marcomponti
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mercoledì 21 gennaio 2015
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fine indegna per la terra di mezzo
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Il terzo episodio della Trilogia de lo Hobbit riparte in quarta dalla fine del capitolo precedente. (ATTENZIONE contiene spoiler) Il Drago Smaug, risvegliatosi dopo l’arrivo dei nani nella Montagna Solitaria, parte all’attacco per distruggere il villaggio di Pontelagolungo, affrontato, in mezzo a fuoco e fiamme dal prode Bard, che con l’ultimo disperato tentativo, riesce a colpire con una freccia l’unica scaglia scoperta della corazza del drago, uccidendolo e salvando il villaggio. La morte del drago tuttavia, spalanca le porte della montagna e dell’immenso tesoro nascosto al suo interno a tutta la terra di mezzo, diventando il punto di incontro di cinque (?? mah…) armate che si affronteranno nella decisiva battaglia finale.
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Il terzo episodio della Trilogia de lo Hobbit riparte in quarta dalla fine del capitolo precedente. (ATTENZIONE contiene spoiler) Il Drago Smaug, risvegliatosi dopo l’arrivo dei nani nella Montagna Solitaria, parte all’attacco per distruggere il villaggio di Pontelagolungo, affrontato, in mezzo a fuoco e fiamme dal prode Bard, che con l’ultimo disperato tentativo, riesce a colpire con una freccia l’unica scaglia scoperta della corazza del drago, uccidendolo e salvando il villaggio. La morte del drago tuttavia, spalanca le porte della montagna e dell’immenso tesoro nascosto al suo interno a tutta la terra di mezzo, diventando il punto di incontro di cinque (?? mah…) armate che si affronteranno nella decisiva battaglia finale.
Il sesto film di Peter Jackson ambientato nella Terra di Mezzo risulta senza alcun dubbio il peggiore della serie, anche per gli amanti del genere e per i seguaci di Tolkien. Il film si distacca in maniera decisa dal libro da cui è tratto (che di per sé non sarebbe automaticamente un male), ma lo fa in maniera del tutto inadeguata, introducendo personaggi insulsi (Alfrid) o creando situazioni patetiche e completamente al di fuori delle spirito eroico e fantastico della saga (vedi triangolo amoroso tra i due elfi e il nano).
Ma le note negative non si fermano qui: in tutto il film (con l’esclusione della scena iniziale dell’attacco del drago, davvero molto bella) non si respira mai l’epica solennità della prima trilogia, né la tensione dei precedenti capitoli. A tutto ciò si aggiunge una sceneggiatura a dir poco lacunosa, piena di buchi (che fine fa l’Arkengemma? e lo scontro tra Saruman e Sauron?), incongruenze, battute ridicole e fuori luogo ai limiti del grottesco, personaggi insulsamente piatti (su tutti Gandalf, il potentissimo stregone, che in tutto il film le prende di santa ragione e non fa nemmeno mezzo incantesimo).
Ma veniamo alla battaglia, centro nevralgico del film e da sempre punto di forza della saga: anche qui il regista neozelandese incappa in un passo falso; vogliamo paragonare la battaglia (che dà persino il nome al film) con quella del Fosso di Helm o dell’assedio di Minas Tirith della prima trilogia? La drammaticità e la spettacolarità delle immagini, la sensazione di venire sopraffatti da orde di orchi, viene qui sostituita da un’inutile e confusa gazzarra, fatta principalmente di corpo a copro, senza che si riesca a vedere una strategia degli eserciti, incomparabile emotivamente, ma anche e soprattutto graficamente alle altre battaglie della serie. Allo spettatore resta il dubbio di come i buoni alla fine siano riusciti a sconfiggere le migliaia di orchi (mica sarà merito della dozzina di nani che decidono di entrare in battaglia? E le aquile? Da dove sono spuntate?)
Come ciliegina sulla torta, abbiamo un doppiaggio in italiano assolutamente inadeguato (guardare per credere la scena in cui Thorin in delirio dice di non voler rinunciare nemmeno a una moneta del tesoro)
Insomma un’indegna conclusione per la terra di mezzo…
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vapor
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sabato 20 dicembre 2014
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l'ultima fatica di jackson
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L'ultimo capitolo della trilogia "Lo Hobbit" conclude il ciclo di trasposizioni di Tolkien al cinema (almeno per ora) sfruttando l'onda del successo del signore degli anelli. Quest'ultima fatica è sicuramente all'altezza delle prime due, per la caratterizzazione dei personaggi, le ambientazioni, la potenza delle immagini e la capacità tutta di Peter Jackson di saper dare credibilità e spessore alle sue trasposizioni dei romanzi di Tolkien, ma nel complesso si ha l'impressione di aver mancato il colpo, di aver deluso un po' le aspettative. Opere come queste sono attese al cinema come un appuntamento immancabile e giocano tutta la loro forza sull'aspettativa del pubblico, il quale si sente "obbligato" a dare una degna conclusione ad una storia.
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L'ultimo capitolo della trilogia "Lo Hobbit" conclude il ciclo di trasposizioni di Tolkien al cinema (almeno per ora) sfruttando l'onda del successo del signore degli anelli. Quest'ultima fatica è sicuramente all'altezza delle prime due, per la caratterizzazione dei personaggi, le ambientazioni, la potenza delle immagini e la capacità tutta di Peter Jackson di saper dare credibilità e spessore alle sue trasposizioni dei romanzi di Tolkien, ma nel complesso si ha l'impressione di aver mancato il colpo, di aver deluso un po' le aspettative. Opere come queste sono attese al cinema come un appuntamento immancabile e giocano tutta la loro forza sull'aspettativa del pubblico, il quale si sente "obbligato" a dare una degna conclusione ad una storia. Ma è una conclusione inconcludente, si combatte per quasi novanta minuti (su due ore e venti di film) riciclando molti degli espedienti narrativi già visti nella saga del signore degli anelli, senza innovare, senza interpretare in fondo un testo che resta imballato nella linearità della sua trama. Una trama essenzialmente bellica e, proprio come il personaggio centrale di questo episodio, arroccata su se stessa, chiusa allo spettatore che di fronte a tanta coerenza narrativa non può allungare i tentacoli della propria sensibilità verso la percezione dei contenuti extra-filmici che caratterizzano le opere precedenti. Niente di male in fondo, ma anche nessun fremito.
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[+] ma che italiano è
(di johnny1988)
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spartan
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sabato 27 dicembre 2014
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imbarazzante
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Peter Jackson dopo l'esaltante trilogia del Signore degli anelli ha voluto cercare un'altra volta di regalare al pubblico mille emozioni. Ma questa volta ha tirato troppo la corda e questa si è spezzata, trasformando la trilogia di "Lo Hobbit" in un' esagerata e inconcludente sequenza di immagini.
Sebbene la storia ricordi quella raccontata nel libro da Tolkien, nel film la trama è stata troppo interpretata liberamente, creando solo confusione e sdegno nel pubblico.
Le aspettative per l'ultimo film già non erano alte, e Jackson dal canto suo non ha voluto tradirle; non si è mai visto un finale così inconcludente, nè tanto meno tanti effetti speciali cosí imbarazzanti.
La trilogia è stata un opera troppo tirata e mal voluta, infatti Tolkien la scrisse perchè fosse una favola per bambini, ma nei cinema crea un tutt'altro effetto, facendola apparire come una saga di elfi volanti, streghe/oni e una caccia al nano.
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jules_winnfield
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domenica 4 gennaio 2015
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un ottimo addio a stile peter jackson
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Si chiude l'ultimo capitolo tanto atteso dal pubblico Tolkeniano, che non lascia spazio ai sentimentalismi, ma si precipita dal primo minuto sul vivo dell'azione e del combattimento.Ancora una volta, l'accurato lavoro di Peter Jackson mette in risalto gli stupendi paesaggi bellici, armonizzati da un perfetto mix di musica e colori che ha caretterizzato le due trilogie.Lo spettatore entra in sala, consapevole del fatto che quello sarà l'ultimo addio da concedere , (esattamente come il titotlo della colonna sonora "Last Goodbye") e aspetta di godersi la sfida tanto attesa; ma non tanto la sfida tra bene e male, ma quanto quella che sta per affrontare il regista, sperando di chiudere in bellezza.
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Si chiude l'ultimo capitolo tanto atteso dal pubblico Tolkeniano, che non lascia spazio ai sentimentalismi, ma si precipita dal primo minuto sul vivo dell'azione e del combattimento.Ancora una volta, l'accurato lavoro di Peter Jackson mette in risalto gli stupendi paesaggi bellici, armonizzati da un perfetto mix di musica e colori che ha caretterizzato le due trilogie.Lo spettatore entra in sala, consapevole del fatto che quello sarà l'ultimo addio da concedere , (esattamente come il titotlo della colonna sonora "Last Goodbye") e aspetta di godersi la sfida tanto attesa; ma non tanto la sfida tra bene e male, ma quanto quella che sta per affrontare il regista, sperando di chiudere in bellezza.Le aspettative non deludono neanche stavolta, il film infatti offre al pubblico del grande schermo le novità che mancavo negli altri film, fra cui scontri tra maghi, la comparsa dell'esercito nanico e quant'altro.Una trilogia minore rispetto alla precedente, ma ricca della stessa magia che ha caratterizzato la prima e che è ricercata nei romanzi di Tolkien;Per chi ha amato davvero le trilogie, basta poco per mettere una pietra sopra quelle imperfezioni,e godersi la fine di quello che nel suo insieme, rimarrà un capolavoro assoluto.
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lorenzo grigio
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sabato 20 dicembre 2014
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lo hobbit - tanta attesa troppa battaglia
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L'aspettativa di questo film era altissima, dopo la magnifica scena finale del penultimo capitolo in cui Smaug si scrolla di dosso un manto d'oro liquido in una notte grigia.
Purtroppo, "Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate" non si rivela niente di più che una gigantesca guerra in cui tutti sono utili ma nessuno è necessario, perchè tanto alla fine arrivano sempre le aquile a salvare tutti. sembra di essere in Avatar quando Eywa decide di fare la sua parte. in questo capitolo, quasi ci si dimentica dell'intricata storia che ha caratterizzato "Il Signore degli Anelli" (soprattutto il secondo capitolo) e dei paesaggi sterminati cui eravamo abituati. a parte la malattia di Thorin e qualche piccola altra cosa (la storia d'amore elfo-nano, il conflitto padre-figlio elfi già anticipati e del tutto prevedibili), non resta che una guerra.
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L'aspettativa di questo film era altissima, dopo la magnifica scena finale del penultimo capitolo in cui Smaug si scrolla di dosso un manto d'oro liquido in una notte grigia.
Purtroppo, "Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate" non si rivela niente di più che una gigantesca guerra in cui tutti sono utili ma nessuno è necessario, perchè tanto alla fine arrivano sempre le aquile a salvare tutti. sembra di essere in Avatar quando Eywa decide di fare la sua parte. in questo capitolo, quasi ci si dimentica dell'intricata storia che ha caratterizzato "Il Signore degli Anelli" (soprattutto il secondo capitolo) e dei paesaggi sterminati cui eravamo abituati. a parte la malattia di Thorin e qualche piccola altra cosa (la storia d'amore elfo-nano, il conflitto padre-figlio elfi già anticipati e del tutto prevedibili), non resta che una guerra.
Per fortuna, Peter Jackson riesce a condire il tutto con mirabolanti effetti e trovate. indimenticabile sarà il drago che prima atterra una città a suon di fiamme, poi si contorce dal dolore prima di morire; la battaglia contro i Nazgul; Azog che passa sotto la lastra di ghiaccio in cui è Thorin, per poi colpirlo. soprattutto se il film è visto in 3d Hfr.
Diverse sembrano le citazioni e auto-citazioni: oltre al già citato Avatar, gli orchi ricordano il Throll di "Harry Potter e la pietra filosofale", i mangiaterra i serpenti di "Tremors", Legolas che si attacca al piede di un pipistrello ricorda "Jurassik Park 3" quindi "King Kong".
Se Jackson ci lascia spronandoci ad essere più legati alla casa, intesa come insieme di affetti ma anche come patria, noi lasciamo lui ansiosi di rivederlo al massimo del suo estro e della sua genialità.
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matteo mantoani
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domenica 21 dicembre 2014
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peter jackson si salva in corner
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Giunto al capitolo conclusivo della saga cinematografica ispirata al libro di Tolkien, lo spettatore potrà sentirsi ripagato dallo sforzo di aver inghiottito il boccone amaro del secondo film. L'azione non manca, le trovate divertenti neppure, lo spettacolo del 3D in HFR lascia senza fiato, ma non mancano diversi punti interrogativi. La psicologia di alcuni personaggi è solamente abbozzata e fatica a coinvolgere, ad esempio la pazzia e successivo rinsavimento in tempi record di Thorin è poco verosimile. Originale invece, è l'umanizzazione degli elfi, non più mossi da ideali profondi come nella saga dell'Anello, ma da avidità ed egoismo (Tranduil) o da sete di vendetta (Legolas). Il combattimento finale sfida le leggi della fisica e del buon senso, ma dopo il secondo film ormai non si fa più caso alle bravate di Legolas.
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Giunto al capitolo conclusivo della saga cinematografica ispirata al libro di Tolkien, lo spettatore potrà sentirsi ripagato dallo sforzo di aver inghiottito il boccone amaro del secondo film. L'azione non manca, le trovate divertenti neppure, lo spettacolo del 3D in HFR lascia senza fiato, ma non mancano diversi punti interrogativi. La psicologia di alcuni personaggi è solamente abbozzata e fatica a coinvolgere, ad esempio la pazzia e successivo rinsavimento in tempi record di Thorin è poco verosimile. Originale invece, è l'umanizzazione degli elfi, non più mossi da ideali profondi come nella saga dell'Anello, ma da avidità ed egoismo (Tranduil) o da sete di vendetta (Legolas). Il combattimento finale sfida le leggi della fisica e del buon senso, ma dopo il secondo film ormai non si fa più caso alle bravate di Legolas. Alcuni personaggi che nel libro trovano ampio spazio sono ridotti ad apparizioni di pochi secondi, Beorn infatti compare per così poco tempo che ci si chiede perché Jackson non si sia semplicemente limitato a tagliarlo dal film. Le fastidiose invenzioni cinematografiche rispetto alla trama non si contano più, ma dopo due film ormai ci si è fatti il callo. Molto bello il design di alcuni troll, in cui si vede l'impronta di Del Toro (accreditato alla fine come consulente), interessante l'ammiccamento alla saga di Dune (i vermi scavatori), bella anche se inutile la sequenza di Angmar, divertentissimo il personaggio di Dain, che compare per pochi minuti. Dopo aver tirato un sospiro di sollievo nel vedere come la storia d'amore tra elfo e nano rimanga solo platonica, si rimane commossi quando Bilbo, carico d'oro e di premi, invita i suoi amici a prendere il tè delle quattro a casa Baggins mentre soddisfatto, e non più lo stesso di prima, riprende la strada per la Contea. Bello il modo in cui questo film si concluda riallacciandosi alla saga di cui è prequel con diversi rimandi e citazioni, meno bello il suo inizio che è quasi come un fermo immagine di un anno dal film precedente.
Nel complesso il film conclude la saga in modo discreto, riempiendo il tutto di azione e intrattenimento hollywoodiano, per un fan di Tolkien tutto questo non è abbastanza, ma per il pubblico ubriaco di fantasy è un must see.
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ilpoponzimo
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martedì 30 dicembre 2014
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un viaggio durato troppo
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Quando si parla del film “Lo Hobbit” ci si apre dinanzi agli occhi una vorticosa girandola di difficoltà interpretative e di discorsi di grande complessità. In primis perche ogni film della trilogia deve essere visto come un unicum indipendente dagli altri, eppure indissolubilmente legato agli altri capitoli da una forte coesione narrativa e di intenti. E come se non fosse già abbastanza difficile, tutta la trilogia deve subire il peso incombente dell’ombra sia delle gesta del regista stesso sia dell’importanza che i 3 precedenti capitoli del Signore degli Anelli hanno avuto sull’immaginario collettivo e sull’evoluzione della storia del cinema recente.
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Quando si parla del film “Lo Hobbit” ci si apre dinanzi agli occhi una vorticosa girandola di difficoltà interpretative e di discorsi di grande complessità. In primis perche ogni film della trilogia deve essere visto come un unicum indipendente dagli altri, eppure indissolubilmente legato agli altri capitoli da una forte coesione narrativa e di intenti. E come se non fosse già abbastanza difficile, tutta la trilogia deve subire il peso incombente dell’ombra sia delle gesta del regista stesso sia dell’importanza che i 3 precedenti capitoli del Signore degli Anelli hanno avuto sull’immaginario collettivo e sull’evoluzione della storia del cinema recente. Con estrema difficoltà proverò a parlare solo di questo terzo capitolo e non andrò ad impelagarmi in paragoni con il libro che non ho letto e di cui mi interessa relativamente. Naturalmente come è giusto che sia il film parte da dove si era interrotto il secondo e in pochi minuti spiazza subito lo spettatore. Il drago, che ci era stato propinato come l’antagonista per eccellenza di tutta la trama, ora scompare e la vicenda viene trascinata proprio nella montagna che era stata la dimora del drago per decenni e che era stata la causa prima dell’inizio del viaggio. Ma repentinamente la narrazione viene sconvolta e portata avanti da un solo personaggio, Thorin, il re sotto la montagna. Peter Jackson racconta la pazzia di un personaggio che si mostra in tutta la sua complessità fino quasi a diventare shakespeariano nelle sue fattezze. La forza del film sta tutta li. In quella potenza visiva con cui il regista narra l’evoluzione di questo re che viene sconfitto dall’avidità e dal suo incontrollato desiderio di ricchezze. La macchina da presa è intima e intensa nel muoversi tra quei volti e quei sentimenti. Continua così il grande disegno umano di Peter Jackson che fin da i suoi primi film,in particolare con quello che è forse l’apice della sua fase pre-tolkeniana, Creature del cielo,riesce a concepire e a portare in scena con una dinamicità e una potenza ludica che all’interno del genere fantasy ha pochissimi eguali. I personaggi rappresentano tutti più di quello che sono all’interno della vicenda. Sono enormi metafore di sentimenti. Di vizi e di virtù. Ma in particolare di debolezze e mostruosità a cui l’animo umano tende e alla quale non può sottrarsi. Finita la prima ora però il prepotente buonismo di una trama già letta e riletta torna a imperversare. Si combatte,si combatte e si combatte. Molto, molto e ancora molto. Il film perde di spessore e viene inghiottito dalla sua stessa estetica epica. Si finisce per sbadigliare più di una volta e non ci si riesce a trattenere. La narrazione pur rimanendo lineare e precisa, quasi senza sbavature e con un utilizzo del tempo di scena da vero teatrante, non riesce ad imprimere al tutto l’emozione necessaria e nonostante alcuni colpi di scena voluti appositamente per creare una breccia nei cuori degli spettatori, non riesce a scalfirne nemmeno il petto più sensibile. Forse ci si doveva fermare quando c’era modo e tempo. Peter Jackson poteva lasciare il tavolo da vincitore ed essere ricordato come colui che ha impresso un’impronta indelebile nella storia del cinema. Ma come succede spesso oggi,troppo spesso, si finisce per essere preda del proprio ego e della propria cupidigia. Esattamente come Thorin Scudodiquercia,Peter Jackson è stato risucchiato dalla sua avidità e dal suo bieco volere umano. Ma nonostante la mancanza di idee e l’eccessiva forzatura di allargare un minuscolo libricino in 3 film infiniti, il regista si conferma un vero maestro nel suo mestiere.La messa in scena è di una accuratezza infinitesimale e il montaggio sonoro è da brividi. Gli effetti visivi rappresentano lo spartiacque di tutta la pellicola. Dapprima l’onnipresente eccessiva CGI rende meravigliosamente spaventosa l’immagine del drago Smaug ,ma allo stesso tempo rende le scene di guerra e alcuni personaggi,Legolas per primo, delle vere e proprie pacchianate,cosi come una serie di scene di combattimento al limite del ridicolo. Peter Jackson ha dimostrato di essere ancora il più geniale e originale AUTORE di questo genere cinematografico,ma ha voluto calcare eccessivamente la mano su quello che è riuscito a creare in precedenza con il Signore degli Anelli. I continui rimandi alle altre pellicole sono manna dal cielo per gli appassionati,ma sembrano messi lì senza una vera ragione,portando solo all’esasperante forzatura la narrazione e i suoi contesti. Alla fine della storia credo che non sia il peggiore della trilogia nonostante abbia toccato dei fondi mai raggiunti con gli altri film. Possiamo solo sperare che come Thorin, anche Peter Jackson riesca a raggiungere una catarsi spirituale e a superare questa sua incessante bramosia di strafare. Dopo tanti anni siamo giunti alla fine del nostro viaggio nella Terra di Mezzo e nonostante i vari alti(altissimi) e bassi (bassissimi) possiamo solamente ringraziare un regista del genere per aver dato cosi tanto a noi e al mondo stesso del cinema.
Recensione Lo Hobbit:
Quando si parla del film “Lo Hobbit” ci si apre dinanzi agli occhi una vorticosa girandola di difficoltà interpretative e di discorsi di grande complessità. In primis perche ogni film della trilogia deve essere visto come un unicum indipendente dagli altri, eppure indissolubilmente legato agli altri capitoli da una forte coesione narrativa e di intenti. E come se non fosse già abbastanza difficile, tutta la trilogia deve subire il peso incombente dell’ombra sia delle gesta del regista stesso sia dell’importanza che i 3 precedenti capitoli del Signore degli Anelli hanno avuto sull’immaginario collettivo e sull’evoluzione della storia del cinema recente. Con estrema difficoltà proverò a parlare solo di questo terzo capitolo e non andrò ad impelagarmi in paragoni con il libro che non ho letto e di cui mi interessa relativamente. Naturalmente come è giusto che sia il film parte da dove si era interrotto il secondo e in pochi minuti spiazza subito lo spettatore. Il drago, che ci era stato propinato come l’antagonista per eccellenza di tutta la trama, ora scompare e la vicenda viene trascinata proprio nella montagna che era stata la dimora del drago per decenni e che era stata la causa prima dell’inizio del viaggio. Ma repentinamente la narrazione viene sconvolta e portata avanti da un solo personaggio, Thorin, il re sotto la montagna. Peter Jackson racconta la pazzia di un personaggio che si mostra in tutta la sua complessità fino quasi a diventare shakespeariano nelle sue fattezze. La forza del film sta tutta li. In quella potenza visiva con cui il regista narra l’evoluzione di questo re che viene sconfitto dall’avidità e dal suo incontrollato desiderio di ricchezze. La macchina da presa è intima e intensa nel muoversi tra quei volti e quei sentimenti. Continua così il grande disegno umano di Peter Jackson che fin da i suoi primi film,in particolare con quello che è forse l’apice della sua fase pre-tolkeniana, Creature del cielo,riesce a concepire e a portare in scena con una dinamicità e una potenza ludica che all’interno del genere fantasy ha pochissimi eguali. I personaggi rappresentano tutti più di quello che sono all’interno della vicenda. Sono enormi metafore di sentimenti. Di vizi e di virtù. Ma in particolare di debolezze e mostruosità a cui l’animo umano tende e alla quale non può sottrarsi. Finita la prima ora però il prepotente buonismo di una trama già letta e riletta torna a imperversare. Si combatte,si combatte e si combatte. Molto, molto e ancora molto. Il film perde di spessore e viene inghiottito dalla sua stessa estetica epica. Si finisce per sbadigliare più di una volta e non ci si riesce a trattenere. La narrazione pur rimanendo lineare e precisa, quasi senza sbavature e con un utilizzo del tempo di scena da vero teatrante, non riesce ad imprimere al tutto l’emozione necessaria e nonostante alcuni colpi di scena voluti appositamente per creare una breccia nei cuori degli spettatori, non riesce a scalfirne nemmeno il petto più sensibile. Forse ci si doveva fermare quando c’era modo e tempo. Peter Jackson poteva lasciare il tavolo da vincitore ed essere ricordato come colui che ha impresso un’impronta indelebile nella storia del cinema. Ma come succede spesso oggi,troppo spesso, si finisce per essere preda del proprio ego e della propria cupidigia. Esattamente come Thorin Scudodiquercia,Peter Jackson è stato risucchiato dalla sua avidità e dal suo bieco volere umano. Ma nonostante la mancanza di idee e l’eccessiva forzatura di allargare un minuscolo libricino in 3 film infiniti, il regista si conferma un vero maestro nel suo mestiere.La messa in scena è di una accuratezza infinitesimale e il montaggio sonoro è da brividi. Gli effetti visivi rappresentano lo spartiacque di tutta la pellicola. Dapprima l’onnipresente eccessiva CGI rende meravigliosamente spaventosa l’immagine del drago Smaug ,ma allo stesso tempo rende le scene di guerra e alcuni personaggi,Legolas per primo, delle vere e proprie pacchianate,cosi come una serie di scene di combattimento al limite del ridicolo. Peter Jackson ha dimostrato di essere ancora il più geniale e originale AUTORE di questo genere cinematografico,ma ha voluto calcare eccessivamente la mano su quello che è riuscito a creare in precedenza con il Signore degli Anelli. I continui rimandi alle altre pellicole sono manna dal cielo per gli appassionati,ma sembrano messi lì senza una vera ragione,portando solo all’esasperante forzatura la narrazione e i suoi contesti. Alla fine della storia credo che non sia il peggiore della trilogia nonostante abbia toccato dei fondi mai raggiunti con gli altri film. Possiamo solo sperare che come Thorin, anche Peter Jackson riesca a raggiungere una catarsi spirituale e a superare questa sua incessante bramosia di strafare. Dopo tanti anni siamo giunti alla fine del nostro viaggio nella Terra di Mezzo e nonostante i vari alti(altissimi) e bassi (bassissimi) possiamo solamente ringraziare un regista del genere per aver dato cosi tanto a noi e al mondo stesso del cinema.
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the eagle
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sabato 3 gennaio 2015
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poi c'é la marmotta che confeziona la cioccolata
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Avviso: la recensione conterrà degli spoiler. Non tanto sulla trama, conosciuta a memoria da ogni amante del fantasy, quanto sugli orrori concepiti da Jackson all'interno della pellicola.
Letta la notizia di una nuova trilogia sulle opere di Tolkien, mi ero avvicinato alla libreria per prendere due volumi: "Lo Hobbit", 340 pagine, e "Il Signore degli Anelli", 1000 e più pagine. Se dalla prima trilogia hanno ricavato tre pellicole, anche tagliando qualche parte inutile, com'è possibile creare una trilogia di simile durata con un'opera molto più ristretta? Semplice, per Jackson: ritmo della trama rallentato fino alla noia e tante aggiunti inutili e senza senso, specialmente in quest'ultimo capitolo.
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Avviso: la recensione conterrà degli spoiler. Non tanto sulla trama, conosciuta a memoria da ogni amante del fantasy, quanto sugli orrori concepiti da Jackson all'interno della pellicola.
Letta la notizia di una nuova trilogia sulle opere di Tolkien, mi ero avvicinato alla libreria per prendere due volumi: "Lo Hobbit", 340 pagine, e "Il Signore degli Anelli", 1000 e più pagine. Se dalla prima trilogia hanno ricavato tre pellicole, anche tagliando qualche parte inutile, com'è possibile creare una trilogia di simile durata con un'opera molto più ristretta? Semplice, per Jackson: ritmo della trama rallentato fino alla noia e tante aggiunti inutili e senza senso, specialmente in quest'ultimo capitolo. Tanto è un fantasy. Tutto è possibile! Chi se ne frega del mondo creato da Tolkien. Devo dire che l'inserimento meno fastidioso è stato Azog. Hollywood ha sempre bisogno di un cattivo. Poi però nel secondo capitolo arriva l'amore alla Romeo e Giulietta. Perché ce n'era bisogno? Chiudiamo un occhio. E mettiamoci pure Legolas, per attirare frotte di ragazzine innamorate del Pirata dei Caraibi. Ok, chiudo un altro occhio. Ora, per l'ultimo capitolo, arrivo in sala con entrambe gli occhi chiusi. Forse sarebbe stato meglio non aprirli. Il drago, vero nemico della storia stampata, viene ucciso dopo 5 minuti in seguito ad uno dei cliché più brutti della storia del cinema: il discorso del cattivo. Ma non poteva morire in volo mentre sputava fiamme come nel libro? C'era bisogno di fargli fare la figura dell'idiota? Già ho capito il livello della pellicola. E dopo una mezz'ora di noia e scene senza senso, come Thranduil che porta un carretto di viveri a duemila sfollati o Legolas e amica che aspettano la mezzanotte per poi non fare nulla, si arriva alla battaglia! Devo dire che le prime scene del combattimento sono ben realizzate e spettacolari, come il muro di scudi dei nani. Ma per non illudermi sul fatto che il film potrà migliorare, iniziano a comparire gli elementi casuali e senza senso, anche plagiati da altri film. Tanto è un fantasy! A che serve la logica? Iniziamo con i Tremors giganti, che scavano gallerie nelle montagne per far passare gli orchi. A che scopo? Nessuno! Servono solo a scavare gallerie. Perché a questo punto non lanciarli contro i nemici per divorarli e sterminarli? Azog, sei stupido! O forse volevi solo cambiare il piano urbanistico della Terra di mezzo. Sta di fatto che l'orco ingegnere ha la brillante idea di far combattere all'inizio solo metà del suo esercito. Geniale! Hai preso lezioni da Gamelin sulla tattica militare? E tra combattimenti inutili, in cui gli orchi sembrano incapaci di impugnare un'arma, troll arieti e arieti che spazzano tutto come troll, carretti lanciati per i vicoli come in Kung Fu Panda 2, pipistrelli da cavalcare come in Rango e un ghiacciaio...sì, un ghiacciaio! Erebor, la montagna solitaria. Da dove sono uscite le montagne intorno e un lago ghiacciato? L'ho già detto che è un fantasy e tutto è possibile? Quindi, facciamo saltare Legolas sulle pietre come Tai Lung in Kung Fu Panda, facciamo uscire Azog dal ghiaccio come un Narvalo, mettiamoci qualche scena strappa lacrime e alla fine facciamo arrivare anche le aquile! Così la battaglia è stata inutile, bastava aspettare il loro arrivo per vincere. Ottimo!
Quindi: storia poco fedele, aggiunte inutili e senza logica, ritmo lento. Cosa resta? Un bel documentario sulla Nuova Zelanda (e sei!) e un ottimo uso degli effetti speciali. Bastano per un film?
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(di dado1987)
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sebastian13
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mercoledì 17 dicembre 2014
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fine di una emozione
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L'ultimo capitolo de Lo Hobbit rappresenta anche la fine di questa grande emozione che ci è stata offerta sullo spunto dei libri di Tolkien dal 2001 ad oggi. Tredici anni vissuti all'insegna di Maghi, Draghi, Nani, Hobbit, Eroi, Elfi, Orchi ecc. ma soprattutto di Uomini alla ricerca di loro stessi ed in particolare del perché della loro esistenza. E la fine, che altro non è che un inizio, determina ancora una volta la volonà di questa riaffermazione di unicità, pur nelle mille e mille contraddizioni e stupide mollezze. Questi uomini che combattono a mani nude contro tutto e tutti, altro non sono che la unità della loro rappresentazione scenica definita attraverso i personaggi di cui sono circondati.
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L'ultimo capitolo de Lo Hobbit rappresenta anche la fine di questa grande emozione che ci è stata offerta sullo spunto dei libri di Tolkien dal 2001 ad oggi. Tredici anni vissuti all'insegna di Maghi, Draghi, Nani, Hobbit, Eroi, Elfi, Orchi ecc. ma soprattutto di Uomini alla ricerca di loro stessi ed in particolare del perché della loro esistenza. E la fine, che altro non è che un inizio, determina ancora una volta la volonà di questa riaffermazione di unicità, pur nelle mille e mille contraddizioni e stupide mollezze. Questi uomini che combattono a mani nude contro tutto e tutti, altro non sono che la unità della loro rappresentazione scenica definita attraverso i personaggi di cui sono circondati. Il loro io, il loro ego, attraversato ora da uno spunto onirico da Elfo, ora da una magia, ora da un necessario digrignar di denti, tutto per ridefinire la lolro unicità. Questo ha rappresantato lo svolger degli eventi di questi sei splendidi film di Jackson: la ricerca di una possibile soluzione al mistero di essere uomo. E per ciò siamo stati magicamente trasportati nella splendida avventura. In una emozione unica che difficilmente riusciremo a superare, ché ha segnato 13 anni della nostra fragilità, come questo ultimo capitolo, che conserverà nella nostra mente il peccato di aver voluto dichiarare i conflitti e quindi troppo verboso e chiacchierato; fatto di inutili spiegazioni. Perdoneremo la debolezza di Jackson perché a lui dobbiamo troppo per poter discutere l'epopea dell'anello come estrema sintesi della necessara unità dell'esistenza.
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casval
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lunedì 22 dicembre 2014
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capace di incuriosire, ma non di appassionare!
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Un primo tempo pieno di novità, capace di stupire nonostante si tratti del sesto film della saga. Con un ritmo teso come un arco, Jackson ci propone un'enorme battaglia dove non sembra mancare proprio nulla: i combattimenti degli elfi, eleganti e dinamici come una danza, le testuggini dei nani, vere montagne mobili sul campo di battaglia, e infine il coraggio degli uomini, grandi combattenti che si scoprono eroi di fronte alle avversità.
Non si può non riconoscere la saggezza degli Hobbit, la consapevolezza che nelle cose semplici come una ghianda possa essere contenuta molta più ricchezza di quanta ve ne sia nel cuore tenebroso e avido della montagna. Così anche il coraggio di Bilbo non è quello del grande condottiero, ma quello del giusto, che sa fare la differenza anche senza essere mosso dal desiderio di gloria.
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Un primo tempo pieno di novità, capace di stupire nonostante si tratti del sesto film della saga. Con un ritmo teso come un arco, Jackson ci propone un'enorme battaglia dove non sembra mancare proprio nulla: i combattimenti degli elfi, eleganti e dinamici come una danza, le testuggini dei nani, vere montagne mobili sul campo di battaglia, e infine il coraggio degli uomini, grandi combattenti che si scoprono eroi di fronte alle avversità.
Non si può non riconoscere la saggezza degli Hobbit, la consapevolezza che nelle cose semplici come una ghianda possa essere contenuta molta più ricchezza di quanta ve ne sia nel cuore tenebroso e avido della montagna. Così anche il coraggio di Bilbo non è quello del grande condottiero, ma quello del giusto, che sa fare la differenza anche senza essere mosso dal desiderio di gloria. Perfetta la recitazione di Martin Freeman, curata fin nei movimenti degli occhi e nei mezzi sorrisi. L'insistere della videocamera sui primi piani mette in luce una recitazione non verbale di grandissima espressività.
Potentissima e terrificante la battaglia contro Sauron e i nove re, peccato solo che sia risultata solo una parte marginale della trama. Sarebbe stato bello vedere qualche connessione in più col Signore degli anelli, indugiare di più sulle origini del Negromante, ma forse Jackson voleva lasciarsi spazio per una eventuale versione cinematografica del Silmarillion.
Tanti elementi, alcuni vecchi, altri nuovi, che magari hanno saputo incuriosire, ma non appassionare. I sentimenti dei personaggi, non coinvolgono e non riescono più di tanto a dare empatia alla pellicola.
Il secondo tempo delude rispetto al primo: è una conclusione, ma senza colpi di scena significativi. Lo Hobbit si riallaccia al Signore degli anelli, confermando di essere un'opera pur sempre minore e di contorno.
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