La dolce vita |
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Un film di Federico Fellini.
Con Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aim?e, Yvonne Furneaux, Alain Cuny.
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Commedia,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 173 min.
- Italia, Francia 1960.
- Cineteca di Bologna
MYMONETRO
La dolce vita
valutazione media:
4,64
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il tempo dantesco del camminodi Paolo 67Feedback: 9827 | altri commenti e recensioni di Paolo 67 |
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martedì 25 ottobre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Provinciale inurbato Fellini è affascinato e insieme disgustato da Roma, metropoli mondana e caotica, città tentacolare, sirena e prostituta, pantano in cui tutto e tutti possono sprofondare. Il protagonista, un uomo qualsiasi, viaggia attraverso la notte e scende agli inferi della civiltà, la Grande Madre Mediterranea di cui parlava lo psicanalista Jung, descritta con antico simbolismo lirico nelle immagini dilatate e barocche del film. Peculiarità dell'opera è la ricerca del linguaggio, che rinnega la drammaturgia tradizionale a favore di blocchi narrativi giustapposti, che bloccano gli eventi al loro culmine. Con l'intento di creare un giornale in pellicola, ispirato anche figurativamente ai rotocalchi del tempo, Fellini è arrivato a comporre un vasto affresco, per cui qualcuno parlerà del " Satyricon del XX° secolo". Interprete degli umori dell'Italia in un particolare momento storico e sociale, diario -come sempre in Fellini- insieme pubblico e intimo, il film trasfigura nella fiaba, e con un significato complessivo sereno nonostante i toni cupi e agghiaccianti di molti particolari, una realtà sulla quale il film decide di non esprimere giudizio alcuno. Girato negli anni della distensione, dell'ecumenismo e della Nuova Frontiera, il film rivela una carica liberatoria in cui lo spettatore può fare l'esperienza di una vacanza (con occhi e orecchie bene aperti) che è una specie di rivincita su quello che in psicoanalisi è definito l'Io sul Super-Io e i suoi condizionamenti che obbligano a misurare e a giudicare. Più che un film, un'esperienza esistenziale capace di modificare qualcosa in ciascuno di noi. Il produttore Rizzoli non si spiegò il successo straordinario che il film (rifiutato da ben 11 produttori) ebbe (probabilmente contribuì molto la furibonda campagna censoria e il caso politico che ne seguì, con scontro tra i cattolici anche parlamentari dello stesso partito). Una delle chiavi più centrali per la comprensione del film (e metafisicamente rappresentata dai vari ambienti della città) è il rapporto dell'uomo con la donna, che si rivela un caleidoscopio dalle tante facce, che appaiono come apparizioni fantasmatiche al protagonista, insoddisfatto del rapporto colla sua amante e alla ricerca, più o meno vaga, di qualcosa o qualcuno in cui trovare se stesso, una presa più forte con la realtà e la vita. Qualcuno ha scritto che la Roma di Fellini è insieme un girone dell'Inferno e un paese di cuccagna. Ma al cattolico (e cosa è se no uno che incornicia il film tra Gesù Cristo e l'apparizione Mariana?) Fellini il diavolo (come la "Saraghina" di "Otto e mezzo") non fa paura. Rispetta tutti, non odia nessuno. E la speranza non è solo il finale; c'è qualcosa di positivo in ognuno degli episodi in cui è coinvolto Marcello. Per Fellini la curiosità è sempre stata una salute morale: questo film ne rappresenta anche un risultato. Cult movie se mai ve ne furono, coniatore di neologismi, spartiacque del cinema non solo italiano, attuale e anche profetico, "La dolce vita" descrive una condizione umana nella sua atemporalità, in una prospettiva apocalittica che forse influenzerà il Kubrick di "2001" (entrambi i film finiscono, dopo una specie di discesa alle Madri, con quello che potrebbe essere un essere superiore che si volta a guardare lo spettatore), altro capolavoro, altra indagine sul senso della vita. L'invito di Fellini è quello di guardare le cose come sono, se necessario ridimensionando e ricostruendo. Anita Ekberg nella fontana di Trevi è emblematica dello stupore meravigliato di fronte al mistero dell'esistenza, che costituisce una delle vere radici poetiche di un autore che ha saputo eternare nel mito le paure, le speranze, i dubbi, le fiducie, gli orrori, le velleità della sua epoca ma anche esprimere la dolcezza "profonda e irrangiungibile", tutto sommato, della vita, che è il vero significato del titolo e dell'opera.
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