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Di casi in cui lo spettatore viene ingannato e scopre che quello che pensava non era vero, è pieno il cinema. Certo, spesso lo sceneggiatore deve sudare non poco per dimostrarlo in maniera convincente, tranne quando può ricorrere al trucco dell’inversione del corso del tempo. Ricordate quando Superman volava a velocità supersonica e invertiva la rotazione terrestre per portare indietro il tempo quel tanto che bastava a salvare l’amata Lois? Era il 1978, e al tempo lo stratagemma era ancora efficace. Lois era “realmente” morta, e nemmeno i superpoteri di Superman sembravano poterla salvare. La sfida era avvincente.
Nell’anno 2010 lo spettatore è decisamente più esperto di viaggi nel tempo – soprattutto dopo la trilogia di Ritorno al Futuro – e il team di Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo, capeggiato dall’abile produttore Jerry Bruckheimer, non è fatto di sprovveduti. Si scopre presto che ciò che il malvagio Nizam (Ben Kingsley) insegue è un pugnale-clessidra, custodito dalla regina Tamina (Gemma Arterton), che può far scorrere il tempo all’indietro. La sceneggiatura, saggiamente, non abusa del magico meccanismo, né in quantità (il pugnale viene usato con finalità magiche poche volte), né in qualità (anche quando il principe Dastan-Jake Gyllenhaal lo usa per uccidersi di fronte al fratello, Bruckheimer & Co. non cercano l’effetto sorpresa sullo spettatore). Si potrebbe a buon diritto affermare che nell’economia dello spettacolo, il pugnale giochi una parte secondaria: sembra, a conti fatti, solo il pretesto per una serie di avventure. Se non che si è pensato (giustamente) di sfruttare l’ingrediente tempo per costruire un finale un po’ diverso dal solito. Ma, ahimè, è mancata la voglia di sfruttarlo bene. Perché quando torna indietro al punto in cui la sua avventura cominciava, Dastan dovrebbe essere l’unico a ricordare ciò che è successo (ed è stato in un attimo cancellato). E invece, i personaggi sembrano essere "memori" di tutto, sebbene inconsapevolmente. Tamina ci aveva messo parecchio per innamorarsi di Dastan, ma alla fine (cioè, all’inizio!) bastano poche parole del principe per metterla nella giusta disposizione d’animo. Tus (Richard Coyle) si fida praticamente subito del fratello e mette lo zio, i cui malvagi disegni sono ancora insospettabili, sotto indagine. E così via. Insomma, un finale assai sbrigativo dove tutto diventa improvvisamente poco credibile. Peccato perché, quanto al resto, Prince of Persia è un giocattolone ben costruito e abbastanza divertente, sebbene con una lista prevedibilmente lunga di debiti (Il Signore degli Anelli di Peter Jackson, in primis). Se agli ottimi scenari e le buone caratterizzazioni si fosse aggiunta una mezz’oretta in più, avrebbe senz’altro meritato tre stelle.
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