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Non c’è pace per Gerald Butler. Gli tocca non solo fare il pilota salvando un equipaggio del volo Singapore-Tokyo la notte di Capodanno da una perturbazione con manovre alla Sully ma pure l’eroe quando una volta in salvo dopo un intervento di emergenza, si trova a dover combattere, in un misterioso atollo delle Filippine in mano alle milizie e all’esercito separatista, contro pirati decisi a fare dei pochi passeggeri del volo e dell’equipaggio ostaggi allo scopo di ottenere soldi e chissà che altro.
Ma Gerald, come in ogni B movie che si rispetti, nel film Brodie Torrace, capitano di vita e d’onore (che scopriamo pure declassato dopo aver assestato un cazzotto a un passeggero molesto), oramai persa la speranza di festeggiare il Capodanno con la figlia, caparbiamente si allea con un omicida (chiaramente in volo con un poliziotto di guardia che fa una brutta fine), una specie di “Greenmile nel film degli anni ‘90”, dal passato nella legione straniera, per salvare il suo equipaggio. Con risultati assai piacevoli per gli occhi dello spettatore filo-americano amante dei film d’azione e degli sparatutto.
Tutto questo è The plane di Jean-François Richet (Distretto 13) film che dal disaster movie, devia presto verso l’azione e il puro machismo para bellico alla Rambo o Chuck Norris anni ’90, senza nulla togliere alla evidente improbabilità di numerose scene (l’uso di armi, il connubio vincente del capitano con l’omicida), parametri che rendono implausibile ogni dettaglio di trama e semplicemente traducendosi in una carneficina nel Sud est asiatico alla Commando.
Abbondano pistole, mitra fucili automatici e perfino lanciarazzi, da dirigere preferibilmente contro nemici dalla provenienza esotica. Manco fosse l’isola di Lost, che poi così misteriosa non è, visto che alla fine mercenari alleati del governo sono sulle tracce del nostro equipaggio scomparso per cercare di salvarli dal capo dei pirati che pare la brutta copia di Sandokan.
Chiudiamo due occhi allora, non badiamo alle macchiette bidimensionali dei protagonisti, in un guazzabuglio confuso frutto dei colori di un ubriaco ai pennelli, con tanto di valori autoriali di disobbedienza che fanno chic.
Non c’è pace per Gerald Butler insomma. E purtroppo, nemmeno per tutti noi che lo stiamo, ancora una volta, a guardare.
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