Tre manifesti a Ebbing, Missouri |
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Un film di Martin McDonagh.
Con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish.
continua»
Titolo originale Three Billboards Outside Ebbing, Missouri.
Thriller,
Ratings: Kids+13,
durata 115 min.
- USA, Gran Bretagna 2017.
- 20th Century Fox Italia
uscita giovedì 11 gennaio 2018.
MYMONETRO
Tre manifesti a Ebbing, Missouri
valutazione media:
3,88
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Antigone nel Missouridi HowlingfantodFeedback: 7986 | altri commenti e recensioni di Howlingfantod |
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lunedì 15 gennaio 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Film dalle atmosfere coeniane, gli stessi che hanno diretto la bravissima Frances McDormand in loro altre opere fra le quali Fargo dove la McDormand interpreta il ruolo dello sceriffo. In questo superbo thriller dallo humour nero firmato da Martin McDonagh, la protagonista Mildred (Frances McDormand, fra l’altro proprio la moglie di Joel Coen), interpreta il ruolo di una madre divorata dai sensi di colpa alla quale è stata brutalmente uccisa la figlia. Il suo unico scopo è quello di ottenere giustizia con ogni mezzo, fino all’ultima ratio della vendetta, scavalcando anche la legge, quella che dovrebbe risolvere il caso, incarnando appieno quello spirito in parte anarcoide e libertario del paese dei pionieri. I tre manifesti del titolo sono proprio l’urlo di una madre che ha perduto l’affetto più grande e che scardina la cittadina del Missouri dal torpore e l’accattonaggio morale con la sua determinazione all’ottenere giustizia. Willoughby, lo sceriffo di Ebbing dice: “ci ha dichiarato guerra”. Tutto il film è la piccola grande guerra di Mildred contro tutto e tutti per ottenere giustizia per sua figlia, in primis contro la polizia inetta e razzista. Tema secondario del film è il razzismo, del quale proprio la polizia sembra farsi interprete come Mildred denuncia alla troupe televisiva “la polizia è troppo impegnata a torturare la gente di colore per risolvere un crimine vero”. Il film parla anche dei vizi di quella cosiddetta America profonda, sembra quasi di trovarsi in un racconto di Flannery O’Connor , forse non a caso “citata” nel pubblicitario che stampa i manifesti e che si può notare intento a leggere un suo libro quando Mildred si presenta nel suo ufficio, quell’America e quei luoghi, dove il razzismo, la paura, il conformismo pseudo-religioso porta tutti quanti a rintanarsi nelle più rassicuranti convenzioni, magari poi accorgendoci che queste derivano da trascorsi più o meno traumatici, come nella figura dell’agente Dixon (Sam Rockwell) succube della madre, presumibilmente gay, personaggio bellissimo che nel corso della narrazione sviluppa una propria progressione etica e trasformazione, proprio lui l’inetto, il razzista, il balordo, anche se con la divisa e che lo porta ad essere una delle figure più potenti dell’ intero film. La sceneggiatura è sontuosa, non a caso ha fatto incetta di riconoscimenti ovunque e tiene lo spettatore incollato alla poltrona fino alla fine. L’anelito e il dilemma morale è quello che spinge lo spettatore a dover prendere posizione. Se è normale parteggiare da subito per Mildred, nel corso del film, soprattutto dopo il suicidio dello sceriffo, per il cancro che lo sta divorando e non per le implicite accuse mossegli, dopo le sue commoventi lettere lasciate alla moglie, a Dixon e a Mildred stessa, qualche dubbio si può insinuare nello spettatore e il dilemma come nell’Antigone Sofoclea diviene quello tra la legge degli uomini e quella del sangue. Il plot originario si snoda in un complicato intreccio da thriller poliziesco per scoprire l’assassino. Se la locale polizia poteva apparire quantomeno complice omertosa del brutale omicidio, man a mano si insinuano più profonde riflessioni sulla stessa liceità del rispondere alla rabbia con la rabbia. La frase a suo modo ingenua gettata come un sasso nello stagno dalla altrettanto ingenua compagna diciannovenne dell’ ex marito di Mildred. “La rabbia genera altra rabbia”, è come una dolce farfalla che spiega le ali in un altrimenti crudo far west dei sentimenti dove vige la legge del più forte. Bellissimo in tal senso il brano della lettera post-mortem che lo sceriffo Willoughby consegna all’agente Dixon dicendogli che per fare il detective, quello a cui l’agente aspira, serve l’amore, proprio questo, quella cosa che declinata al proprio lavoro, ma anche in senso più ampio è la cura del dettaglio. Il tutto è condito da un humour folgorante, brutale e sanguigno (anche in senso letterale), su tutte basterebbe la scena di Mildred che strappa di mano il trapano al suo dentista, il quale aveva fatto un esposto contro i manifesti affissi e che viene trafitto all’ unghia da Mildred con lo stesso.
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