greatsteven
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domenica 17 settembre 2017
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mathilde spera di non essere una vedova di guerra.
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UNA LUNGA DOMENICA DI PASSIONI (FR/USA, 2004) diretto da JEAN-PIERRE JEUNET. Interpretato da AUDREY TAUTOU, ANDRé DUSSOLLIER, TCHéKY KARYO, GASPARD ULLIEL, ALBERT DUPONTEL, DOMINIQUE PINON, JODIE FOSTER, MARION COTILLARD
Alla base c’è il romanzo (1991) di Sébastien Japrisot (pseudonimo anagrammatico del corso Jean-Baptiste Rossi), sceneggiato dall’autore con Guillaume Laurant. Forte dello strepitoso successo al box office de Il favoloso mondo di Amélie (2001), il cinquantenne Jeunet ha potuto permettersi di spendere quarantacinque milioni di euro per porre in immagini audiovisive gli orrori inenarrabili, fangosi e ultraviolenti della battaglia della Somme, uno degli episodi più cruenti della Prima Guerra Mondiale.
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UNA LUNGA DOMENICA DI PASSIONI (FR/USA, 2004) diretto da JEAN-PIERRE JEUNET. Interpretato da AUDREY TAUTOU, ANDRé DUSSOLLIER, TCHéKY KARYO, GASPARD ULLIEL, ALBERT DUPONTEL, DOMINIQUE PINON, JODIE FOSTER, MARION COTILLARD
Alla base c’è il romanzo (1991) di Sébastien Japrisot (pseudonimo anagrammatico del corso Jean-Baptiste Rossi), sceneggiato dall’autore con Guillaume Laurant. Forte dello strepitoso successo al box office de Il favoloso mondo di Amélie (2001), il cinquantenne Jeunet ha potuto permettersi di spendere quarantacinque milioni di euro per porre in immagini audiovisive gli orrori inenarrabili, fangosi e ultraviolenti della battaglia della Somme, uno degli episodi più cruenti della Prima Guerra Mondiale. Ancora una volta la protagonista è una meravigliosa A. Tautou, nei panni di Mathilde, che nel 1920 ha vent’anni e non si arrende a credere, come invece sostengono i numerosi documenti di guerra inviatile, che il fidanzato Manech, suo promesso sposo, sia stato fucilato nel gennaio 1917 in seguito ad una condanna a morte per mutilazioni volontarie, assieme ad altri quattro commilitoni (un contadino, un lestofante corso, un saldatore e un falegname). Due anni dopo la conclusione del conflitto di posizione, parte dal paesino di campagna di cui è originaria per intraprendere una meticolosa inchiesta personale per scoprire se le carte non abbiano mentito o se effettivamente una speranza che Manech sia sopravvissuto persista ancora. In una Parigi popolata da avvocati imbroglioni, notai usurai, prostitute assassine e sacerdoti che raccontano mezze verità, Mathilde (dimenticavamo: la ragazza ha perduto i genitori in tenera età, dai cinque anni è zoppa per aver contratto la polio, nonostante le origini borghesi vive con gli zii adottivi che esercitano come contadini e fa su e giù da una carrozzella incespicando pur sempre con incrollabile dignità) si rivela una tenace e testarda indagatrice che si alimenta della sua stessa memoria per continuare a sperare, in quanto è solo nella speranza che risiede l’innocenza e la fede del suo immenso e magnifico cuore. Fra le persone che rintraccia per raccogliere informazioni preziose a proposito dei compagni di trincea di Manech e su un qualunque minuscolo indizio che possa avvicinarla alla realtà dei fatti, la ragazza incontra Gemain Pire, Célestin Poux, la polacca venditrice di zucche al mercato ortofrutticolo Elodie Gold e la meretrice Tina Bernardi, condannata alla ghigliottina per aver ammazzato due pezzi grossi dell’Esercito per vendicare vittime innocenti. La memoria che aizza e anima lo spirito di gigantesca iniziativa di Mathilde ricorda anche quei frammenti di generosa curiosità degli storici che pretendono e vogliono andare oltre quanto la Storia ufficiale racconta, per conoscere quei fatti che rimangono sepolti nei dimenticatoi che i libri trascurano, con una indifferenza volenterosa e soprattutto intenzionale. Dalle immagini scaturisce una potenza di fondamentale impatto morale fin dalle sequenze introduttive, ed è un peccato che la dimensione antibellicista sia stata liquidata dai mass media con una fretta sospetta, i quali hanno naturalmente dimenticato che la violenza non può essere ripagata che con la stessa moneta: e quale violenza più sanguinaria, infamante e deturpante di un conflitto armato? Il merito della pellicola sta specialmente nel prendere di mira gli alti comandi e le loro laide nefandezze, la cui indignazione morale della storia trasforma in atroci carnefici che rimangono poi vittime della loro stessa tirannia, valore fondante della disciplina militare e tritacarne di vite umane che tralascia ogni più elementare carità. Un finale commovente in cui Mathilde, dopo mesi e mesi di investigazioni che non l’hanno fatta demordere neanche per un istante, ritrova Manech, mutilato di due dita, che costruisce, all’interno del giardino di un convento, pezzi di legno di semplice falegnameria, al quale la guerra ha lasciato una follia innocua che l’ha fatto lentamente impazzire. Impossibile trattenere le lacrime davanti a questa storia d’amore che fa incontrare i due innamorati soltanto nell’epilogo, ma procede comunque come un romanzo francese ottocentesco, la cui cadenza furiosa e il passo spedito, quantomeno a livello letterario, hanno raggiunto risultati lodevoli e forse anche meglio quasi solo al di là delle Alpi. Il film è anche particolarmente efficace nell’alternare i toni, passando con facilità, ma al contempo aggiungendovi anche una funzionale continuità, dal Kitsch all’epico, dal comico al grand-guignol, dal lirico al folkloristico, mantenendo una straordinaria soluzione che fornisce un tappeto di omogeneità che non fa perdere un colpo al procedere ordinato e temerario della trama, benché in certi casi essa appaia talmente complessa da non raccapezzarcisi più e sembri che venga messa troppa carne al fuoco. Le sognanti musiche di Angelo Badalamenti condiscono gli ambienti “tranquilli” in cui la vicenda ha luogo, mentre gli stacchi più aggressivi e tetri accompagnano le cadute dei soldati nella melma delle trincee e le esplosioni delle bombe sulla terra di nessuno. Ad aggiungersi come contributo tecnico di precipua qualità, la fotografia di Bruno Del Bonnel, in filigrana stratosferica, che tinge di giallo e marrone, colori prevalenti di un’opera davvero ragguardevole che si prende pure il gusto di effettuare citazioni cinematografiche, rammentando Tati, Tavernier, Milestone e Kubrick, come numerosi critici italiani hanno osservato con arguzia doverosa. Il momento più emozionante per quanto riguarda le fuoriuscite d’azione concitata è l’incendio dell’hangar sul cui soffitto è appeso un enorme dirigibile: una scena di tensione drammatica che scoppia come una bomba e infiamma tanto (letteralmente) le lamiere dell’aviorimessa quanto i cuori degli spettatori, in un film che tiene incollati allo schermo per centoventotto minuti di implacabile energia narrativa. Le attrici donne hanno dato meglio dei colleghi maschi nel contesto del cast, a partire da una protagonista che non ha nulla da eccepire nei rari sorrisi quanto nelle frequenti espressioni di speranzosa attesa, mentre J. Foster e M. Cotillard (vincitrice di un César come miglior attrice esordiente) sorprendono positivamente e con vivace empatia, la prima come la donna emigrata che ha dovuto sudare sette camicie per tenere unita una famiglia dilaniata dalla chiamata alle armi su base europea e la seconda nelle vesti della passeggiatrice a pagamento che fredda gli uomini detestati con sistemi tanto inavvertibili quanto spaventosi. Ma nel reparto maschile, almeno per un nome, non si può negare un A. Dussollier convincente e caparbio nel ruolo di Pierre-Marie Rouvière, l'avvocato che accompagna Mathilde negli immensi archivi bibliotecari dell'esercito.
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giorpost
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martedì 23 giugno 2015
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film poetico e ironico fatto di speranza e trincea
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Jean-Pierre Jeunet appartiene alla nuova corrente cinematografica francese, fatta di registi dal tratto fresco, asciutto ed ironico. La sua esplosione coincise con Il favoloso mondo di Amélie che consegnò al mondo un affresco parigino fatto di romanticismo e poesia con un tocco di matita e spunti di riflessione. Una lunga domenica di passioni (FRA, 2004) segue esattamente lo stesso fil rouge, discostandosi dal precedente lavoro soltanto per l’ ambientazione: non più Parigi al presente ma la Francia della Grande Guerra, tra soldati al fronte in anguste trincee dai nomi assurdi, la splendida campagna bretone ed un pizzico di capitale, che non può mancare in un colossal transalpino.
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Jean-Pierre Jeunet appartiene alla nuova corrente cinematografica francese, fatta di registi dal tratto fresco, asciutto ed ironico. La sua esplosione coincise con Il favoloso mondo di Amélie che consegnò al mondo un affresco parigino fatto di romanticismo e poesia con un tocco di matita e spunti di riflessione. Una lunga domenica di passioni (FRA, 2004) segue esattamente lo stesso fil rouge, discostandosi dal precedente lavoro soltanto per l’ ambientazione: non più Parigi al presente ma la Francia della Grande Guerra, tra soldati al fronte in anguste trincee dai nomi assurdi, la splendida campagna bretone ed un pizzico di capitale, che non può mancare in un colossal transalpino.
Cosa mi è piaciuto di questo film? Innanzitutto il cast, ove tutti gli attori, compresi quelli marginali, sono calati nel ruolo cogliendo alla perfezione l’ ironia che Jeunet voleva imprimere al medesimo, in un sottile equilibrio attraverso il quale mostrare da un lato l’ amarezza per le assurdità e le nefandezze generati da una guerra (come mandare 5 propri commilitoni a morire perché accusati di automutilazione) e dall’ altro quella tipica spocchia francese che alleggerisce il tutto, donando all’ opera connotati tipici della commedia pur essendo, ufficialmente, un film drammatico e di guerra. La storia è raccontata, come per Amélie, in terza persona ed è la classica separazione forzata di un amore adolescenziale causata dalla chiamata alle armi. Dopo alcuni anni nei quali la dolce e claudicante Mathilde (Audrey Tautou) aveva dato per morto il suo amato Manech, alcuni spifferi del dopoguerra le fanno supporre il contrario, facendole iniziare una lunga ed estenuante ricerca per scoprire se effettivamente fosse morto o meno nelle vicinanze della trincea Bingo Crepuscolo, assoldando avvocati ed investigatori e coinvolgendo diverse persone. Accompagnato da una fotografia splendida (Delbonnel) e da sequenze favolistiche ove si dà risalto ai bellissimi paesaggi, il quinto lungometraggio di Jeunet ha la forza del romanticismo più ferreo permeato di quella poesia che spesso abbiamo visto nel Cinema d’ oltralpe ma che, effettivamente, non guasta affatto.
Una lunga domenica di passionisi si discosta molto dall’ opera letteraria da cui trae spunto e si lascia guardare con serenità ed interesse e i continui colpi di scena, che potrebbero in parte essere ridondanti, risultano alla fine piacevoli tanto che, raggiunto l’ epilogo, ci sentiamo quasi svuotati, piacevolmente stanchi manco avessimo noi stessi attraversato la Francia e il tempo per risolvere il rebus. Un finale scontato ma non troppo, una Tautou dolce ma anche tosta e determinata, un’ affascinante, come sempre, Marion Cotillard in un ruolo secondario di vendicativa killer dalle modalità dark ed infine un compendio di attori e caratteristi davvero bravi, che l’ ampio catalogo d’ oltralpe sa offrire, arricchiscono e completano un bel film nel quale la prima cosa che colpisce è la qualità visiva, l’ altra è la speranza che resiste nella protagonista nonostante le mille avversità.
Voto: 7 e mezzo
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francesco2
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martedì 21 ottobre 2014
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lo spirito del film
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Non è mia abitudine scrivere su "My Movies" in disaccordo con la recensione riportata, ma stavolta ho proprio l'impressione che non sia stato capito il film. Se chi scrive l'avesse valutato eccessivamente ottimistico, sarei ugualmente in disaccordo ma mi sembrerebbe una critica più attinente, così come -forse- se si criticasse il finale. Invece, parlando di "Piccola storia" non si coglie il valore di elementi come la speranza in chi non rinuncia, l'incrociarsi di vicende umane come quelle della Foster con la storia della protagonista; né l'umorismo grottesco presente in certe situazioni, come l'"Omicidio nel letto", che pone problemi sul piano "Formale" (La vena dell'autore, fiabesca sì ma con elementi di sensibilità dark, meno presenti forse nel suo "Buonista" "Amélie"), come anche su quello sostanziale (Che cos'è la "Giustizia"? Sempre quella della legge? o, come ci insegna anche il finale di un film di Altman, esiste una CERTA giustizia che la legge non concepisce?)
Qualcuno ha definito la protagonista una "Nonna" di Amélie stessa: complici il regista e l'attrice, certo, ma anche unottimismo sofferto e non stupido, capace di essere dolcemente(!) anarcoide (Amélie stessa puniva certi "Cattivi").
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Non è mia abitudine scrivere su "My Movies" in disaccordo con la recensione riportata, ma stavolta ho proprio l'impressione che non sia stato capito il film. Se chi scrive l'avesse valutato eccessivamente ottimistico, sarei ugualmente in disaccordo ma mi sembrerebbe una critica più attinente, così come -forse- se si criticasse il finale. Invece, parlando di "Piccola storia" non si coglie il valore di elementi come la speranza in chi non rinuncia, l'incrociarsi di vicende umane come quelle della Foster con la storia della protagonista; né l'umorismo grottesco presente in certe situazioni, come l'"Omicidio nel letto", che pone problemi sul piano "Formale" (La vena dell'autore, fiabesca sì ma con elementi di sensibilità dark, meno presenti forse nel suo "Buonista" "Amélie"), come anche su quello sostanziale (Che cos'è la "Giustizia"? Sempre quella della legge? o, come ci insegna anche il finale di un film di Altman, esiste una CERTA giustizia che la legge non concepisce?)
Qualcuno ha definito la protagonista una "Nonna" di Amélie stessa: complici il regista e l'attrice, certo, ma anche unottimismo sofferto e non stupido, capace di essere dolcemente(!) anarcoide (Amélie stessa puniva certi "Cattivi").
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alexander 1986
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giovedì 16 ottobre 2014
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l'odissea francese al contrario
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Francia, prima guerra mondiale. Cinque aspiranti disertori vengono beccati e mandati al fronte come carne da macello. Alcuni effettivamente muoiono, di altri non si sa più nulla. Uno di questi ultimi è il fidanzato di Mathilde (Audrey Tautou), la quale non si dà pace e mette su una rocambolesca indagine alla ricerca della verità.
La pellicola risulta gradevolissima sul piano estetico grazie alla mano del regista de 'Il favoloso mondo di Amelie' (2001): quindi atmosfere color pastello, personaggi caricaturali e humor diffuso. L'idea di Penelope che va alla ricerca di Ulisse anziché il contrario è interessante (ricorda 'I girasoli' di De Sica, 1970) ma non viene fatta funzionare appieno.
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Francia, prima guerra mondiale. Cinque aspiranti disertori vengono beccati e mandati al fronte come carne da macello. Alcuni effettivamente muoiono, di altri non si sa più nulla. Uno di questi ultimi è il fidanzato di Mathilde (Audrey Tautou), la quale non si dà pace e mette su una rocambolesca indagine alla ricerca della verità.
La pellicola risulta gradevolissima sul piano estetico grazie alla mano del regista de 'Il favoloso mondo di Amelie' (2001): quindi atmosfere color pastello, personaggi caricaturali e humor diffuso. L'idea di Penelope che va alla ricerca di Ulisse anziché il contrario è interessante (ricorda 'I girasoli' di De Sica, 1970) ma non viene fatta funzionare appieno. La leggerezza ammantante la narrazione alla lunga diventa soporifera se non snervante. Si sorride spesso, si assiste a una parata di situazioni e a una fauna umana pittoresche, ma ciò che muove realmente la storia - l'indifferenza dei potenti di fronte alle tragedie dei singoli - viene definito con troppa frettolosità. Tentativo di kolossal comunque meritevole di menzione per la sua rinuncia a patetismi e nazionalismi.
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etabeta
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venerdì 22 novembre 2013
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1 potenziale piccolo capolavoro riuscito a metà
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I francesi ce l'han messa tutta per creare un film da cineteca.
Purtroppo, e sottolineo purtroppo, ci sono riusciti solo in minima parte.
Il primo grosso errore: le due più grandi attrici al mondo a mio giudizio, utilizzate non so perchè, per delle parti molto marginali.
La potenza espressiva di Jodie Foster e Marion Cotillard seppelliscono impietosamente la faccia cerea della Tautou.
E poi il secondo problema è la trama, troppo ingarbugliata e mal scritta, con tutti quei nomi da ricordare, direi un lavoro da dilettante.
Per contro la regia, la produzione, e la sceneggiatura molto curata, danno al film quella bellezza, nella drammaticità delle scene, che solo alcuni nell'ultimo decennio (come Apocalypto) han saputo dare.
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I francesi ce l'han messa tutta per creare un film da cineteca.
Purtroppo, e sottolineo purtroppo, ci sono riusciti solo in minima parte.
Il primo grosso errore: le due più grandi attrici al mondo a mio giudizio, utilizzate non so perchè, per delle parti molto marginali.
La potenza espressiva di Jodie Foster e Marion Cotillard seppelliscono impietosamente la faccia cerea della Tautou.
E poi il secondo problema è la trama, troppo ingarbugliata e mal scritta, con tutti quei nomi da ricordare, direi un lavoro da dilettante.
Per contro la regia, la produzione, e la sceneggiatura molto curata, danno al film quella bellezza, nella drammaticità delle scene, che solo alcuni nell'ultimo decennio (come Apocalypto) han saputo dare.
Un vero peccato secondo me.
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corazzatakotiomkin
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martedì 19 marzo 2013
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"ma perché piangi ?"
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Secondo capolavoro di Jean-Pierre Jeunet; e bisogna ammettere che dopo "Il favoloso mondo di Amelie" era estremamente difficile ripetersi.
Innanzitutto, in risposta a tutti coloro che hanno definito questo film lento, macchinoso, pesante, direi che, a mio parere, tale lentezza risulta molto efficace e permette allo spettatore di venire completamente coinvolto nella storia e di divenirne "partecipe" (naturalmente per spettatore si intende chi vuole assistere ad un ottimo film e non chi ha da perdere un paio d'ore perché non ha altro di meglio da fare).
Le immagini sono semplicemente stupende; i colori sono assolutamente penetranti e trasmettono alla perfezione all'osservatore ciò che non arriva attraverso i dialoghi.
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Secondo capolavoro di Jean-Pierre Jeunet; e bisogna ammettere che dopo "Il favoloso mondo di Amelie" era estremamente difficile ripetersi.
Innanzitutto, in risposta a tutti coloro che hanno definito questo film lento, macchinoso, pesante, direi che, a mio parere, tale lentezza risulta molto efficace e permette allo spettatore di venire completamente coinvolto nella storia e di divenirne "partecipe" (naturalmente per spettatore si intende chi vuole assistere ad un ottimo film e non chi ha da perdere un paio d'ore perché non ha altro di meglio da fare).
Le immagini sono semplicemente stupende; i colori sono assolutamente penetranti e trasmettono alla perfezione all'osservatore ciò che non arriva attraverso i dialoghi. Le tonalità riportano la mente esattamente nel periodo storico descritto ed è da notare l'utilizzo di colori freddi e tetri per le rappresentazioni di scenari di guerra, mantre la parte restante della storia è permeata di una tonalità calda ed estremamente incantevole che caratterizza senz'altro l'intero film.
La poeticità risiede, come anche era accaduto per il film precedente di Jeunet, in parole, gesti e pensieri semplici ma non per questo banali, che esprimono sensazioni che risultano allo stesso tempo essenziali ed intense.
In conclusione definirei "Una lunga domenica di passioni" un film sopra gli schemi ed oltre i generi; in sostanza una lavoro davvero eccellente.
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kondor17
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sabato 1 settembre 2012
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lento ma geniale
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Arrivo a questo film dopo aver visto Bazil. Ancora una volta Jeunet gioca coi potenti, coi "Signori" della guerra - tipo il capitano, che usa la grazia dei condannati a morte per riparare la lente di ingrandimento con cui guardare le foto delle donnine facili da "assaggiare" prossimamente - per farne un'acre denuncia ed una bellissima storia d'amore. Il film è un quadro, è un'opera d'arte, fotogramma dopo dopo fotogramma, ma, dopo un'inizio truce ma promettente, inciampa in non pochi ostacoli narrativi, complicandosi la vita e complicando notevolmente la visione da parte dello spettatore. Il ritmo serrante di nomi francesi e di riferimenti, nella storia dei 5 (non) condannati, risulta difficile da seguire in un turbinio di speranze disilluse e di tracce, ossessivamente seguite da Mathilde alla ricerca dell'amato Manech.
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Arrivo a questo film dopo aver visto Bazil. Ancora una volta Jeunet gioca coi potenti, coi "Signori" della guerra - tipo il capitano, che usa la grazia dei condannati a morte per riparare la lente di ingrandimento con cui guardare le foto delle donnine facili da "assaggiare" prossimamente - per farne un'acre denuncia ed una bellissima storia d'amore. Il film è un quadro, è un'opera d'arte, fotogramma dopo dopo fotogramma, ma, dopo un'inizio truce ma promettente, inciampa in non pochi ostacoli narrativi, complicandosi la vita e complicando notevolmente la visione da parte dello spettatore. Il ritmo serrante di nomi francesi e di riferimenti, nella storia dei 5 (non) condannati, risulta difficile da seguire in un turbinio di speranze disilluse e di tracce, ossessivamente seguite da Mathilde alla ricerca dell'amato Manech. Ah già una citazione merita 1) il "critico" di Mymovies: deve aver visto un altro film 2) Jodie Foster: piccola parte, ma va ricordata e soprattutto 3) Marion Cotillard, alias Rita Lombardi, il personaggio forse più azzeccato di tutto il film.
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rinoko
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mercoledì 25 maggio 2011
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eccellente
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paride86
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sabato 3 aprile 2010
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molto bello
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Un film molto bello che ha il pregio di affrontare, seppur non come tema principale, l'orrore della guerra di trincea e il dramma delle diserzioni.
Audrey Tatou è una protagonista in gamba e nel cast si fa notare anche Jodie Foster, nonostante il piccolo ruolo.
Ottima la fotografia e belle le musiche.
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pressia
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mercoledì 20 maggio 2009
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l'antenata di amelie...
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Il film sembra puntare tutto sul personaggio che ci ricorda,con troppa facilità, la cara Amelie Poulain ...Ma come biasimare il tentativo di raggiungere il successo planetario della pellicola francese?La storia comunque è abbastanza originale e, nonostante la durata,il film si lascia seguire senza troppe sbirciate all'orologio;grazie alla scelta di una struttura smembrata e riunita seguendo il filo logico delle scoperte della prootagonista.
Un lieto fine amaro per una storia che fa l'altalena tra paradiso e inferno, speranza e cieco orrore.
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