Abbiamo assistito nel doppio contesto della morte di Bergoglio e del 25 aprile al solito spettacolo dialettico-violento, dunque doppio e doppiamente insopportabile e stucchevole, dei nostri politici. È bastato un aggettivo, “sobrio” per dare altra benzina al fuoco. Che tristezza. Soprattutto perché la gente, i giovani, avendo quel modello di informazione, non sapranno mai cos’era il 25 aprile.

Occorrerebbero i racconti dei nonni e dei genitori, che c’erano e avevano subito tutte le sofferenze del purgatorio, estranei, magari arrabbiati con la politica. Quando politica significava “regime”. Io, per attitudine e vocazione, da bambino e da ragazzo, stavo molto attento a quei racconti, che sono poi diventati un libro.

Per sei anni la vita della gente – dico gente comune - era stata difficile, dolorosa. Occorreva sopravvivere, arrabattarsi, c’era la fila per il pane, c’era il mercato nero. E c’erano i parenti, figli, mariti, in Grecia o in Russia, o chissà dove. Molti non sono tornati. E poi i bambini, che erano a scuola e arrivava l’ordine di uscire velocemente dall’aula per essere accompagnati nei rifugi. Coi genitori che magari non erano lì con loro ma in un altro rifugio.

C’erano le sirene, segnale terribile, che si è infilato nella coscienza e nella memoria dei piccoli, ma anche dei grandi, col quale hanno dovuto fare i conti per tutta la vita.

Poi c’erano i minuti di attesa delle bombe, che arrivavano. Qualcuna scoppiava vicina, le pareti tremavano. I grandi coprivano le orecchie dei piccoli, ma serviva a poco. E quando poi arrivava la sirena liberatoria e uscivi, magari trovavi la tua casa distrutta. C’era una parola “sfollati” molto pronunciata in quel tempo.

Chi era fortunato poteva raggiungere un posto lontano dalla città, risparmiato dai bombardieri degli inglesi e degli americani. La mia famiglia era fortunata, mio nonno possedeva un podere in quel di Noviglio, dalle parti di Binasco. Nonni, figli, nipoti, lì si sentivano al sicuro. Ma non era una condizione comunque felice. Mio padre raccontava che là in fondo, vedevi il fumo, tanto, delle bombe che cadevano su Milano, e sentivi i boati. E tutti, tornando in città erano in apnea, per la paura di non trovare più la casa.

Ai giovani, o meno giovani rimangono le immagini, che non mancano, istantanee ferme o filmati. È bene che guardino i film, di cui ho scritto, di Rossellini e De Sica.

E certe fotografie delle vie delle città, vuote, dove era già una novità se passava una macchina. E poi la gente sui marciapiedi, volti con poche speranze, movenze prudenti perché non si sa mai, pantaloni che non avevano la riga, donne che tenevano stretta la borsa, con dentro pane e qualche patata. E si sentivano fortunate.

Poi sulla statale trentacinque che da sud arriva a Milano cominciavano a passare i camion e i cingolati degli alleati. E la gente si accalcava ai bordi per vederli, per salutarli. Che bello, finalmente.

E poi il 25 aprile col suo segnale che la miseria, la fatica, il dolore se non finiti, sarebbero stati diversi. Qualcuno che c’era… c’è ancora, e assiste allo spettacolo indegno della politica. Sperando di veder passare altri 25 aprile, ma senza accendere il televisore.

Quella data del 1945 purtroppo fa molta fatica a sussistere. Ma allora, alla gente parve davvero di… tornare a riveder le stelle.