In un momento storico in cui una famiglia su quattro ha un tenore di vita prossimo alla povertà o addirittura all’indigenza e al sud un cittadino su due rischia l’esclusione sociale per la mancanza di lavoro o per la precarietà salariale, Io Daniel Blake, l’ultimo capolavoro del maestro Ken Loach, non può che essere un film necessario.
Per la verità l’ottantenne regista inglese racconta storie di disoccupati, di lavoratori sfruttati e di emarginati da almeno cinquant’anni, sempre coerente con i suoi valori e intransigente con i principi di eguaglianza e di solidarietà per i quali è conosciuto come “Ken il rosso”.
Il suo è certamente un cinema militante ma non nel senso ideologico, al centro ci sono sempre le persone, i loro sentimenti e le loro vite, immerse nella realtà di tutti giorni. Identità precise ribadite spesso fin nei titoli come in La canzone di Carla, My name is Joe o il precedente Jimmy’s hall.
Daniel Blake è un carpentiere sessantenne, senza figli e rimasto vedovo da poco. Suo malgrado deve chiedere l’invalidità al lavoro a causa di un infarto ritenuto inabilitante dai medici. Ottenere quello che è un suo diritto diventerà un calvario burocratico, una via crucis tra uffici di collocamento e agenzie privatizzate dove persone anziane o non sufficientemente scolarizzate sono umiliate e mortificate da procedure informatiche contorte e call center logoranti.
Ma Daniel Blake è un uomo tenace e orgoglioso, non accetterà di arrendersi, opponendo pazientemente la sua mitezza e la bontà d’animo all’arroganza della burocrazia. Nel suo peregrinare tra una pratica e l’altra conoscerà Kate, una ragazza madre con due figli piccoli, anch’essa in difficoltà economiche.
L’aiuto reciproco e la solidarietà di classe tra cittadini emarginati da uno stato sociale sempre più alienante ed escludente daranno a Daniel e Kate la forza di resistere, di continuare a credere in una possibilità di riscatto. La grandezzadi Daniel Blake è proprio quella di opporre la dignità e il rispetto verso se stessi alla disumanizzazione di un sistema tecnocratico dove le persone anziane rappresentano solamente dei costi da tagliare e i cittadini delle risorse da trasformare in profitti.
Come sempre il cineasta inglese lavora per sottrazione, la sua è una regia asciutta e lineare ma, al tempo stesso, assolutamente efficace e coinvolgente. Non c’è spazio per nessun pietismo né retorica.
Il suo cinema non si limita a descrivere il disagio e il dolore dei personaggi, li condivide e li metabolizza, amplificando così l’empatia che lo spettatore prova nei loro confronti. Nella loro semplicità alcune scene hanno una potenza emotiva enorme, si pensi a quando Kate perde il controllo al banco alimentare. I protagonisti non sono solo realistici, sono quasi reali.
Ken Loach e il sodale sceneggiatore Paul Laverty per scrivere la storia hanno frequentato a lungo le agenzie di disoccupazione, le mense dei poveri e i centri di assistenza, conoscendo centinaia di persone in difficoltà. Gli attori non professionisti che fanno i volontari al banco alimentare, per esempio, lo sono davvero, e gli impiegati dei centri di collocamento vi hanno lavorato realmente, salvo poi licenziarsi per il disagio nel rispettare i compiti assegnati.
Davvero bravissimi i due attori protagonisti. Dave Johns nella vita fa il comico nei cabaret di Newcastle, riesce quindi a trasmettere al personaggio anche una dose di amara ironia. Hayley Squires invece è un’attrice teatrale, disoccupata all’epoca del film, cresciuta in una famiglia proletaria.
In una storia apparentemente senza speranza non si può non affezionarsi alla dignità dei protagonisti e alla solidarietà dei tanti gesti quotidiani - anche dei personaggi minori - in cui l’umanità, malgrado tutto, resiste.
Si esce scossi e commossi alla fine del film. Sarà difficile dimenticare Daniel Blake, la sua storia e le sue toccanti parole: “Non sono un cliente, né un consumatore. Non sono uno scansafatiche, uno scroccone, un mendicante e neanche un ladro, non sono un numero di previdenza sociale e neanche un bip sullo schermo di un computer. Ho fatto la mia parte fine all’ultimo centesimo, e ne sono orgoglioso. Non accetto né chiedo carità. Sono una persona, non un cane. E come tale chiedo che mi siano garantiti i miei diritti. Chiedo di essere trattato con rispetto. Io, Daniel Blake, sono un cittadino. Niente di più, niente di meno. Grazie.”
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