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Watchmen, la filosofia del fumetto

Dalla graphic novel di Alan Moore, il film di Zack Snyder.
di Pierpaolo Simone

Essere popmoderni

venerdì 13 febbraio 2009 - Libri

Essere popmoderni
In pochi avrebbero immaginato, trent'anni or sono, quanto sarebbe apparso stupido e altezzoso – e ciò per questo lampante – paragonare l'universo di "Watchmen" a quello di un'America che avrebbe vissuto nell'undici settembre il suo incubo più ricorrente. Avere fra le mani un fumetto di "Watchmen" significa fare i conti – più o meno coscientemente – con la cultura di un secolo che ha trasformato gli olocausti morali e politici in "popmodernismo": invenzione che mescola il postmodernismo bladerunneriano alla natura - per definizione popolare – del fumetto. Mondi paralleli simili al nostro in tutto e per tutto, quotidianità deviate da crisi interiori e nevrastenie psichedeliche, metanarrazioni che inseguono a rigor di logica il filo principale, un filo che lega i destini dell'umanità, riducendoli a un'unica nevrosi collettiva. Un posto delle fragole in cui gli orologi mostrano a bella posta le loro lancette, trasformando quindi il tempo senza tempo in un infinito istante – dilatato a tal punto – da essere foriero di assoluzione (e condanna) per tutto il genere umano. Come il nostro "Dylan Dog" – forse il più americano tra i fumetti tricolore – il destino dei "Watchmen" è stato sin dall'inizio quello di destrutturare e destabilizzare le convenzioni di un genere in perenne movimento, costruendo le basi per un linguaggio metacinematografico che avrebbe gettato, in un futuro piuttosto prossimo, le basi per i vari Tarantino e Fincher, e contribuendo fattivamente alla realizzazione di serie episodiche alla Lost o Heroes. Accostato per anni a registi del calibro di Darren Aronofsky e Terry Gilliam, il progetto Watchmen vedrà la luce solo in questo 2009, con buona pace del suo creatore - Alan Moore - che ha dichiarato più volte di non concepire l'idea di poter assistere alla visione di un film tratto da un suo fumetto. Nel suo smile macchiato di sangue (il logo che fa da leit motiv ai dodici episodi del fumetto), c'è l'imporsi di un medium così straordinariamente ricco, da meritare un posto di tutto rispetto fra il cinema e la letteratura. Sintesi perfetta dell'essere "popmoderni".

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