Anno | 2009 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 73 minuti |
Regia di | Daniele Anzellotti, Francesco Del Grosso |
Attori | Giovanna Mezzogiorno, Cecilia Sacchi, Michele Placido, Marco Tullio Giordana, Gianni Minà Carlo Lizzani, Mario Martone, Giuliano Montaldo, Marco Bellocchio, Peter Brook, Francesco Rosi. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 21 maggio 2010
Un viaggio documentario nella vita e nella carriera di Vittorio Mezzogiorno attraverso la voce narrante della figlia Giovanna.
CONSIGLIATO SÌ
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Un carattere ingombrante e dispotico ma allo stesso tempo capace di grande generosità. Come tutti i grandi artisti, Vittorio Mezzogiorno ha lasciato un'impronta indelebile nell'animo di chi lo ha incontrato. Attori, registi, amici e parenti omaggiano il suo talento ma ne descrivono anche gli aspetti più cupi, le difficoltà di comprendere il suo carattere eccentrico e imprevedibile. Anarchico, vitale, e caciarone come Napoli, la sua città d'origine. Raffinato e rigoroso come Parigi, città dove ha vissuto per molti anni, sostenuto dall'amicizia con il regista teatrale Peter Brook, che vide una luce nel giovane Mezzogiorno e lo scelse per recitare nell'opera monumentale "Mahabharata". Un uomo che amava il suo mestiere e spesso lo metteva al primo posto nella gerarchia degli interessi, trascurando la piccola Giovanna e tradendo la moglie Cecilia Sacchi, anch'essa grande attrice che, nel nome dell'amore per il marito, ha interrotto presto la carriera professionale per dedicarsi alla famiglia.
Il ritratto sincero e sentito di Vittorio Mezzogiorno passa attraverso la voce della figlia Giovanna, ormai attrice di livello internazionale, un tempo ragazzina inquieta che ha dovuto affrontare piaceri e dispiaceri di crescere con un padre così famoso e richiesto. "A mio padre piaceva sedurre" - dice la figlia - ricordando, arrabbiata, le lunghe serate passate a circondarsi di amici, a festeggiare, bere e ridere tutta la notte. Gli piaceva stare al centro dell'attenzione, era un modo per affascinare chi gli stava vicino. Al lavoro invece, che fosse cinema, teatro o televisione, soffocava i suoi impulsi per poi ritrovarli e servirsene solo dopo un accurato studio del ruolo che stava per interpretare. Odiava ciò che era volgare e cercava, in tutti i modi, di distaccarsi dalla banalità dello spettacolo mediatico: Tatti Sanguineti si scusa ora per quella volta che aveva costretto Vittorio a improvvisare il gesto dello sparo (che lo riconduceva al personaggio televisivo de La piovra) durante uno show televisivo, uno spettacolino offerto in pasto al pubblico più becero.
I registi che lo hanno diretto o che lo hanno conosciuto (Giordana, Placido, Bellocchio, Martone, Montaldo) non dimenticano quello sguardo così espressivo e profondo. La macchina da presa mette a fuoco il ricordo, costruisce una nuova identità di Vittorio Mezzogiorno, quella che vive 'negli occhi' di chi guarda e osserva dall'esterno. Il lavoro accurato dei due registi Daniele Anzellotti e Francesco Del Grosso si concentra proprio su chi ha vissuto con lui, cercando nei volti degli intervistati la stessa luce di Vittorio (che compare solo in brevi frammenti video e qualche fotografia).
La rimpatriata finale con tutti i parenti, dai numerosissimi fratelli e sorelle, alla figlia americana avuta da una relazione extra-coniugale, mette insieme i pezzi, incornicia (non solo simbolicamente) una famiglia ritrovata.
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