A 30 anni di distanza dalle vicende del detective Deckard e dei replicanti Nexus 6, ci ritroviamo a seguire il lavoro di un giovane Gosling nei panni dell'agente di polizia K. La missione è sostanzialmente la stessa: rintracciare dei replicanti (stavolta Nexus 8s) usciti dal controllo degli umani e "ritirarli". Fin dal primo incontro-scontro con uno dei Nexus, la storia si complica. L'ombra di un "evento miracoloso" ed il ritrovamento di una misteriosa cassa sepolta ai piedi di un vecchio albero, deviano la missione verso obiettivi ben più importanti ed insinuano un dubbio nella mente dell'agente, che accompagnerà il protagonista ed il pubblico per tutta la durata del film. Ritroviamo una Los Angeles apparentemente cambiata in seguito ad eventi epocali. Nelle viste aeree, ogni cosa sembra, ora, replicante. Gli edifici, i campi sconfinati di pannelli fotovoltaici, le serre per coltivazioni intensive. Tutt'altro discorso invece, per le scene a terra, molto più rare rispetto all'episodio di Scott, ma che danno un'immagine della situazione simile a quella del 2019. Nelle strade e negli edifici domina ancora il caos, con accenni di "rabbia sociale", di cui non si aveva traccia nel primo episodio. Un caos ribelle a cui più in là si affiancano simboli di vita sottomessa o relegata a paesaggi più alieni che terrestri: i bambini, fra i rifiuti, schiavizzati; le api ed un fiore, unici organismi naturali ad attirare immediatamente l'attenzione del protagonista. Alcune sono le percezioni molto nette che si hanno in sala e nel post visione: Villeneuve ha creato un'opera bilanciata. Nonostante la durata, il "passaporto hollywoodiano" e l'inevitabile "ansia da botteghino", il canadese è riuscito a mantenersi in equilibrio evitando eccessi, risparmiando eventi insensati alla trama, gestendo in maniera magistrale il budget a disposizione, la troupe, il cast. Ma questo equilibrio rivela anche i limiti della sceneggiatura. I personaggi e la trama aggiungono poco ai contenuti espressi decenni prima. La sceneggiatura ha una lieve tendenza all'esplicitazione di ruoli e comportamenti, rischiando di appiattire il mistero del proseguimento. Il concetto di amore "sintetico", i dubbi sul significato di umanità e sul confine tra naturale ed artificiale, sono stati sostanzialmente già trattati. La riproposizione di qualcosa di già visto, per quanto stilisticamente impeccabile, non può più suscitare stupore o meraviglia, nè lo stesso impulsivo interesse, nè, infine, la sensazione di trovarsi di fronte ad un altro capolavoro. É una sorta di paradosso che regola il futuro di ogni sequel, almeno del genere fantascientifico. Come proseguire la storia quando i concetti espressi erano già innovativi, geniali, senza tempo? Beh, la scelta di Villeneuve è stata forse la più saggia: non lottare col passato stravolgendolo; evitare di seguire con troppa forza temi filosofici, socio/politici o sentimentali, correndo il rischio di essere accusato di scarsa personalità; salvaguardare il proprio stile e quello del predecessore senza comprometterlo a favore di logiche commerciali. Così, quello che sarebbe potuto diventare l'ennesimo sequel deludente, è invece, probabilmente, uno dei migliori film che ci si potesse aspettare, in un periodo, per il genere fantascientifico, in cui viene da chiedersi: avremo più l'opportunità di vedere qualcosa di veramente stravolgente?
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