"Argo" è un buon film,costruito con abilità e mestiere, dall'impianto solido. La scena iniziale, che descrive la presa dell'ambasciata americana a Teheran da parte delle guardie rivoluzionarie del regime teocratico di Khomeini, è potente e terrorizzante: un fiume di folla che preme contro i cancelli animata dall'odio nei confronti del "Grande Satana" statunitense, travalica le recinzioni, irrompe come una valanga nei locali della sede diplomatica, mentre gli impiegati si affannano a distruggere i dati sensibili, vengono fatti prigionieri, bendati e sequestrati. Un pezzo di storia moderna ricostruito con grande efficacia e vigore, uno tsunami umano che ha modificato non solo i rapporti tra oriente e occidente, ma gli equilibri del pianeta. Il film di Affleck narra un episodio poco conosciuto della "crisi degli ostaggi americani", la liberazione di sei addetti diplomatici rifugiatisi nell'ambasciata canadese da parte di un esperto di "esfiltrazioni" della CIA in collaborazione con ambienti di Hollywood e del governo canadese. Lo fa con un linguaggio filmico secco ed essenziale che mescola i registri del thriller storico-politico con quello più brillante della commedia hollywoodiana, del mondo dei produttori e degli sceneggiatori californiani, in bilico tra le esigenze del profitto e del mercato e afflati patriottici. I personaggi principali (il produttore Siegel, Chambers, l'ambasciatore canadese, Tony Mendez interpretato dallo stesso Affleck, i sei diplomatici, gli agenti della Cia) sono convincenti, forniscono una prova di recitazione sobria che riesce ad amalgamare il cinismo dell'intelligence e degli ambienti politici americani, i tic e i vezzi del mondo del cinema, la disperazione degli ostaggi, la "mission impossible" della liberazione, simulando la realizzazione di un film di fantascienza in Iran.
Certo, il film di Affleck, pur ispirandosi ad eventi realmente accaduti, spettacolarizza la vicenda secondo gli stilemi di un thriller: la sequenza dei biglietti di viaggio che vengono sbloccati tre secondi prima che l'impiegata della compagnia aerea ne verifichi l'esistenza sul terminale del computer o quella dell'aereo che si leva in volo mentre i pick up delle guardie rivoluzionarie tentano di impedirne il decollo sono forzature spettacolari che servono a mantenere alta la tensione dello spettatore. Ma questa tensione non latita in nessun momento del film e ciò mi è apparso un segnale di qualità del linguaggio cinematografico.
Se vogliamo muovere un appunto al film, la visione dei rapporti tra Stati Uniti ed Iran appare troppo manichea, le ombre appartengono tutte al paese islamico raffigurato come un autentico "impero del male", le luci- e qualche chiaroscuro- agli Stati Uniti, terra di libertà e di coraggio. Ma sono limiti che non inficiano la qualità della realizzazione di un prodotto da parte di un cineasta emergente molto interessante e dotato.
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