Lo ammetto. Sono andato al cinema prevenuto. E ho visto il film in una saletta di provincia, in seconda visione. Perché tendo a diffidare dei battage pubblicitari, soprattutto dei film. Mi sono dovuto ricredere. Come i pomposi maghi della finanza che squadrano dall'alto in basso quelli diversi da loro. Quelli che non potranno mai appartenere alla loro casta, perché mai avranno le loro case, i loro figli, i loro sogni, le loro fuoriserie. E dunque... una sorpresa. O meglio la riconferma. Di un Muccino davvero inimitabile nel raccontare i sentimenti più difficili: quelli ovvi, normali, forse fuori moda. Che cosa c'è di più dirompente dell'amore di un padre verso un figlio? A che punto può arrivare il suo amore? Fino all'umiliazione od oltre? Un magistrale Will Smith (davvero da Oscar) ci conduce a perdifiato nella frenetica e spasmodica ricerca della felicità, che è davvero ad un passo perché già in noi. In ciò che siamo. In ciò che sappiamo di essere. O di poter essere. Un film per non arrendersi, per credere ancora nel silenzio fiducioso di un bambino, nella sua mano nella tua, nelle sue lacrime per il pupazzo perduto. Un film bello, perché vuole andare oltre al sogno americano: è una storia. Una storia. Forse anche la nostra.
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