Le rose blu

Film 1990 | Documentario musicale 80 min.

Regia di Emanuela Piovano, Anna Gasco, Tiziana Pellerano. Un film con Laura Betti, Ninetto Davoli. Genere Documentario musicale - Italia, 1990, durata 80 minuti. - MYmonetro 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 8 novembre 2013

Un documentario toccante girato nel carcere Le Vallette di Torino con l'apporto delle detenute.

Consigliato sì!
3,00/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Documentario sul carcere di Torino.
Recensione di Marco Chiani
Recensione di Marco Chiani

Carcere delle Vallette di Torino. Ninetto Davoli, vestito da secondino, apre un cancello da cui entra Laura Betti, che ha con sé una rosa blu. La consegnerà ad una carcerata dicendo che è per Lidia. Passando da detenuta a detenuta, questo fiore che non esiste in natura lega insieme storie di droga e di solitudine, di piccoli litigi, affetti, avvicinamenti e ricordi, per arrivare ad un finale in cui si allude all'incendio del 3 giugno 1989 in cui Lauretta, Ivana, Michi e Lidia - il film è dedicato a loro - persero la vita.
Diretto da Emanuela Piovano, Anna Gasco e Tiziana Pellerano, Le rose blu nasce dall'esperienza di lavoro del gruppo Camera Woman, attivo dalla metà degli anni Ottanta con seminari e stage di cinema-video, contattato nel 1987 per realizzare un laboratorio di alfabetizzazione visiva all'interno del carcere torinese. Delle videolettere girate per quell'occasione rimane quella di Lidia, autrice della poesia da cui deriva il titolo, testimonianza ultima che inframezza riprese in 16 mm poi gonfiate in 35 di un racconto che vuole gettare uno sguardo dentro ad una realtà irraccontabile: «L'elaborazione di una sceneggiatura di e con le detenute stavolta anche comuni è il punto di arrivo di quest'esperienza, del tutto nuova, dell'esigenza dell'universo carcerario italiano di confrontarsi e parlare al di fuori di e su se stesso» (E. Piovano, 1990).
Frammentato in capitoli, tra dramma reale e momenti quasi distesi, questo "documentario d'invenzione" sceglie un linguaggio poetico in cui si amalgamano rituali tesi a mimare la vita fuori, sempre nella consapevolezza di una distanza incolmabile, ispezionando celle e personalità, storie e modi di essere: si avvertono disperazione e sconforto, spavalderia, voglia di cambiare, ironia e rabbia (specialmente nei brani della videolettera di Lidia). La passione civile delle autrici vibra insieme ai desideri delle detenute, in un ambiente in cui il tempo è come sospeso, in attesa di un nuovo inizio che per alcune di loro non è arrivato. Camera fissa e piano totale, la macchina da presa registra in maniera diretta, senza particolari angolazioni di sguardo, affidando il ritmo al montaggio, ai suoni, alle voci. Ne viene fuori un lavoro calato nell'assenza del colore, il grigio dei pavimenti e dei muri, il ferro delle sbarre, il celeste pallido, dove lo sguardo esterno scorge la voglia di chi sta dentro di inventare una normalità e di tessere un presente che non esiste. Di grande forza metaforica la sequenza in cui una detenuta tira fuori la gallina Martina dalla sua gabbia, rimandando con un semplice gesto alla propria immutabile condizione.
Le rose blu si conclude a casa di Laura Betti con un'inquadratura che parte da un'immagine sul muro in cui l'attrice è ritratta insieme a Pier Paolo Pasolini, presenza-assenza fortissima.

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