Brado

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Un film di Kim Rossi Stuart. Con Saul Nanni, Kim Rossi Stuart, Viola Sofia Betti, Federica Pocaterra.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 117 min. - Italia 2022. - Vision Distribution uscita giovedì 20 ottobre 2022. MYMONETRO Brado * * * - - valutazione media: 3,17 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

il senso del dolore Valutazione 5 stelle su cinque

di sergio dal maso


Feedback: 8142 | altri commenti e recensioni di sergio dal maso
domenica 22 gennaio 2023

“Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.”  Cesare Pavese - Il mestiere di vivere
 
Brado è il nome di un ranch, o meglio, di un maneggio vecchio e diroccato. Sembra di trovarsi nel far west, invece è una imprecisata provincia italiana, arida e ventosa.
Brado è anche l’animo del proprietario, Renato, un uomo di mezza età solitario e scontroso, incattivito dai fallimenti famigliari. Sia la moglie che i due figli, Tommaso e Viola, se ne sono andati. Lui, testardo e cocciuto quanto indebitato, è rimasto a inseguire il sogno di riscattarsi addestrando un campione di cross-country.
Un’occasione di riscatto, almeno ai suoi occhi, gli si presenta con Trevor, un cavallo magnifico ma indomabile, rifiutato per la sua indocilità da tutti gli allevatori. Disarcionato nel tentativo di cavalcarlo, Renato resta ferito e impossibilitato a continuare a sellarlo. Solo il figlio Tommaso può sostituirlo e preparare il cavallo in tempo per le competizioni ippiche.
Il ritorno di Tommaso al ranch, riluttante ma convinto dalla sorella, sarà l’occasione per entrambi di fare i conti col passato e provare a ricucire un rapporto da troppo tempo lacerato. Affronteranno assieme il dolore, a muso duro, senza risparmiarsi nulla, sputando tutto il veleno e i rancori repressi che avevano dentro.      
Brado è un film viscerale, a tratti urlato e feroce, ma vero, assolutamente sincero nelle emozioni come nell’ambientazione: ti restano addosso gli odori della stalla, quello del cuoio della sella, gli schizzi d’acqua e le croste di fango, si sente il respiro dei cavalli.  
Centrale è il ruolo di Trevor, attorno al suo addestramento padre e figlio cercano di riconciliarsi.
Se il cavallo brado, indomabile ed imprevedibile, può simboleggiare la vita, mentre Renato cerca malamente di dominarla, di piegarla alla sua volontà e al suo carisma, Tommaso vi si approccia con pazienza e sentimento, cercando pian piano di costruire un legame basato sulla fiducia.
Il rapporto padre-figlio, rispetto alla narrazione canonica che vede il figlio ribelle e il padre saggio che cerca di redimerlo, viene capovolto: Tommaso, lontano dal padre, pur in un difficile equilibrio, ha trovato la serenità, non a caso lavora nell’edilizia acrobatica, Renato invece, lontano dai figli, è diventato sempre più cinico e decrepito, pieno di cicatrici nel corpo e nell’anima. Burbero e spigoloso come Clint Eastwood – azzeccata l’ironica citazione nel corso del film! - non fa nulla che possa compiacere il pubblico, anzi, alcune scene risultano alquanto disturbanti.
Come l’ha giustamente definito Kim Rossi Stuart, Brado è un western esistenzialista, un racconto di formazione, introspettivo ma senza intellettualismi. Parla di sofferenza e di ferite dell’anima in modo semplice e universale, crudo e delicato allo stesso tempo. Proprio per questo arriva al cuore.
Dai film di Clint Eastwood non attinge solo la ruvidezza e la cocciutaggine del protagonista ma anche lo stile della regia, mantenendo sempre, però, una propria cifra stilistica e una coerenza narrativa con i suoi due film precedenti. Il regista romano, fin dall’esordio con Anche libero va bene, segue caparbiamente un suo percorso artistico, molto intimo, con alcune tematiche che si ripetono, come il rapporto genitori-figli. C’è un filo rosso che lega le sue opere, reso esplicito dall’uso degli stessi nomi dei protagonisti in tutti e tre i film.
La storia di Brado, fortemente autobiografica, è dedicata al padre Giacomo. Kim è veramente cresciuto in una fattoria con il padre e i cavalli, e come Tommaso se n’è andato a vivere in città molto presto.
La sincerità e il bisogno quasi catartico di raccontare questa “sua” storia rendono la narrazione e i personaggi credibili, anche grazie, va detto, alla collaborazione con Massimo Gaudioso, uno dei migliori sceneggiatori italiani. La sceneggiatura, tra l’altro, è un adattamento del racconto La lotta, tratto dal libro Le guarigioni, scritto dallo stesso regista. 
Come la storia, anche la regia gioca sui contrasti, alternando campi lunghi, con notti stellate e albe al chiaro di luna, a primi piani con sguardi e piccoli gesti, espressivi e funzionali alla narrazione. Indovinata, in questo senso, la fotografia crepuscolare di Matteo Cocco, perfetta per un western decadente.
Se i protagonisti principali sono Renato e Tommaso, anche i personaggi minori sono importanti e ben costruiti, inseriti nel racconto in modo efficace. Il regista ha scelto come interpreti degli esordienti o dei giovani attori poco conosciuti che si sono dimostrati veramente strepitosi. Una ventata di freschezza e spontaneità per il cinema italiano. Dei talenti destinati a fare strada, come Saul Nanni, malinconico e perfettamente affiatato con Kim Rossi Stuart, o Viola Sofia Betti, campionessa di equitazione oltre che attrice, o Federica Pocaterra, anch’essa bravissima.
Anche il finale è brado, durissimo e doloroso, eppure, alla fine, liberatorio sia per Renato che per Tommaso.
Hanno imparato a capirsi, a non aver paura delle proprie fragilità, ad ascoltare il cuore e il respiro dell’altro, attraversando assieme il dolore per esserne, infine, liberi.

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f.p.stone sabato 4 febbraio 2023
bel film ingiustamente snobbato dai mercati
0%
No
100%

fa riflettere su diversi aspetti della vita. anche tecnicamente molto valido

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