Titolo originale | Fia og klovnene |
Anno | 2003 |
Genere | Commedia |
Produzione | Norvegia |
Durata | 100 minuti |
Regia di | Elsa Kvamme |
Attori | Sergio Bini Bustric, Anne Rygh, Marian Saastad Ottesen, Thale Sanner, Julie Gaathaug Skrøvseth, Anne Stray, Rune Temte, Ingeborg Vadseth, Marit Østbye, Mats Mogeland, Hanne Lindbæk, Roar Kvassheim, Bendik Østbye Johannessen, Mina Kvamme Isdahl, Trond Høvik Stig Henrik Hoff, Johannes Fürst, Minken Fosheim, Klara Døving, Nina Andresen Borud. |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
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Ultimo aggiornamento venerdì 12 febbraio 2010
Il film ha ottenuto 1 candidatura al Festival di Giffoni,
CONSIGLIATO N.D.
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Fia è convinta che tutti siano del clown, tutti tranne lei, sua madre e Bustric. Fia ha solo otto anni ma è scaltra, spigliata e si prende cura di sua madre come una adulta. Quando l'assistente sociale decide di affidarla a genitori adottivi e la obbliga a frequentare la scuola, il mondo di Fia si capovolge. Per fortuna c'è Bustri, il suo amico clown, che può aiutarla con i suoi incantesimi.
Le difficoltà del personaggio di Fia nel rapporto con i genitori affidatari, con la maestra, con i compagni di classe, ci svelano il suo malessere, la cui causa è da attribuire alla separazione dalla madre. Fia sembra soffrire della cosiddetta sindrome di abbandono, insicurezza affettiva connessa a esperienze di distacco, di privazione, che risalgono a una carenza di presenza rassicurante o di atteggiamento affettivo da parte dei genitori. Da ciò scaturisce uno stato detto di inanizione, in cui la vita di relazione del bambino è compromessa sotto vari aspetti, come vediamo accadere a Fia: ne derivano manifestazioni antisociali, scarsa applicazione allo studio, incostanza, irrequietezza, sfiducia verso gli altri.
L’ambigua madre di Fia evoca l’archetipo junghiano della Grande Madre, modello originario che condiziona i rapporti tra la madre e il bambino, il quale proietta sulla madre reale le caratteristiche positive e negative dell’archetipo: “Ciò che è benevolo, protettivo, tollerante; ciò che favorisce la crescita, la fecondità, la nutrizione; i luoghi della magica trasformazione, della rinascita; l’istinto o l’impulso soccorrevole; ciò che è segreto, occulto, tenebroso; ciò che divora, seduce, intossica; ciò che genera angoscia”.
Da tutto ciò deriva nel bambino un’ambivalenza di atteggiamenti che ci porta alla teoria kleiniana. L’ambivalenza delle pulsioni positive e negative si proietta su uno stesso oggetto esterno (la madre). L’ambivalenza porta il bambino a scindere l’oggetto esterno in oggetto “buono” (rassicurante) e oggetto “cattivo” (persecutorio). Il bambino introietta l’oggetto “buono”, fonte di piacere (la considerazione positiva che Fia ha della madre), e proietta fuori di sé l’oggetto “cattivo”, fonte di dispiacere (le allucinazioni in cui Fia vede la madre compiere azioni cattive). Il processo di scissione continua fin a un punto in cui l’amore e la fiducia verso l’oggetto esterno si stabiliscono saldamente, come si vede nel finale del film: l’oggetto esterno non è più percepito come scisso, ma come oggetto unico, come la persona totale e reale della madre.
Il processo di crescita di Fia si allaccia al rapporto tra principio di piacere e principio di realtà, i due principi che regolano l’attività della psiche. Nel bambino, la cui vita psichica è regolata sul principio di piacere, si ha la tendenza a scaricare la tensione pulsionale, la cui crescita è fonte di dispiacere, nella realtà e, se non è possibile, nell’immaginazione, relegando nel sogno o nella fantasia l’appagamento del desiderio. Col passare del tempo, la mancanza del soddisfacimento dei desideri porta alla disillusione, all’abbandono della via allucinatoria, e l’individuo arriva alla coscienza della necessità di affrontare la realtà. Il principio di piacere non scompare, ma l’individuo si rende conto di quanto sforzo occorra per realizzare piaceri e desideri, e impara ad adattarsi alla realtà: ciò accade a Fia nel finale del film, in cui la bambina si rende conto delle reali mancanze della madre, accetta di vivere con i genitori affidatari e di vedere la madre ogni tanto. Senza perdere il gusto della fantasia e il principio di piacere, Fia si adatta all’inevitabile dominio del principio di realtà.
Un altro aspetto centrale del film è il gioco. Nel personaggio di Fia vediamo i due aspetti principali del gioco secondo la psicologia dinamica: l’aspetto catartico, e il controllo della realtà interna ed esterna. L’aspetto catartico è il lato del gioco per cui il bambino può scaricare su oggetti simbolici, sul piano della rappresentazione ludica, tensioni, insicurezze, paure, aggressività, ottenendo una distensione dell’Io. Il controllo della realtà interna ed esterna è invece il lato del gioco per cui il bambino appoggia il suo mondo interiore a oggetti che può manipolare in base alle sue esigenze interne, passando liberamente dalla mera fantasia alla realtà fittizia del gioco: il bambino può così trasformare in attiva una situazione emotiva che altrimenti sarebbe costretto a vivere in modo passivo. Il senso di controllo su oggetti e situazioni ludici permette al bambino di passare da una realtà fittizia a una più simile a quella degli adulti, soprattutto quando il gioco si struttura secondo regole, come quelle dei giochi di prestigio dettate da Bustric.