Sorry We Missed You

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Moralmente e storicamente ineccepibile Valutazione 4 stelle su cinque

di Felicity


Feedback: 70827 | altri commenti e recensioni di Felicity
martedì 4 maggio 2021

Di fronte al ventiseiesimo film per il cinema di Ken Loach, Sorry We Missed You, è opportuno prima di tutto ribadire quali siano gli occhiali giusti per leggere il regista: la sostanza del cinema di Loach non sta infatti nel “grande tema”, che storicamente è diventato il recinto critico in cui costringerlo, bensì nel profondo rigore stilistico.
In Sorry We Missed You siamo ancora a Newcastle, uno spazio che è vaso di Pandora aperto sul lavoro-orrore contemporaneo. E c’è ancora il dialetto del Nord-Est inglese, confermando il lavoro sulla lingua come imprescindibile nel discorso del cineasta: la lingua come mezzo di opposizione, in cui la parlata dei ceti più bassi si contrappone al verbo di capi e burocrati.
Come sempre il film inizia prima del film: Laverty e Loach hanno passato mesi tra i driver, i lavoratori delle consegne, li hanno interpellati e ascoltati a lungo prima di iniziare a definire il percorso. Ne consegue un realismo inedito, innanzitutto tecnicamente: mai finora nel cinema di finzione si era vista una tale rappresentazione di un magazzino che su sfondo frenetico propone pacchi accatastati per terra o in reti/gabbie metalliche, uomini in tuta che li consegnano, timbri elettronici, furgoni sporchi, teaser da preservare per evitare multe. Il “controspazio” del magazzino è la tavola domestica, in cui la famiglia si riunisce, anche per litigare aspramente, ma che resta comunque l’unico welfare possibile. 
C’è quindi l’intero cinema loachiano nella costruzione di questo film, che ne costituisce un distillato ideale: a partire dalla ricerca di attori non professionisti che nella vita svolgono un mestiere uguale o simile a quello riprodotto nella finzione.
Qui Kris Hitchen è un idraulico abituato a guidare il furgone, Debbie Honeywood un’infermiera domiciliare, i giovani Rhys Stone e Katie Proctor due ragazzi trovati nelle scuole della zona. Il copione viene consegnato parzialmente, si gira in ordine cronologico con gli interpreti che scoprono lo sviluppo della storia di giorno in giorno; la cinepresa è “nascosta” e spesso lontana, alla ricerca della maggiore spontaneità possibile. 
Tutto normale nell’ultimo Loach? Quasi, perché in Sorry We Missed You c’è anche un momento di svolta. Si tratta dell’istante in cui la plausibilità cede il passo all’esagerazione, il realismo si trasforma in iperbole. Volutamente. Sulla tela narrativa il punto si può rintracciare nella sequenza di Seb che imbratta le foto di famiglia: da quel momento il verosimile esce dalla finestra e lascia spazio alla riconfigurazione simbolica del protagonista.
Nell’arco di poche scene, infatti, Ricky litiga violentemente col figlio e lo colpisce, è aggredito da delinquenti, finisce in ospedale, viene pesantemente multato, torna a casa malconcio ed è costretto a lavorare ferito e barcollante. Possibile? Non è il punto.
L’impennata del termometro drammatico, che si traduce nella successione di disgrazie (troppe, dicono i critici), si impone come una strategia tenacemente studiata da Laverty e Loach: proprio l’ingresso nell’iperbole, che contraddice il realismo precedente, è il passo che conduce al risultato, ovvero a quella dissolvenza che arriva mentre Ricky va al lavoro. L’uomo sul furgone, Cristo fra i guidatori, lascia un cerchio aperto: da una parte il dramma oggi non è la disoccupazione ma continuare a lavorare, costretti in un loop sfinente, dall’altra però Ricky resta vivo, ha una famiglia, evita la tragedia definitiva e qualcosa può sempre succedere dopo, oltre lo schermo.

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