Lost in Translation - L'amore tradotto |
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Un film di Sofia Coppola.
Con Bill Murray, Scarlett Johansson, Giovanni Ribisi, Anna Faris, Fumohiro Hayashi
Titolo originale Lost in Translation.
Sentimentale,
durata 105 min.
- USA 2003.
MYMONETRO
Lost in Translation - L'amore tradotto
valutazione media:
2,92
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Filmato il desiderio di voler essere.di Ludovica SorecaFeedback: 3 |
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giovedì 25 aprile 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
La prima inquadratura e’ forse piu’ significativa dell’ultima. O almeno, per Lost in Translation è sicuramente così. Il posteriore della Johansson come prima immagine su cui posare gli occhi sembra essere una trovata geniale, insolita, mai sperimentata prima. Il color pesca delle mutandine ( e ciò che si intravede da esse ) ci fa pensare ad un ingenuo erotismo che calza a pennello con l’interiorità e la psicologia. Non è un paradosso mostrare una quasi nudità per arrivare a far comprendere allo spettatore la ricerca di se stessi, che già dalla prima scena sembra squarciare lo schermo e bussare alla porta della coscienza del pubblico e urlare, una volta aperta, l’intero significato del film. Charlotte è una ragazza di 23 anni (circa) che decide di seguire suo marito a Tokyo per lavoro. Il film si sviluppa nella stanza dell’albergo in cui alloggia, tra le strade della metropoli, tra i giardini zen e i templi di Kyoto. Ma un altro ospite dell’albergo, che porta il peso di 30 anni in piu’ , possiede il disperato bisogno di allontanarsi dalla vita. La Coppola è stata molto chiara : non vuole raccontarci l’inizio di una storia e nemmeno la fine, cio’ che a lei interessa è rendere noto il mezzo, quello che succede in ogni percorso umano, prima che arrivi il punto di svolta , prima che l’essere prenda atto di se stesso, di ciò che desidera diventare nella propria esistenza. Straordinariamente melanconico il ritmo della narrazione ma mi preme definirla una melanconia vera, reale che non spaventa piu’ del dovuto, in cui si alternano azioni di evasione dalla ricerca di sé, evasioni mosse dal bisogno di svago dei due protagonisti. All’assordante rumore dei videogiochi giapponesi in una maniera impeccabile è contrapposto il gusto “ indipendente “ di vivere la città di Charlotte, che in tutto il film si gode i luoghi in cui passa il proprio tempo, come se tutto ciò che guardasse lo ingoiasse e lo facesse conforme al proprio stato d’animo. La figura di Bob è messa come supporto a quella di Charlotte. Rappresenta il desiderio bramoso di incontrare qualcuno quando ci sentiamo smarriti, qualcuno che è disposto ad alienarsi con noi e ci abbandoni quando abbiamo finalmente trovato lo spiraglio di luce. Lost in Translation non è una storia, ma quello che non viene raccontato della storia. Un susseguirsi di immagini ferme, che catturano l’attimo e lo intrappolano, in cui fluisce , quasi sempre flemmatico ,il senso dell’introspezione.
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