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Questo film va considerato come una "stazione" lungo un complesso percorso di fruizione.
Il tema è il rapporto fra arte e potere che però resta di non facile comprensione per l'equivoco che definisce "arte" solo quella dei Maestri professionisti, equivoco mai del tutto chiarito né da Greenaway né da altri che hanno affrontato lo stesso tema.
L'arte è altro; la tecnica sempre più "esoterica" e inaccessibile è un portato del professionismo che è lo sbocco inevitabile dell'arte come merce il quale infine, appunto, deriva dal rapporto che si stabilisce fra l'espressione artistica in senso ampio (non solo professionistica ma anche rituale, magica ossia forma analogico intuitiva e non logico deduttiva o funzionale dello stare insieme dei membri di un gruppo) con il potere sociale e politico.
Il potere asservisce l'arte non solo a fini ideologici o economici ma prima di tutto per privare la comunità dei subalterni di un modo di stare assieme, di una "ermeneutica comune e originale" che per le sue caratteristiche intrinsecamente analogico intuitive è "indisciplinabile", fonte di orgogliosa autocoscienza. In altre parole: pericolosa.
Chi va oltre in questa consapevolezza ermeneutica arriva necessariamente a "comprendere" quindi sempre "necssariamente" a scontrarsi con l'ordine (del discorso) del potere e altrettanto necessariamente "deve" soccombere.
Di questo parla il film di Greenaway ed è importante perché esistono solo altri due film che ne parlano direttamente (sempre di Greenaway, ma secondo una prospettiva molto diversa: "Il mistero dei giardini di Compton House"; di Derek Jarman lo splendido "Caravaggio") e uno indirettamente: il terzo episodio di "Kwaidan" di Masaki Kobayashi (fantastico).
Il percoso di fruizione a cui accennavo è questo: vi leggete di Augusto Gentili "Da Tiziano a Tiziano" dove si descrive questa presa di coscienza da parte del pittore veneto - rimasta allo stato esclusivamente sovrastrutturale quindi non pienamente politico - attraverso la sua interpretazione del mito nell'antichità, dagli inizi di carattere giorgionesco (ma meno semplicisticamente idilliaci) fino alla amara consapevolezza della vecchiaia (vedi l'autoritratto con le orecchie d'asino nell' "Apollo e Marsia"). Poi vi guardate il film "Nightwatching" di Greenaway. Poi sempre di Greenaway il filmato esplicativo intitolato "Rembrandt's j'accuse" che è un documentario di autentici fuochi di artificio ermeneutici (in cui come si vedrà ha poca importanza il fatto che siano pienamente "veri" o no, la verità dell'arte non si definisce con gli stessi criteri della verità scientifica. Conta il processo, non il prodotto). Infine andate ad Amsterdam al Rijksmuseum a vedere il quadro di Rembrandt: allora non solo vi accorgerete pienamente della incomprensibile "assurdità" di quell'opera se paragonata ai coevi quadri di milizia ma avrete la curiosa e piacevole sensazione di essere gli unici in mezzo alla folla che stanno realmente guardando quel quadro.
Gli unici che riconoscono ogni singolo personaggio come se lo aveste personalmente conosciuto...tanto...tanto tempo fa...
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