Zoolander

 È un film fenomenale nel suo genere: è una feroce e beffarda critica al mondo della moda, sarcastico ed esasperato al punto giusto perché oltre alla palese messa in rilievo dell’ignoranza quasi ostentata, ma ingenua che ruota intorno ai modelli, nella trama è insita una componente socio-politica, anche se appare inverosimile in quanto «la mandante di tutti i principali attentati a sfondo politico degli ultimi 200 anni è l’industria della moda…dietro ogni assassinio si nasconde inesorabilmente un modello». Accanto a questo tema, non poteva non esserci la rivalità fra modelli. E che modelli, se si pensa che l’avversario di Stiller è lo strepitoso Owen Wilson che interpreta un modello radical chic in ascesa, vincitore del titolo di “modello dell’anno” ai Fashion Awards, strappato a Zoolander, vincitore per tre volte consecutive. Tra battute pungenti ed entrate in scena su red carpet, si susseguiranno sfide all’ultimo sguardo come la “sfilata a due” in cui presiede un giudice il cui fascino lo precede, David Bowie in persona.
Stiller non si limita a parodiare solo il mondo della moda, ma anche il grande cinema, in modo particolare quello di Kubrick (per dissacrare il maestro ci vuole molto coraggio e Ben ha un cuore impavido). Due celebri scene, che fanno parte della storia del cinema, sono state riprese in chiave caricaturale. La prima è la sequenza di 2001: Odissea nello spazio in cui la scimmia, nell’osservare le ossa che trova per terra, scopre che l’uso di una di esse può portarlo ad uccidere le prede, nella fattispecie, sulle note di Così parlò Zarathustra di  R. Strauss, i due modelli, incapaci di far funzionare un Macintosh, personificano la medesima scena con segno opposto, ovvero l’involuzione del genere umano. La seconda citazione riguarda il lavaggio del cervello che chiaramente ricorda la cura subìta da Alex in Arancia meccanica. In entrambi i casi, la musica fa innescare nella mente dei personaggi il ricordo della cura. Ma, se nel capolavoro kubrickiano La Nonasinfonia di Beethoven placava la violenza di Alex, nella pellicola stilleriana Relax di Frankie Goes to Hollywood accende la furia omicida in Derek.
Film dall’happy ending certamente scontato, è tuttavia esilarante e dissacrante all’ennesima potenza, perché la componente demenziale non è tale da far conformare il film a questo genere. Piuttosto è una pellicola spassosa, irriverente e grottesca. Dall’espressione “Blue Steel”, alla scena dell’orgia che coinvolge i due modelli, la giornalista Matilda, interpretata da  Christine Taylor (nella realtà moglie di Stiller) due nanetti finlandesi e un indigeno maori, dalla scena dei coinquilini-modelli di Derek che giocano a schizzarsi benzina sulle note di  Wake me up before you go go di G. Michael all’ “orinazione” di Derek, è questa una commedia spassosa dalle battute scoppiettanti.