in un ammiccante montaggio di immagini e musiche che rivela talora un eccessivo compiacimento e finisce per sbilanciare l'equilibrio narrativo di una storia dal finale beffardo quanto irrisolto. Superlativa la caratterizzazione di Giacomo Rizzo, mentre Bentivoglio appare decisamente sotto le righe nei panni di un personaggio di fiacca doppiezza. Squallori e miserie dell'Agro pontino.
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davide chiappetta
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mercoledì 28 marzo 2012
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capolavoro mancato
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Sorrentino e uno dei pochissimi registi italiani, che si contino su un solo palmo della mano, che riesce ancora a dire qualcosa e affascinare con il suo modo di girare e montare, ma qui chi la fa da padrona è il grande Giacomo Rizzo caratterista delle commedie erotiche all'italiana e 'Rigoletto' nel film mediocre 'Novecento' di Bertolucci. Se leviamo lui che sorregge quasi tutto il film con la sua grandissima recitazione e mimica espressiva e una colonna sonora e regia sorprendente (a volte sembra di oscillare tra territori gangsteristici scorsesiani e situazioni morettiane senza soluzione di continuità) rimane ben poco da valorizzare, anzi ... , il film è pieno di luoghi comuni e simboli eccessivi: il documentario che si guarda la madre malata al letto che mostra animali che si mangiano fra loro, sguardi surreali e pensieri onirici improvvisi del protagonista che non stanno ne in cielo ne in terra anche se furbescamente si innestano bene nell'umore del film, un surrealismo lynchiano casareccio da parte di Bentivoglio, il voler a tutti i costi mostrare Rizzo che sia affamato sia di bellissime donne ma anche che frequenti posti e persone laide e lerce, incongruenze di sceneggiature, recitazione puerile e dilettantesca da parte della Chiatti e il padre di lei Angelillo (da poter competere con le peggiori telenovelas italiane) e l'assurdità da parte dell'usuraio di poter sganciare un milione di euro così facilmente come soffiarsi il naso senza aver prima fatto qualche minima indagine ai destinatari ma lasciandosi consigliare solo dal suo falso amico (la cui posizione nel film parte intererssante ma via via mostra telefonicamente tutte le sue carte) e non ultimo alcune pretenziosità del protagonista nel continuo citare aforismi (solo alcune veramente azzeccate), tutto ciò fa del film un mancato capolavoro, se poi il protagonista fa di tutto per apparire bruttissimo e orribile senza lasciare allo spettatore uno spiraglio di simpatia (i suoi avversari sono peggio di lui ma perchè alcuni recitano da cani) il resto si puo immaginare.
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Sorrentino e uno dei pochissimi registi italiani, che si contino su un solo palmo della mano, che riesce ancora a dire qualcosa e affascinare con il suo modo di girare e montare, ma qui chi la fa da padrona è il grande Giacomo Rizzo caratterista delle commedie erotiche all'italiana e 'Rigoletto' nel film mediocre 'Novecento' di Bertolucci. Se leviamo lui che sorregge quasi tutto il film con la sua grandissima recitazione e mimica espressiva e una colonna sonora e regia sorprendente (a volte sembra di oscillare tra territori gangsteristici scorsesiani e situazioni morettiane senza soluzione di continuità) rimane ben poco da valorizzare, anzi ... , il film è pieno di luoghi comuni e simboli eccessivi: il documentario che si guarda la madre malata al letto che mostra animali che si mangiano fra loro, sguardi surreali e pensieri onirici improvvisi del protagonista che non stanno ne in cielo ne in terra anche se furbescamente si innestano bene nell'umore del film, un surrealismo lynchiano casareccio da parte di Bentivoglio, il voler a tutti i costi mostrare Rizzo che sia affamato sia di bellissime donne ma anche che frequenti posti e persone laide e lerce, incongruenze di sceneggiature, recitazione puerile e dilettantesca da parte della Chiatti e il padre di lei Angelillo (da poter competere con le peggiori telenovelas italiane) e l'assurdità da parte dell'usuraio di poter sganciare un milione di euro così facilmente come soffiarsi il naso senza aver prima fatto qualche minima indagine ai destinatari ma lasciandosi consigliare solo dal suo falso amico (la cui posizione nel film parte intererssante ma via via mostra telefonicamente tutte le sue carte) e non ultimo alcune pretenziosità del protagonista nel continuo citare aforismi (solo alcune veramente azzeccate), tutto ciò fa del film un mancato capolavoro, se poi il protagonista fa di tutto per apparire bruttissimo e orribile senza lasciare allo spettatore uno spiraglio di simpatia (i suoi avversari sono peggio di lui ma perchè alcuni recitano da cani) il resto si puo immaginare.... il finale mai veramente catartico. D'altra parte bella l'idea di un usuraio che al momento della riscossione si trasforma in una specie di capo gangster seguito da due grossi scagnozzi (ma tutto finisce in pochi secondi), e bella anche l'idea (anche se forse già visto in qualche film) dei 3 truffatori in giro di notte per Roma vestiti da antichi romani dopo aver partecipato come comparse a un peplum (americano?) dimostrando come sia difficile vivere al giorno d'oggi anche nel mondo del cinema e buttandola sul ridere lo invitano simpaticamente e sfacciatamente a mangiare insieme una pizza dopo avergli fregato il milione. Se Sorrentino avesse mostrato anche la violenza fisica del protagonista sulle sue vittime il film non sarebbe stato cosi sbilanciato, ma questo falso pudore del cineasta nel mostrare violenza fisica (almeno avesse mostrato una forte visione morale lo si poteva capire) lasciando solo violenza morale e sessuale è francamente fastidioso e pedagogico. Comunque anche se i difetti superano di molto i pregi, questi pregi valgono tantissimo la visione del film.
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katamovies
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mercoledì 2 novembre 2011
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this (should) must be the movie
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in poche parole, questo film ha quello che manca all'ultimo di sorrentino: un personaggio protagonista di grande impatto e forza. al confronto con i personaggi protagonisti di questo film, de "il divo" e de "le conseguenze dell'amore", cheyenne appare sbiadito come una vecchia figurina. privo delle sfaccettature, della complessità degli altri tre.
in questo film abbiamo un anziano sarto, geremia de' geremei, alle prese con la vecchia madre anziana e malata. è brutto, povero, privo di fascino, un essere repellente e penoso. dopo poco si scopre che questo personaggio è molto di più che un povero vecchio inchiodato ad una vita di miseria e solitudine.
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in poche parole, questo film ha quello che manca all'ultimo di sorrentino: un personaggio protagonista di grande impatto e forza. al confronto con i personaggi protagonisti di questo film, de "il divo" e de "le conseguenze dell'amore", cheyenne appare sbiadito come una vecchia figurina. privo delle sfaccettature, della complessità degli altri tre.
in questo film abbiamo un anziano sarto, geremia de' geremei, alle prese con la vecchia madre anziana e malata. è brutto, povero, privo di fascino, un essere repellente e penoso. dopo poco si scopre che questo personaggio è molto di più che un povero vecchio inchiodato ad una vita di miseria e solitudine.
oltre alla forza del personaggio, c'è quella dell'intreccio, cioè la storia di un raggiro (sempre efficacie al cinema, vedere "la casa dei giochi" scritto e diretto da david mamet) che fa emergere i caratteri dei personaggi. ottimo il lavoro sui dialoghi e i personaggi.
per quanto riguarda gli attori, eccellente il protagonista (giacomo rizzo), che lavora sulla fisicità, la mimica, la vocalità e il linguaggio. i comprimari sono fabrizio bentivoglio e laura chiatti, il primo va sicuro forte di una professionalità decennale, e un appeal naturale con la macchina da presa. la seconda, una chiatti giovanissima, da la sensazione di una certa rigidità, ma forse è solo acerba. il suo personaggio non sembra abbastanza incisivo, ed è un peccato.
da vedere assolutamente.
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mara65
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giovedì 14 luglio 2011
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arriva il grottesco
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Dopo i temi noir e il clima rarefatto de Le conseguenze dell'amore, Sorrentino cambia genere. Punta al grottesco, con questo personaggio strampalato, Geremia de Geremei, usuraio. Costruisce attorno una storia abbastanza classica, dove può cimentarsi con il suo stile inconfondibile. Ottime le geometrie che cerca nel taglio delle inquadrature. Lui stesso dice che il film è stato girato a Latina, per ritrovare quelle architetture spaziali alla De Chirico, nate sotto il periodo fascista. Secondo me, il finale tagliato (quello proiettato al festival di cannes) è migliore di quello che è stato montato nel film finale. Anche altre scene tagliate (presenti a cannes) sono molto belle ed è un peccato che siano state tagliate.
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mario_platonov
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venerdì 28 gennaio 2011
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l'estetica del brutto e del ridicolo
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Sorrentino riesce, tra i pochi in Italia, a raccontare storie totalmente immerse nel reale attraverso un linguaggio fatto di eccessi e di simboli, con una regia che sembra sempre “oltrepassare” i protagonisti in scena per soffermarsi su una realtà difficile da afferrare.
L’amico di famiglia è un perfetto esempio di questo cinema. La camera ci porta oltre le vicende di Geremia (sarto e usuraio), ampliando con tono amaro e ironico le distorsioni della provincia italiana acuite da un linguaggio cinematografico tendente al grottesco ma proprio per questo più efficace.
E nelle vicende di questo piccolo grande usuraio del basso Lazio - personaggio la cui spregevolezza morale viene esaltata dalla ripugnanza del suo aspetto fisico e dal deterioramento di tutto ciò che lo circonda (la casa, la madre) – Sorrentino riesce a tenere la storia su un piano che esula dal moralismo più facile.
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Sorrentino riesce, tra i pochi in Italia, a raccontare storie totalmente immerse nel reale attraverso un linguaggio fatto di eccessi e di simboli, con una regia che sembra sempre “oltrepassare” i protagonisti in scena per soffermarsi su una realtà difficile da afferrare.
L’amico di famiglia è un perfetto esempio di questo cinema. La camera ci porta oltre le vicende di Geremia (sarto e usuraio), ampliando con tono amaro e ironico le distorsioni della provincia italiana acuite da un linguaggio cinematografico tendente al grottesco ma proprio per questo più efficace.
E nelle vicende di questo piccolo grande usuraio del basso Lazio - personaggio la cui spregevolezza morale viene esaltata dalla ripugnanza del suo aspetto fisico e dal deterioramento di tutto ciò che lo circonda (la casa, la madre) – Sorrentino riesce a tenere la storia su un piano che esula dal moralismo più facile. Il dubbio è atroce: Geremia non sarà semplicemente l’aspetto più evidente, se non addirittura il prodotto, di un mondo consacrato all'apparenza?
La società che Sorrentino ci mostra è una ridicola e penosa messa in scena, un’autocelebrazione continua basata sul nulla, dove l’estetica vagamente surreale dell’autore ha l’abilità di scuotere continuamente lo spettatore tra il sorriso e l’amarezza.
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