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lunedì 26 luglio 2010
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il piacere della lettura. seconda ed ultima parte.
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Scuola di Barbiana - "Lettera a una professoressa"
Gli esami
Matematica e sadismo - Il problema di geometria faceva pensare a una scultura della Biennale: " Un solido è formato da una semisfera sovrapposta a un cilindro la cui superficie è tre settimi di quella..." . Non esiste uno strumento che misuri le superfici. Dunque nella vita non può accadere mai di conoscere le superfici e non le dimensioni. Un problema così può nascere solo nella mente di un malato.
Etichette nuove - Nella Nuova Media queste cose non si vedranno più.
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Scuola di Barbiana - "Lettera a una professoressa"
Gli esami
Matematica e sadismo - Il problema di geometria faceva pensare a una scultura della Biennale: " Un solido è formato da una semisfera sovrapposta a un cilindro la cui superficie è tre settimi di quella..." . Non esiste uno strumento che misuri le superfici. Dunque nella vita non può accadere mai di conoscere le superfici e non le dimensioni. Un problema così può nascere solo nella mente di un malato.
Etichette nuove - Nella Nuova Media queste cose non si vedranno più. I problemi partiranno "da considerazioni di carattere concreto". Difatto la Carla quest'anno alla licenza ha avuto un problema moderno a base di caldaie: " Una caldaia ha la forma di una semisfera sovrapposta..." E di nuovo si parte dalle superfici. Meglio un professore all'antica, d'uno che crede d'essere moderno perché ha mutato le etichette.
Una classe di cretini - Il nostro era all'antica. Fra l'altro gli successe che nessuno dei suoi ragazzi riuscì a risolvere il problema. Dei nostri se la cavarono due su quattro. Risultato: ventisei bocciati su ventotto. Lui raccontava in giro che gli era toccata una classe di cretini!
Il sindacato dei babbi -A chi toccava tenerlo a freno? Poteva farlo il preside o il consiglio dei professori. Non lo fecero. Potevano farlo i genitori. Ma finché avrete il coltello dalla parte del manico i genitori staranno zitti. E allora o levarvi di mano ogni coltello (voti, pagelle, esami) o organizzare i genitori. Un bel sindacato di babbi e mamme capace di ricordarvi che vi paghiamo noi e vi paghiamo per servirci, non per buttarci fuori. In fondo sarebbe il vostro bene. Quelli che non ricevono critiche, invecchiano male. S'estraniano alla storia che vive e progredisce. diventano quelle povere creature che siete voi.
Il giornale –La storia di questo mezzo secolo era quella che sapevo meglio. Rivoluzione russa, fascismo, guerra, resistenza, liberazione dell’Africa e dell’Asia. E’ la storia in cui sono vissuti il nonno e il babbo. Poi sapevo bene la storia in cui vivo io. Cioè il giornale che a Barbiana leggevamo ogni giorno, a alta voce, di cima a fondo. Sotto gli esami due ore di scuola spese sul giornale ognuno se le strappa dalla sua avarizia. Perché non c’è nulla sul giornale che serva ai vostri esami. E’ la riprova che c’è poco nella vostra scuola che serva alla vita. Proprio per questo bisogna leggerlo. E’ come gridarvi in faccia che un lurido certificato non è riuscito a trasformarci in bestie. Lo vogliamo solo per i nostri genitori. Ma politica e cronaca cioè le sofferenze degli altri valgono più di voi e di noi stessi.
La Costituzione – Quella professoressa s’era fermata alla prima guerra mondiale. Esattamente al punto dove la scuola poteva riallacciarsi con la vita. E in tutto l’anno non aveva mai letto un giornale in classe. Dovevano esserle rimasti negli occhi i cartelli fascisti “ Qui non si parla di politica”. Una volta la mamma di Giampiero le disse: “Eppure mi pare che il bambino da che va al doposcuola comunale sia migliorato tanto. La sera a casa lo vedo leggere”. “Leggere? Sa cosa legge? La COSTITUZIONE! L’anno scorso aveva per il capo le ragazzine, quest’anno la Costituzione”. Quella povera donna pensò che fosse un libro sporco. La sera voleva far cazzottare Giampiero dal suo babbo.
Il Monti – Quella stessaprofessoressa a italiano voleva a tutti i costi le strane fiabe d’Omero. Ma almeno fosse stato Omero. Era il Monti. A Barbiana non s’era letto. Solo una volta, per ridere, si prese il testo greco e si contò le parole d’un canto. Centoquarantuno per cento! Ogni tre parole due son d’Omero, una è parto della testolina del Monti. E il Monti chi è? Uno che ha qualcosa da dirci? Uno che parla la lingua che occorre a noi? Peggio ancora: è uno che scriveva una lingua che non era parlata neppure a tempo suo. Un giorno insegnavo geografia a un ragazzetto cacciato fresco fresco dalla vostra media. Non sapeva nulla di nulla, ma per dire Gibilterra diceva Colonne d’Ercole. Se lo immagina in Spagna a chiedere il biglietto a uno sportello ferroviario?
Gerarchia delle urgenze – Quando la scuola è poca il programma va fatto badando solo alle urgenze. Pierino del dottore ha tempo di leggere anche le novelle. Gianni no. Vi è scappato di mano a 15 anni. E’ in officina. Non ha bisogno di sapere se è stato Giove a partorire Minerva o viceversa. Nel suo programma d’italiano ci stava meglio il contratto dei metalmeccanici. Lei signora l’ha letto? Non si vergogna? E’ la vita di mezzo milione di famiglie. Che siete colti ve lo dite da voi. Avete letto tutti gli stessi libri. Non c’è nessuno che vi chieda qualcosa di diverso.
Ragazzi infelici – Agli esami di ginnastica un professore ci buttò un pallone e ci disse: “Giocate a pallacanestro”. Noi non si sapeva. Il professore ci guardò con disprezzo: “Ragazzi infelici”. Anche lui come voi. L’abilità in un rito convenzionale gli pareva importante. Disse al preside che non avevamo “educazione fisica” e voleva rimandarci a settembre. Ognuno di noi era capace di arrampicarsi su una quercia. Lassù lasciare andare le mani e a colpi d’accetta buttar giù un ramo d’un quintale. Poi trascinarlo sulla neve fin sulla soglia di casa ai piedi della mamma. M’hanno raccontato d’un signore a Firenze che sale in casa sua con l’ascensore. Poi s’è comprato un altro aggeggio costoso e fa finta di remare. Voi in educazione fisica gli dareste dieci.
Latino in Mugello – Di latino naturalmente ne sapevamo poco. La Camera l’aveva già seppellito da due anni. Proprio in quell’anno avevano smesso di pretenderlo Cambridge e Oxford. Ma i contadini del Mugello dovevano saperlo tutto. Passavano tra i banchi i professori solenni come sacerdoti. Custodi del lucignolo spento. Io sgranavo gli occhi su quella gente strana. Non avevo mai incontrato nulla di simile.
“Good Ciak!”
Note: SCUOLA DI BARBIANA - LETTERA A UNA PROFESSORESSA - LIBRERIA EDITRICE FIORENTINA
Questo libro non è scritto per gli insegnanti, ma per i genitori. E' un invito a organizzarsi.
A prima vista sembra scritto da un ragazzo solo. Invece gli autori siamo otto ragazzi della Scuola di Barbiana. Altri nostri compagni che sono a lavorare ci hanno aiutato la domenica.
Dobbiamo ringraziare prima di tutto il nostro PRIORE che ci ha educati, ci ha insegnato le regole dell'arte e ha diretto i lavori. Poi moltissimi amici che hanno collaborato in altro modo: Per la semplificazione del testo, vari genitori. Per la raccolta dei dati statistici, segretari, insegnanti, direttori, presidi, funzionari del ministero e dell'ISTAT, parroci. Per altre notizie, sindacalisti, giornalisti, amministratori comunali, storici, statistici, giuristi.
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sabato 24 luglio 2010
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il piacere della lettura. prima parte
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- Scuola di Barbiana - "Lettera a una professoressa"
Gli esami (tratto da)
Le regole dello scrivere - A giugno del terzo anno di Barbiana mi presentai alla licenza media come privatista. Il tema fu: "Parlano le carrozze ferroviarie". A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando.
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- Scuola di Barbiana - "Lettera a una professoressa"
Gli esami (tratto da)
Le regole dello scrivere - A giugno del terzo anno di Barbiana mi presentai alla licenza media come privatista. Il tema fu: "Parlano le carrozze ferroviarie". A Barbiana avevo imparato che le regole dello scrivere sono: Aver qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti o a molti. Sapere a chi si scrive. Raccogliere tutto quello che serve. Trovare una logica su cui ordinarlo. Eliminare ogni parola che non serve. Eliminare ogni parola che non usiamo parlando. Non porsi limiti di tempo. Così scrivo coi miei compagni questa lettera. Così spero che scriveranno i miei scolari quando sarò maestro.
Ma davanti a quel tema che me ne facevo delle regole umili e sane dell'arte di tutti i tempi? Se volevo essere onesto dovevo lasciare la pagina in bianco. Oppure criticare il tema e chi me l'aveva dato. Ma avevo quattordici anni e venivo dai monti. Per andare alle magistrali mi ci voleva la licenza. Quel fogliuccio era in mano a cinque o sei persone estranee alla mia vita e a quasi tutto ciò che amavo e sapevo. Gente disattenta che teneva il coltello dalla parte del manico. Mi provai dunque a scrivere come volete voi. Posso ben credere che non ci riuscii. Certo scorrevano meglio gli scritti dei vostri signorini esperti nel frigger aria e nel rifrigger luoghi comuni.
Il complesso del trabocchetto - Il compito di francese era un concentrato di eccezioni. Gli esami vanno aboliti. Ma se li fate, siate almeno leali. Le fifficoltà vanno messe in percentuale di quelle della vita. Se le mettete più frequenti avete la mania del trabocchetto. Come se foste in guerra coi ragazzi. Chi ve lo fa fare? il loro bene?
Gufi, ciottoli e ventagli - Il loro bene no. Passò con nove un ragazzo che in Francia non saprebbe chiedere nemmeno del gabinetto. Sapeva solo chiedere gufi, ciottoli e ventagli sia al plurale che al singolare. Avrà saputo in tutto duecento vocaboli e scelti col metro di essere eccezioni, non d'essere frequenti. Il risultato è che odiava anche il francese come si potrebbe odiare la matematica.
Il fine - Io le lingue le ho imparate coi dischi. Senza neanche accorgermene ho imparato prima le cose più utili e frequenti. Esattamente come si impara l'italiano. Quell'estate ero stato a Grenoble a lavar piatti in una trattoria. M'ero trovato subito a mio agio. Negli ostelli avevo comunicato con ragazzi d'Europa e d'Africa. Ero tornato deciso a imparare lingue a tutto spiano. Molte lingue male piuttosto che una bene. Pur di poter comunicare con tutti, conoscere uomini e problemi nuovi, ridere dei sacri confini delle patrie.
I mezzi - Nei tre anni delle medie noi avevamo fatto due lingue invece di una: francese e inglese. Avevamo un vocabolario sufficiente a reggere qualsiasi discussione. Pur di non farla lunga su qualche sbaglio di grammatica. Ma la grammatica appare quasi solo scrivendo. Per leggere e parlare si può fare senza. Poi pian piano s'orecchia. Più tardi chi ci tiene può studiarla. Del resto con la nostra lingua si fa così. Si riceve la prima lezione di grammatica dopo otto anni che si parla. Dopo tre che si legge e che si scrive. Nei programmi nuovi son consigliati i dischi anche per voi. Ma i dischi vanno bene in una scuola a pieno tempo, dove le lingue si imparano per svago nelle ore di stanchezza. Un par d'ore al giorno sette giorni la settimana. Non tre ore la settimana come da voi. Nelle vostre condizioni è meglio non adoprarli.
I castelli della Loira - Agli orali s'ebbe una sorpesa. I vostri ragazzi parevano pozzi di cultura francese. Per esempio parlavano con sicurezza dei castelli della Loira. Più tardi si seppe che avevano fatto soltanto quello in tutto l'anno. Poi avevano in programma alcuni brani e li sapevano leggere e tradurre. Se fosse capitato un ispettore avrebbero fatto più figura loro di noi. L'ispettore non esce dal programma. Eppure lo sapete voi e lui che quel francese non può servire a nulla. E allora per chi lo fate? Voi per l'ispettore. Lui per il provveditore. E lui per il ministro. E' l'aspetto più sconcertante della vostra scuola: vive fine a se stessa.
Arrivisti a 12 anni - Anche il fine dei vostri ragazzi è un mistero. Forse non esiste, forse è volgare. Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null'altro. Dietro a quei fogli di carta c'è solo l'interesse individuale. Il diploma è quattrini. Nessuno di voi lo dice. Ma stringi stringi il succo è quello. Per studiare volentieri nelle vostre scuole bisognerebbe essere già arrivisti a 12 anni. A 12 anni gli arrivisti son pochi. Tant'è vero che la maggioranza dei vostri ragazzi odia la scuola. Il vostro invito volgare non meritava altra risposta.
L'inglese - Nella classe accanto c'era una sezione d'inglese. Più ingannati che mai. Lo so anch'io che l'inglese fa più comodo. Ma a saperlo. Non a cominciarlo appena come fate voi. Altro che gufi e ciottoli. Non sapevano dire neanche buonasera. E scoraggiati per sempre. La prima lingua straniera è un avvenimento nella vita del ragazzo. Deve essere un successo, sennò guai. Noi s'è visto che in pratica è possibile soltanto col francese. Ogni volta che capitava un ospite straniero che parlava francese c'era qualche ragazzo che scopriva la gioia di intendere. La sera stessa lo si vedeva prendere in mano i dischi di un terza lingua. Il più l'aveva in mano: voglia, certezza che è possibile sfondare, mente già avviata nei problemi linguistici.
Note: SCUOLA DI BARBIANA - LETTERA A UNA PROFESSORESSA - LIBRERIA EDITRICE FIORENTINA
Questo libro non è scritto per gli insegnanti, ma per i genitori. E' un invito a organizzarsi.
A prima vista sembra scritto da un ragazzo solo. Invece gli autori siamo otto ragazzi della Scuola di Barbiana. Altri nostri compagni che sono a lavorare ci hanno aiutato la domenica.
Dobbiamo ringraziare prima di tutto il nostro PRIORE che ci ha educati, ci ha insegnato le regole dell'arte e ha diretto i lavori. Poi moltissimi amici che hanno collaborato in altro modo: Per la semplificazione del testo, vari genitori. Per la raccolta dei dati statistici, segretari, insegnanti, direttori, presidi, funzionari del ministero e dell'ISTAT, parroci. Per altre notizie, sindacalisti, giornalisti, amministratori comunali, storici, statistici, giuristi.
CONTINUA - "Good Ciak!"
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martedì 13 luglio 2010
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la scuola di barbiana - testimonianze. app. 2
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T E S T I M O N I A N Z E (Pier Paolo Pasolini - Giorgio Pecorini)
Pier Paolo PASOLINI
"La prima cosa che devo dire a proposito di questo libro è che è un libro veramente bello.
C’è una definizione di Berenson che dice qual è il metodo pratico ed essenziale per giudicare la bellezza di un libro. E’ l’aumento di vitalità che dà. Leggendo questo libro la vitalità aumenta in modo vertiginoso; perché è un libro scritto con grande grazia, con grande precisione, con assoluta funzionalità. Non soltanto, ma con grande spirito, da una parte, che fa ridere quasi come un libro umoristico.
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T E S T I M O N I A N Z E (Pier Paolo Pasolini - Giorgio Pecorini)
Pier Paolo PASOLINI
"La prima cosa che devo dire a proposito di questo libro è che è un libro veramente bello.
C’è una definizione di Berenson che dice qual è il metodo pratico ed essenziale per giudicare la bellezza di un libro. E’ l’aumento di vitalità che dà. Leggendo questo libro la vitalità aumenta in modo vertiginoso; perché è un libro scritto con grande grazia, con grande precisione, con assoluta funzionalità. Non soltanto, ma con grande spirito, da una parte, che fa ridere quasi come un libro umoristico. Fa ridere da soli e nello stesso tempo, immediatamente dopo aver riso, viene un nodo alla gola, un groppo alla gola, addirittura le lacrime agli occhi tanta è la precisione, la verità del problema che ci pone; che come i telespettatori sanno è il problema della scuola italiana.
E oltretutto c’è anche la coscienza stilistica di questo libro, perché in questo libro vi è contenuta una delle più straordinarie definizioni di quella che deve essere la poesia. Cioè un odio, un senso di vendetta verso gli altri che una volta approfondito e liberato, diventa Amore.
Dunque, di questo libro devo dire, in generale, tutto il bene possibile e non mi è mai capitato di essere così entusiasta di qualcosa e di sentirmi, in un certo senso, obbligato, costretto a dire agli altri, leggetelo.
Oltretutto è un libro che riguarda si la scuola, come argomento specifico ma nella realtà, riguarda la società italiana, la qualità di vita italiana."
GIORGIO PECORINI
Dopo la morte del priore di Barbiana ha scritto numerosi articoli e saggi su lui e la sua scuola. La sorella di don Milani, Elena, così scrive di Pecorini:
"Fra i diversi autori di libri su mio fratello, Giorgio è l'unico che lo abbia veramente conosciuto nelle sue vesti di sacerdote e di maestro, ed è uno dei pochi "intellettuali" che sono riusciti ad instaurare un rapporto di profonda amicizia e stima con Lorenzo".
Redattore dell’Europeo
Barbiana erano quattro case sparse per il bosco a 500 metri di distanza l’una dall’altra, con una chiesina piccola piccola, che era stata una parrocchia, Lo era ancora, da un punto di vista burocratico- amministrativo, ma la curia di Firenze ne aveva già annunciato la chiusura. Perché la montagna si spopolava, non aveva senso mandare un prete là. Ha avuto senso solo mandarci un prete come don Milani, per levarselo dai piedi, per mandarlo in un esilio, pensavano. A Barbiana non arrivava la strada, non c’era la luce, non c’era l’acqua, non arrivava la posta, non c’era telefono.
Hanno voluto sapere quale fosse l’orientamento politico del giornale per il quale lavoravo, perché il giornale si occupava di questo tema, con che spirito io me ne occupavo, e ho subito un vero e proprio esame, che forse sarebbe più giusto chiamare processo. Quindi c’è stata questa enorme sorpresa di vedere dei ragazzetti, che vivevano in queste condizioni di isolamento, che avevano curiosità sulle forme politiche, sui problemi sindacali, sull’educazione civica, sulle forme di rappresentatività popolare, sul funzionamento delle Camere, che conoscevano la storia del fascismo in Europa, la storia dell’Ebraismo, la storia delle persecuzioni naziste, che vivevano nella realtà del mondo con consapevolezza e compartecipazione, da aspiranti cittadini e non da piccoli bambini messi lì a ricevere delle notizie infilate nella loro testa.
I care ancora...
Il giornalista Giorgio Pecorini ha curato la stesura di questo ultimo libro di documenti di Don Lorenzo Milani.
«Stasera ho provato a mettere un disco di Beethoven per vedere se posso ritornare al mio mondo e alla mia razza e sabato far dire a Rino: "Il priore non riceve perché sta ascoltando un disco". [...] Volevo anche scrivere sulla porta "I don't care più", ma invece me ne care ancora molto»: è il finale dell'ultima lettera di don Lorenzo Milani a Francuccio Gesualdi, uno dei suoi "ragazzi di Barbiana" mandati all'estero a imparare le altre lingue e gli altri uomini. E' da quella lettera, datata 4 aprile 1967 (ottantatre giorni prima della morte), che viene il titolo di questa nuova raccolta di scritti di Lorenzo Milani.
Essi non ne capovolgono la figura. E neppure impongono revisioni radicali della sua vicenda privata e pubblica. Del suo impegno di cittadino. Del suo lavoro di maestro e di prete. Del suo posto nella storia della società, della cultura e della chiesa italiane.
Aiutano tuttavia a leggere più chiaramente i suoi obiettivi. A intendere più compiutamente le sue provocazioni. A servirsene per orientarsi meglio nella realtà e nei problemi del nostro tempo, in apparenza tanto diverso da quello in cui egli è vissuto e ha operato, ma immutato nella sostanza dell'impegno etico e dell'assunzione di responsabilità necessarie ad almeno tentare di farsi, come lui chiedeva, "cittadini-sovrani". Due soli richiami, per dimostrarlo: le considerazioni sul comunismo e sulla Dc (lettere del 26 dicembre 1947 e del 30 ottobre 1950, alle pagine 34 e 37); il duro processo parallelo alla scuola pubblica dello stato e a quella privata dei preti (lettera del 9 marzo 1961, a pagina 98).
Alcune centinaia di inediti integrano così su molti punti, anche nodali, quanto è già noto. Decine di testi già editi e riediti, ma con ammaccature, soppressioni e stravolgimenti di frasi, cancellazioni o storpiature di nomi, omissione di riferimenti ed episodi, ricompaiono con un "restauro" sempre interessante oltre che doveroso, qualche volta determinante.
Il grosso dei documenti sono lettere private a 6 diversi interlocutori: i cugini materni, Ottocar e Carlo Weiss; il segretario di papa Giovanni, monsignor Capovilla; Francesca Pellizzi, compagna di liceo ritrovata dopo la frattura della guerra, e il marito Luciano Ichino; Elena Pirelli Brambilla, l'amica che ha amato e aiutato i ragazzi di Barbiana «con affetto silenzioso e ritirato» (testimonianza a pagina 204); un giornalista, Giorgio Pecorini; il minore dei due fratelli finiti a vivere nella scuola-canonica di Barbiana, Francuccio Gesualdi.
Due testi, uno sulla storia del termine "borghese", l'altro sul fumo, anch'essi in forma epistolare, sono prodotti culturali della scuola, sperimentazioni di quella tecnica di scrittura collettiva che avrà in Lettera a una professoressa il risultato più alto.
Gli appunti per un progetto di giornale-scuola che guidasse gli illetterati a decodificare il linguaggio e a denunciare gli imbrogli dell'informazione, sono integrati e arricchiti dalle notizie fin qui sconosciute dell'unica sperimentazione pratica, tentata da Aldo Capitini con alcuni amici, e dalla critica che Milani ne fa.
Altri appunti ricostruiscono infine il complesso, faticato lancio di Lettera a una professoressa; e l'ansia con cui Milani, lucidamente consapevole dell'imminente fine, lo guida, per misurare l'impatto di quell'ultima provocazione sua e dei suoi ragazzi.
Quasi ad appendice, c'è lo stralcio da un carteggio della madre di Lorenzo con la figlia minore Elena quand'era lontana. E' diviso in due parti.
La prima, dal 1946, ultimo periodo di Lorenzo in seminario, alla sua morte, nel '67, è densa di riferimenti a persone, fatti e problemi su cui il figlio informava la madre, e che questa trasmetteva alla figlia aggiungendovi le proprie considerazioni, le proprie apprensioni e i propri commenti. Oltre al riverbero di tutte le polemiche, contengono una serie di particolari minuti ma non minori, preziosi per la ricostruzione di molte vicende e per valutarne meglio ripercussioni e conseguenze
Le lettere della seconda parte, dalla morte del figlio a quella della madre, nel '79, sono ricche di annotazioni e considerazioni sul diffondersi e l'allargarsi, in Italia e fuori, dell'interesse per le proposte e le provocazioni di don Milani, sulle prime pubblicazioni di inediti, sui tentativi di strumentalizzazione e di stravolgimento.
Ognuno dei 6 carteggi e degli altri blocchi di documenti è preceduto da un breve cappello che dà conto della nascita e dello sviluppo. Di tutti, sono indicati i collegamenti essenziali. In ogni documento, note a piè di pagina contestualizzano gli avvenimenti citati. Quando e fin dove è stato possibile, collegano vicende e persone alle citazioni ricorrenti negli altri blocchi, e negli scritti di don Milani e della sua scuola editi altrove.
L'organizzazione e la contestualizzazione dei testi sono state compiute, su incarico della sorella di Lorenzo, Elena, da Giorgio Pecorini che, incontrato don Milani nel 1957 per intervistarlo all'uscita di Esperienze pastorali, ne è diventato amico, pur essendo non credente, e restandolo. Dopo la morte del priore di Barbiana, Pecorini ha scritto numerosi articoli e saggi su lui e la sua scuola. Nel 1966 ha pubblicato il libro Don Milani! Chi era costui? (Baldini & Castoldi) inserendovi un primo gruppo di testi inediti e accludendovi un'audiocassetta con la registrazione dal vivo delle due conversazioni-lezione trascritte nel volume.
Giorgio Pecorini
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domenica 11 luglio 2010
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la scuola di barbiana - approfondimento n° 1
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FONDAZIONE DON LORENZO MILANI
www.donlorenzomilani.it
Lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena.
Barbiana, 1 novembre 1963
Cari ragazzi,
questa lettera ha cinque capitoli. Iragazzi di prima media hanno preparato i primi due. I più grandi gli altri.
1. BARBIANA
Barbiana è sul fianco nord del monte Giovi, a 470 metri sul mare.
Di qui vediamo sotto di noi tutto il Mugello che è la valle della Sieve affluente dell’Arno.
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FONDAZIONE DON LORENZO MILANI
www.donlorenzomilani.it
Lettera dei ragazzi di Barbiana ai ragazzi di Piadena.
Barbiana, 1 novembre 1963
Cari ragazzi,
questa lettera ha cinque capitoli. Iragazzi di prima media hanno preparato i primi due. I più grandi gli altri.
1. BARBIANA
Barbiana è sul fianco nord del monte Giovi, a 470 metri sul mare.
Di qui vediamo sotto di noi tutto il Mugello che è la valle della Sieve affluente dell’Arno.
Dall’altra parte del Mugello vediamo la catena dell’Appennino.
Barbiana non è nemmeno un villaggio, è una chiesa e le case sono sparse tra i boschi e i campi.
I posti di montagna come questo sono rimasti disabitati. Se non ci fosse la nostra scuola a tener fermi i nostri genitori anche Barbiana sarebbe un deserto. In tutto ci sono rimaste 39 anime.
I nostri babbi sono contadini o operai.
La terra è molto povera perché le piogge la portano via scoprendo il sasso. L’acqua scorre via e va in pianura. Così i contadini mangiano tutti i loro raccolti e non possono vendere nulla.
Anche la vita degli operai è dura. Si levano la mattina alle cinque, fanno sette chilometri per arrivare al treno e un’ora e mezza di treno per arrivare a Firenze dove lavorano da manovali.
Tornano a casa alle otto e mezzo di sera.
In molte case e anche qui a scuola manca la luce elettrica e l’acqua. La strada non c’era.
L’abbiamo adattata un po’ noi perché ci passi una macchina.
2. LA NOSTRA SCUOLA
La nostra scuola è privata.
È in due stanze della canonica più due che ci servono da officina.
D’inverno ci stiamo un po’ stretti. Ma da aprile a ottobre facciamo scuola all’aperto e allora il posto non ci manca!
Ora siamo 29. Tre bambine e 26 ragazzi.
Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana.
Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane.
Gli altri quindici sono di altre parrocchie e tornano a casa ogni giorno: chi a piedi, chi in bicicletta, chi in motorino. Qualcuno viene molto da lontano, per es. Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare.
Il più piccolo di noi ha 11 anni, il più grande 18.
I più piccoli fanno la prima media. Poi c’è una seconda e una terza industriali.
Quelli che hanno finito le industriali studiano altre lingue straniere e disegno meccanico. Le lingue sono: il francese, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco. Francuccio che vuol fare il missionario comincia ora anche l’arabo.
L’orario è dalle otto di mattina alle sette e mezzo di sera. C’è solo una breve interruzione per mangiare. La mattina prima delle otto quelli più vicini in genere lavorano in casa loro nella stalla o a spezzare legna.
Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco.
Quando c’è la neve sciamo un’ora dopo mangiato e d’estate nuotiamo un’ora in una piccola piscina che abbiamo costruito noi.
Queste non le chiamiamo ricreazioni ma materie scolastiche particolarmente appassionanti! Il priore ce le fa imparare solo perché potranno esserci utili nella vita.
I giorni di scuola sono 365 l’anno. 366 negli anni bisestili.
La domenica si distingue dagli altri giorni solo perché prendiamo la messa.
Abbiamo due stanze che chiamiamo officina.
Lì impariamo a lavorare il legno e il ferro e costruiamo tutti gli oggetti che servono per la scuola.
Abbiamo 23 maestri! Perché, esclusi i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli che sono minori di loro. Il priore insegna solo ai più grandi. Per prendere i diplomi andiamo a fare gli esami come privatisti nelle scuole di stato.
3. PERCHE' VENIAVAMO A SCUOLA SUL PRINCIPIO
Prima di venirci, né noi né i nostri genitori, sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana.
Quel che pensavamo noi.
Non siamo venuti tutti per lo stesso motivo.
Per noi barbianesi la cosa era semplice:
La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori.
Noi sempre soli, loro in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare.
Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi:
Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo).
All’estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole).
La maggioranza invece siamo venuti d’accordo coi genitori.
Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva.
Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno.
Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c’era, era per influenza dei genitori.
Quel che pensavano i nostri genitori.
Pare invece che questi calcoli siano normali nei genitori, almeno a giudicare dai nostri.
Non ci siamo sentiti dire che: «Bada di passare! Se passi ti fo un regalo! Se bocci ne buschi!
Vuoi zappare come io pa’? Guarda quello col diploma che posto s’è fatto!».
A sentir loro sembrerebbe che al mondo non ci fosse che il problema di noi stessi, del denaro, di farsi strada.
Cioè sembrerebbe che ci educhino all’egoismo. Mentre invece per tante altre cose ci danno esempio di generosità: aiutano volentieri il prossimo e anche la loro cura per noi è un continuo dimenticarsi di se stessi. Spesso le loro parole non riflettono il loro vero pensiero, ripetono soltanto quel che il mondo usa dire.
4. PERCHE' VENIAMO A SCUOLA ORA
A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c’è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l’anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola.
Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiare di nuove più appassionanti.
Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi a venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé.
Ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo.
Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per es. dedicarci da grandi all’insegnamento, alla politica, al sindacato, all’apostolato o simili.
Per questo qui si rammentano spesso e ci si schiera sempre dalla parte dei più deboli: africani, asiatici, meridionali, italiani, operai, contadini, montanari.
Ma il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, in nessun campo, finché non sapremo comunicare.
Perciò qui le lingue sono, come numero di ore, la materia principale.
Prima l’italiano perché sennò non si riesce a imparare nemmeno le lingue straniere.
Poi più lingue possibili, perché al mondo non ci siamo soltanto noi.
Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre.
5. TRA IL DIRE E IL FARE C'E' DI MEZZO IL MARE
A tutti noi piacerebbe vivere oggi e per tutta la vita all’altezza di questi ideali. Però, sotto la pressione dei genitori, del mondo borghese e di un po’ di egoismo nostro, siamo continuamente tentati a ricascare nella cura di noi stessi.
Nostra debolezza.
Per es. uno dei più grandi, già bravissimo in matematica, passava le nottate a studiarsene dell’altra. Un altro, dopo sette anni di scuola qui, s’è voluto iscrivere a elettrotecnica.
Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città.
E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz’ora.
Pressione dei nostri genitori e del mondo.
A nostra difesa però c’è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo.
Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt’altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti.
La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi.
Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola.
Da Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana
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sabato 10 luglio 2010
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per la chiesa le “perle vere” sono ceci.
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Perché la Chiesa le “Perle vere” le confonde sempre per ceci bianchi? Vediamo. La Chiesa, quella del Palazzo, tanto per intenderci, vuole preti tranquilli. Tranquilli come? Come i mari terrestri quando c’è bonaccia? No! Come i mari del suolo lunare. Quello - Della Tranquillità – ad esempio. Tra l’altro l’osservazione del suolo lunare è stata iniziata da un altro personaggio ritenuto “discolo” dal Palazzo, un certo Galileo Galilei. Mi chiedo: - Ma Gesù è stato tranquillo? – Mi rispondo: - No. Il mio Gesù, quello in cui credo per la sua non tranquillità dialettica, per il suo continuo pensare, fu flagellato e crocifisso.
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Perché la Chiesa le “Perle vere” le confonde sempre per ceci bianchi? Vediamo. La Chiesa, quella del Palazzo, tanto per intenderci, vuole preti tranquilli. Tranquilli come? Come i mari terrestri quando c’è bonaccia? No! Come i mari del suolo lunare. Quello - Della Tranquillità – ad esempio. Tra l’altro l’osservazione del suolo lunare è stata iniziata da un altro personaggio ritenuto “discolo” dal Palazzo, un certo Galileo Galilei. Mi chiedo: - Ma Gesù è stato tranquillo? – Mi rispondo: - No. Il mio Gesù, quello in cui credo per la sua non tranquillità dialettica, per il suo continuo pensare, fu flagellato e crocifisso.
E… don Milani? Beh, Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti o semplicemente don Milani è stato ritenuto un altro discolo. Ascoltiamolo: - Bisogna dare la terra a chi ha il coraggio di lavorarla, bisogna dare la case coloniche a chi ha il coraggio di abitarle, bisogna dare il bestiame a chi ha il coraggio di ripulirgli la stalla ogni giorno. I boschi appartengono a chi ha il coraggio di vivere in montagna. Bisogna recuperare tutte le ricchezze che per secoli sono partite dalla terra verso i salotti cittadini, bisogna buttarle ai piedi dei contadini e supplicarli di perdonarci. Ma anche per questo è già troppo tardi. – (1958- Esperienze Pastorali)
A tutto questo non si concede l’imprimatur, il consenso alla pubblicazione. Il libro viene dal Sant’Uffizio ritenuto non idoneo per la crescita pastorale del cattolico popolo taliano. E… Barbiana? Barbiana è un luogo degno di accogliere un tale priore. E’ una promozione.
Ha poco più di 100 anime, don Lorenzo può dedicare tutta la cura pastorale che desidera.
E… il Vangelo cosa dice? Quello di giovedì 8 luglio 2010 tratto da Matteo 10,7-15 “…Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. " “…Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento...” (mi son ritrovato ad ascoltarlo in occasione di un trigesimo).
Don Lorenzo non ha niente, anzi ai ragazzi lascia come testamento questo scritto: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho la speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.” Il morbo di Hodgkin, che da anni gli fa compagnia, lo consuma lentamente. E’ il 26 giugno del 1967 all’età di 44 anni, Lorenzo muore.
Cosa vuol dire “I CARE”. In queste parole c’è tutta l’opera di don Lorenzo Milani. “MI PIACE OCCUPARMI DI QUALCOSA, MI PIACE, MI STA A CUORE, MI PREME.”
A Barbiana, L’APPRENDIMENTO E’ CONTINUO - COLLABORATIVO E SIGNIFICATIVO. Teso a cosa? Alla comprensione delle parole, di tutto di ciò che si legge, ad usarle in modo appropriato quando si scrive e si parla, all’uso dei contenuti appresi, cioè di ciò che hai imparato.
Ascoltiamolo: - “Ogni parola che non imparate oggi è un calcio nel culo che prenderete domani.”
Il Lorenziano severo avvertimento non consente alla scuola di Barbiana pause. Tutti i ragazzi della zona sono cognitivamente da rimodellare, questo lavoro richiede tantissimo tempo. 365 giorni all’anno, 366 se l’anno è bisestile. Obiettivo primario: Formare cittadini con menti pensanti. Ci sono ragazzi che camminano per ore per poterla raggiungere e frequentare. E’ una scuola “severamente allegra”, è un continuo laboratorio di ricerca.
Ringraziamenti: - Alla coppia di sceneggiatori da tempo collaudata, Sandro Petraglia e Stefano Rulli, che consegnano agli avveduti e maturi registi, i fratelli Frazzi, una bella patata bollente. Grazie a tutti voi.
Al romano Sergio Castellitto, per lo spessore del personaggio rappresentato, ottima l'interpretazione. Grazie Sergio.
Ad Ilaria Occhini, l’amorevole ed attenta mamma che in modo garbatamente silente, è vicina al figliuolo anche quando non ne approva le scelte. Ascoltiamola in questa breve conversazione.:
“Hai sempre fatto quello che volevi tu, e noi si è detto, va bene, se lo vuoi te. Ma è proprio questo che volevi? Questo deserto, questo silenzio?”
“Si! E’ proprio questo.” … “Il silenzio di questa montagna è come un urlo per me. E Dio m’ha mandato qui per ascoltarlo. Ha dato questo privilegio proprio a me.”
Grazie a tutti, insomma, ai grandi come ai piccoli attori ed anche e soprattutto a quelli che il più delle volte non trovano mai un pochino di ribalta.
Scrivevo sopra di Barbiana come di un laboratorio permanente di ricerca. Il mio, per chi non lo conosce è un invito a visitarlo. Chi invece c’è già stato, può verificare se gli apprendimenti sono stati interiorizzati. Niente paura. A BARBIANA NON SI BOCCIA ! ! !
Good Ciak!
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