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domenica 10 settembre 2006
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tempo
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Ci vogliono pochi attimi per pronunciare la parola Tempo, sebbene la si possa scandire con lauta chiarezza e precisione. Il tempo scorre frettoloso attraverso le nostre bocche, così come aleggia veloce sulle nostre vite quasi fosse un fantasma, talvolta crudele, talvolta solo birichino.
Il tempo incute timore - sembra volerci dire il regista. Il suo scorrere modifica, abbruttisce, distrugge. Ne è consapevole la protagonista, la quale proietta tali paure ossessive sulla sua vita sentimentale. Il tempo, parco di scrupoli, la spinge verso una carneficina dell’amore, che si consuma tra il tavolino di legno intagliato di un bar, le statue gelide di una spiaggia isolana e il neon asettico di una sala operatoria.
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Ci vogliono pochi attimi per pronunciare la parola Tempo, sebbene la si possa scandire con lauta chiarezza e precisione. Il tempo scorre frettoloso attraverso le nostre bocche, così come aleggia veloce sulle nostre vite quasi fosse un fantasma, talvolta crudele, talvolta solo birichino.
Il tempo incute timore - sembra volerci dire il regista. Il suo scorrere modifica, abbruttisce, distrugge. Ne è consapevole la protagonista, la quale proietta tali paure ossessive sulla sua vita sentimentale. Il tempo, parco di scrupoli, la spinge verso una carneficina dell’amore, che si consuma tra il tavolino di legno intagliato di un bar, le statue gelide di una spiaggia isolana e il neon asettico di una sala operatoria.
Il tempo modifica sentimenti e corpi – è questo il messaggio. Modifica l’amore di una donna per il proprio uomo, rendendolo morbosa gelosia. L’incipit della pellicola è un occhio sbarrato, e in esso il riflesso di cinque luci al neon disposte con simmetria circolare, come a testimoniare la nascita di una ordinatissima follia metropolitana. Ricorrono ancora gli occhi, nel desiderio della ragazza di volerli cavare alle donne che guardano il suo uomo.
Il tempo modifica la percezione inconscia del proprio corpo, del proprio viso. Esso poggia sulla protagonista il peso di un viso sempre uguale, che porta alla paura di indurre la noia nell’amato. Scaturisce la decisione estrema di sradicare tale noia, cancellando l’ormai odiatissimo viso.
Il tempo distrugge. Distrugge un amore, distrugge gli equilibri, inducendo anche l’altro protagonista ad imboccare la stessa strada perversa del cambiamento innaturale. I due non si incontrano più, si rincorrono, sfiorandosi, si desiderano, ma non si trovano, modificati come sono nelle loro anime, oltre che nelle sembianze. Col tempo divergono, approdando alla morte e alla disperazione.
Durante questo percorso, sfogano la loro rabbia prendendo a calci una quercia dal grosso tronco, simbolo della potenza che il tempo esercita sulle loro vite straziate.
Il tempo concilia la fine con l’inizio, come testimonia la struttura circolare del film. Proprio come fanno le lancette di un orologio, che iniziano un nuovo giorno laddove termina quello precedente. La ragazza manifesta il desiderio di rendersi irriconoscibile dopo la perdita dell’amato. Ed irriconoscibile esce dall’ingresso della clinica che l’ha vista trasformarsi. Qui sfiora per un attimo se stessa col vecchio viso. Vorrebbe dirle che è stato tutto un errore. L’altra le chiede di attendere, ma non lo fa. L’attesa non prende parte alla propria natura. Il tempo non aspetta.
Il regista abbandona in questo film la poesia del silenzio, approcciando il complesso tema con abbondanza di parole e rumori. Nulla è lasciato al caso, nemmeno il singolare nome del bar degli incontri, Room and Rumors. Numerosi i tentativi inconsapevoli di fermare il tempo scattando foto, o sostando sulle immobili statue del parco, quasi fossero gli unici punti fermi nelle flottanti esistenze dei due protagonisti. Ma il tempo ha il sopravvento, accompagnando per mano, su per le scale di ferro di una scultura, una amara e grigia marea.
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silvia
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lunedì 25 settembre 2006
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natura duale del tempo
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quando parliamo di tempo il nostro pensiero 'occidentale' avverte come prima qualità il suo fluire veritcale. ma forse in questo film kim ki duk vuole parlarci di un altro aspetto del tempo, e cioè la sua fissità. una fissità che emerge nella ciclicità della vita(vedi le stagioni!), dalle esperienze che si ripetono e che ritornano, come punti fissi in un tempo che effettivamente scorre ma in una danza circolare,e che ci fa percepire una certa monotonia dell'esistenza. la protagonista non è affetta dalla preoccuppazione del tempo che passa,bensì dal timore della routine del suo volto che si ripete sempre uguale in un tempo che scorre(o almeno così lei percepisce).l'intento della protagonista è quello di sottrarre al suo fidanzato la monotonia della sua faccia!| lo scorrere del tempo e la sua immutabilità intrinseca è percepita in maniera drammatica dai protagonisti ed è forse la chiave di lettura di questo film denso di significati, dove altri temi si intrecciano acnhe se, come rami di un albero,sono direttamente collegati al primo.
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quando parliamo di tempo il nostro pensiero 'occidentale' avverte come prima qualità il suo fluire veritcale. ma forse in questo film kim ki duk vuole parlarci di un altro aspetto del tempo, e cioè la sua fissità. una fissità che emerge nella ciclicità della vita(vedi le stagioni!), dalle esperienze che si ripetono e che ritornano, come punti fissi in un tempo che effettivamente scorre ma in una danza circolare,e che ci fa percepire una certa monotonia dell'esistenza. la protagonista non è affetta dalla preoccuppazione del tempo che passa,bensì dal timore della routine del suo volto che si ripete sempre uguale in un tempo che scorre(o almeno così lei percepisce).l'intento della protagonista è quello di sottrarre al suo fidanzato la monotonia della sua faccia!| lo scorrere del tempo e la sua immutabilità intrinseca è percepita in maniera drammatica dai protagonisti ed è forse la chiave di lettura di questo film denso di significati, dove altri temi si intrecciano acnhe se, come rami di un albero,sono direttamente collegati al primo. sto parlando dell'amore che la protagonista tenta di salvare dall'immobilità cambiandosi i connotati, ma che paradossalmente la porterà ad essere gelosa di se stessa!il suo tentantivo di sfuggire alla monotonia del tempo le si rivolta contro.il suo fidanzato è in realtà davvero innamorato della sua prima faccia . E se a questo punto traspare solo la follia di questo gesto,(che poi diventa di entrambi)in seguito si aggiunge un nuovo significato e quasi si ribalta, infatti nessuno dei due riesce comunque a riconoscere l'altro nel momento in cui cambia volto! non solo non si riconoscono ma quasi non si amano piu.il ragazzo se la prende con il dottore per ciò che ha fatto, non riconosce lei e nemmeno se stesso tanto da e decidere di cambiarsi anche lui i connotati.come a dire si ama un volto ma non si riesce ad amare la persona per ciò che è, altrimenti la si riconoscerebbe!( quindi tanto per tornare all'inizio del film la disperazione iniziale della protagonista che si copre il volto con le lenzuola, sembra adesso piu che giustificata).lo smarrimento finale della protagonista in un mondo di volti tutti uguali eppur diversi, la sua decisione di diventare irriconiscibile è la resa finale a ciò che non si è compreso: la quercia solida e potente contro cui entrambi si accaniscono, o le statue immobili nello scorrere delle maree,immobili ma con un identità riconoscibile. il finale rimanda ancora una volta alla ciclicità degli eventi, alla natura duale deltempo, fissità e flusso, e alla circolarità della legge del karma..
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[+] l'inutilità della chirurgia estetica
(di andyroxx)
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sabato 26 agosto 2006
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facce
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FACCE
Kim Ki-duk non gira film, ma dipinge quadri astratti: immagini-simbolo sovrastano la fisicità disordinata degli spazi, ideogrammi di una realtà invisibile ed enigmatica, forse divina, il cui acceso è precluso all’uomo contaminato dalla sua corporalità. La sua cinematografia si concreta in vicende esemplari di anime in cui confliggono la forza trascinante di una fisicità degradante e l’ aspirazione etica all’ ascesi : i protagoniste di Time si amano, ma lo fanno nel tempo e contro il tempo. L’amore assoluto vorrebbe l’eternità del possesso, ma l’essere umano può vivere solo la precarietà dell’istante. In Time però la cronaca delle passione costringe l’etereo genio dell’autore al volo raso terra: dialoghi al limite del patetico, tazzine rotte per rabbia, lifting e maschere, la commedia delle doppie identità, brusio discreto di comparse ubriache, situazioni quasi comiche, costituiscono gli illusori paragrafi dell’incompiutezza di ogni discorso erotico.
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FACCE
Kim Ki-duk non gira film, ma dipinge quadri astratti: immagini-simbolo sovrastano la fisicità disordinata degli spazi, ideogrammi di una realtà invisibile ed enigmatica, forse divina, il cui acceso è precluso all’uomo contaminato dalla sua corporalità. La sua cinematografia si concreta in vicende esemplari di anime in cui confliggono la forza trascinante di una fisicità degradante e l’ aspirazione etica all’ ascesi : i protagoniste di Time si amano, ma lo fanno nel tempo e contro il tempo. L’amore assoluto vorrebbe l’eternità del possesso, ma l’essere umano può vivere solo la precarietà dell’istante. In Time però la cronaca delle passione costringe l’etereo genio dell’autore al volo raso terra: dialoghi al limite del patetico, tazzine rotte per rabbia, lifting e maschere, la commedia delle doppie identità, brusio discreto di comparse ubriache, situazioni quasi comiche, costituiscono gli illusori paragrafi dell’incompiutezza di ogni discorso erotico. Opera minore? Forse, ma nei dipinti ci si innamora dei particolari: il gesto dell’amante di Magritte, l’isola popolata da sculture abnormi e il complicato gioco delle facce a ricordare che dallo specchio a guardarci la mattina è solo lo sberleffo del dio-tempo.
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daniela db.
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lunedì 9 aprile 2007
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il vuoto di time
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E’ il quadretto di due giovani, una coppia alla moda, con una casa alla moda, che si prendono un caffè in un localino alla moda, e che sono amanti in un parco di sculture “alla moda” (per quanto discutibili).
Time non è il tempo che invecchia, è semplicemente il tempo che passa e rende le cose che abbiamo fin troppo usuali……non è una faccia che è cambiata ma è “la solita faccia noiosa”.
Così “l’altro” “il diverso” “il cambiare” sembra siano la chiave per la felicità.
Nel film la maggior parte delle facce è di giovani che lavorano, vivono da soli, convivono, ma sono dei ragazzini fragili, un prodotto di qualcosa di finto, di estetico, sono personalità leggere, quasi inesistenti. I tanti dialoghi sono vuoti.
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E’ il quadretto di due giovani, una coppia alla moda, con una casa alla moda, che si prendono un caffè in un localino alla moda, e che sono amanti in un parco di sculture “alla moda” (per quanto discutibili).
Time non è il tempo che invecchia, è semplicemente il tempo che passa e rende le cose che abbiamo fin troppo usuali……non è una faccia che è cambiata ma è “la solita faccia noiosa”.
Così “l’altro” “il diverso” “il cambiare” sembra siano la chiave per la felicità.
Nel film la maggior parte delle facce è di giovani che lavorano, vivono da soli, convivono, ma sono dei ragazzini fragili, un prodotto di qualcosa di finto, di estetico, sono personalità leggere, quasi inesistenti. I tanti dialoghi sono vuoti. Anche il socializzare è vuoto: il tentativo di coprire la solitudine col sesso, senza troppi raggiri, è una foto di oggi…… e … non è certo il Giappone di un tempo!
Quello che domina su tutto, anche sull’amore, è l’estetica al punto da ricorrere al bisturi con così tanta leggerezza, tanto per cambiare faccia per suscitare nuovo interesse verso la persona che si pensa di amare, che era solita lanciare occhiate verso altri “volti”.
Il semplice gesto di stringere la mano ad una persona che si ama è svuotato della sensazione di contatto e di calore per diventare un mezzo per constatare le misure giuste!
Senza riferimenti che possano costituire dei valori, la fragilità di See-hee si attacca morbosamente all’unica cosa che ha o che pensa di avere e la paura di perderla la porta alla pazzia: passa da scenate isteriche a gesti le cui conseguenze saranno disastrose per entrambi.
Il regista ci ha trasmesso una foto triste di un mondo frenetico, pieno di gente, ma bianco e solitario e Kim ki-duk non dà vie di scampo. Da Time non se ne esce, non c’è consapevolezza e redenzione, ma si ricomincia da capo, nell’usualità inevitabile.
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carlo vecchiarelli
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domenica 16 settembre 2012
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forse l'unico kim ki duk da evitare
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E' quasi liberatorio guardare l'opera di un regista che ormai unanimamente conta di altissima considerazione, e accorgersi della mediocrità di ciò che propone. Ciò da il senso di come le nostre proiezioni anticipino e ci preparino nelle situazioni in cui si ha una certa aspettativa, e per ogni film di Kim Ki Duk è fatale che sia così, dato l'altissimo livello di comunicatività, empatia e novità stilistica che si può godere nei suoi film. Ma trovarsi di fronte all'imbarazzo del dover giustificare un senso di irritazione e d'incredulità è comunque un'esperienza.
In "Time" quasi tutto è irritante, dalla sceneggiatura al limite dell'invisibile ai dialoghi da soap opera, fino alle interpretazioni banalmente sopra le righe.
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E' quasi liberatorio guardare l'opera di un regista che ormai unanimamente conta di altissima considerazione, e accorgersi della mediocrità di ciò che propone. Ciò da il senso di come le nostre proiezioni anticipino e ci preparino nelle situazioni in cui si ha una certa aspettativa, e per ogni film di Kim Ki Duk è fatale che sia così, dato l'altissimo livello di comunicatività, empatia e novità stilistica che si può godere nei suoi film. Ma trovarsi di fronte all'imbarazzo del dover giustificare un senso di irritazione e d'incredulità è comunque un'esperienza.
In "Time" quasi tutto è irritante, dalla sceneggiatura al limite dell'invisibile ai dialoghi da soap opera, fino alle interpretazioni banalmente sopra le righe. Un film che manca di una struttura vera, di una crescita con la storia e che ha oltretutto la pretesa di giustificare i difetti macroscopici sopra citati con la semplice interpretazione del titolo: un artificio questo, che tenta di lisciare il pelo allo spettatore invitandolo alla riflessione, ma in realtà ciò che scorre davanti agli occhi non ha le qualità per poter comunicare un tema così affascinante e profondo. Citare lo scorrere del tempo con la riproposizione delle stesse situazioni lo avrebbe potuto fare chiunque, e probabilmente meglio.
A ben vedere, più che un'occasione persa, sembra una tappa del percorso evolutivo del regista, senza dimenticare che girare 15 film in 12 anni, e riuscire a diffonderli dalla Corea fino alle mostre di cinema più importanti del mondo, è un'impresa che ammette ampiamente qualche passaggio a vuoto. Grazie comunque Kim Ki Duk.
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abesoj
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giovedì 5 ottobre 2006
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imbarazzante
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TIME segna il punto di non ritorno nella poetica di Kim Ki-duk, presentando un cinema ormai costipato da simbolismi inconsistenti e caricaturali. La capacità del cineasta coreano di estrarre l'essenza drammatica dagli oggetti e dalle situazioni sembra lontanissima, il suo cinema arranca faticosamente alla ricerca di un centro strutturale perduto fin dai tempi de LA SAMARITANA. FERRO 3, ultimo sussulto calligrafico di un autore ormai alla frutta, ha entusiasmato critica e pubblico in virtù di un malinteso senso del lirismo visivo. L'inconcludente L'ARCO prima e questo imbarazzante TIME ora mettono a dura prova anche gli spettatori meno avvertiti, privandoli di una base semantica sulla quale costruire il senso filmico e relegandoli a semplici osservatori di uno spettacolo penoso, quello dell'agonia creativa dell'autore.
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TIME segna il punto di non ritorno nella poetica di Kim Ki-duk, presentando un cinema ormai costipato da simbolismi inconsistenti e caricaturali. La capacità del cineasta coreano di estrarre l'essenza drammatica dagli oggetti e dalle situazioni sembra lontanissima, il suo cinema arranca faticosamente alla ricerca di un centro strutturale perduto fin dai tempi de LA SAMARITANA. FERRO 3, ultimo sussulto calligrafico di un autore ormai alla frutta, ha entusiasmato critica e pubblico in virtù di un malinteso senso del lirismo visivo. L'inconcludente L'ARCO prima e questo imbarazzante TIME ora mettono a dura prova anche gli spettatori meno avvertiti, privandoli di una base semantica sulla quale costruire il senso filmico e relegandoli a semplici osservatori di uno spettacolo penoso, quello dell'agonia creativa dell'autore. Simboli edificati sul nulla. Pessimo.
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(di lesterburnham)
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