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Ultimo aggiornamento martedì 22 aprile 2025
Cassian è costretto a fuggire dal proprio pianeta. Anni dopo decide di cercare sua sorella e unirsi alla resistenza. La serie ha ottenuto 1 candidatura a Golden Globes, 1 candidatura agli Emmy Awards, 2 candidature a Critics Choice Award, 1 candidatura a SAG Awards, 2 candidature a Writers Guild Awards, 1 candidatura a Producers Guild, 3 candidature e vinto un premio ai Critics Choice Super,
CONSIGLIATO N.D.
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Universo di Star Wars, cinque anni prima degli eventi raccontati in Rogue One. La Ribellione è organizzata ma ancora lontanissima da poter anche solo pensare di poter impensierire l'Impero galattico, il quale controlla senza eccessivi patemi gran parte della galassia. La spia ribelle Cassian Andor è già attivo sul fronte ed è chiamato a spingersi fino al suo limite per contribuire alla causa.
La serie più importante dei nostri tempi, che usa la Galassia di Star Wars come veicolo per un inno alla resistenza
Recensione
di Andrea Fornasiero
Cassian Andor lotta nella resistenza contro l'impero di Palpatine, sotto la guida di Luthen Rael e della sua figlia putativa Kleya. Con la missione di rubare un caccia imperiale si ritrova però lontano dall'amata Bix Caleen e dal resto della sua squadra, prossima a essere scoperta dall'impero su un pianeta rurale. Nel mentre, su Coruscant, la senatrice Mon cerca di sfruttare l'amicizia con il banchiere Tay, ma le cose sono più complicate del previsto. A precipitare la situazione è però un altro evento: l'entrata in scena di Orson Krennic, il direttore della ricerca sulle armi avanzate, al diretto servizio di Palpatine. Krennic affida a un gruppo scelto di gerarchi, tra i quali Dedra Mero e il maggiore Partagaz, un importante compito: l'estrazione di un raro minerale sul pianeta Ghorman, che ridurrebbe quel mondo in rovina. Per far sì che la resistenza degli abitanti del pianeta non scateni un'insurrezione diffusa e sia invece bollata di terrorismo, Dedra suggerisce di infiltrare qualcuno tra i ribelli locali, un compito che affida all'ignaro compagno Syril Karn.
Torna con una seconda e ultima stagione, carica di riflessioni sulla propaganda, l'etica e il sacrificio, la serie forse più importante dei nostri tempi, che usa la Galassia di Star Wars come veicolo per un inno alla resistenza.
La libertà è un'idea pura, spontanea, mentre la tirannia richiede un controllo disperato per non andare in pezzi, perché è ontologicamente innaturale. Era questa la base ideologica del manifesto di Nemik e viene naturalmente ripresa in una seconda stagione dove la lotta contro l'impero, contro un Male assoluto, è immersa in una fitta foschia morale. Spie e doppiogiochisti, tradimenti e inganni, si annidano ovunque rendendo impossibile identificare anche la strada migliore o anche solo meno peggiore. Del resto è proprio della formazione di una Resistenza più strutturata, che esce dalla fase di una "armata delle ombre" per arrivare ai futuri scontri frontali, che racconta Andor, senza mai scegliere la strada più facile. L'arco narrativo della serie, anche nella seconda stagione in quattro atti da tre episodi, è una storia ricca di martiri, di scontri ideologici, di incomprensioni, fallimenti e tragedie. Le vittorie sono poche e piccole, ma nella incrollabile fede dei ribelli arrivano a costruire qualcosa di più grande.
Naturalmente sappiamo che non basterà Cassian Andor a far crollare il dominio dell'Impero, ma serviranno cavalieri dagli straordinari poteri, principesse e piloti con sprezzo del pericolo, in una storia molto rassicurante. Che non potrebbe essere più lontana da questo prequel, invece sempre doloroso, dove i protagonisti sanno che probabilmente non ne usciranno vivi e si aggrappano alla speranza che ne valga la pena. È su questo che verte il primo dialogo della nuova stagione, in cui Cassian cerca di rinfrancare le motivazioni di una imperiale che fa il doppiogioco per la resistenza. Un dialogo scritto dallo showrunner Tony Gilroy, che dà una bellissima risposta ai tormenti della ribelle impaurita.
D'altra parte la scrittura di tutta la stagione resta e un livello molto alto, con la collaborazione di Beau Willimon per il secondo terzetto di episodi e del nuovo arrivato Tom Bissell per gli ultimi tre - diretti per altro dall'ottimo Alonso Ruizpalacios. Il cast pure si fa carico, con palpabile senso di responsabilità, della gravitas del progetto, della sua attualità, e non scade mai in una retorica di routine restando sempre concentrato e credibile nel trasmettere sia la meschinità dei fascisti spaziali, sia la carica ideale dei ribelli. Spicca naturalmente Stellan Skarsgård, che nel ruolo di Luthen dà una delle interpretazioni migliori della sua carriera, ma non c'è una singola prova d'attore che non sia eccellente, persino tra i comprimari e i personaggi che appaiono per pochi episodi.
La regia è pure impeccabile nell'incedere di piani sequenza o nell'affastellarsi di montaggi alternati, in una gestione della suspense sempre efficace - anche perché i protagonisti della serie rischiano davvero la vita. Pur trattandosi di un prequel, sono infatti poche le figure che sappiamo dovranno arrivare fino al film Rogue One: A Star Wars Story e se togliamo Cassian, Saw Gerrera (che ha il volto di Forest Whitaker), Krennic e Mon Mothma nessuno è al sicuro e anzi è assai probabile che facciano una brutta fine. Inoltre, a differenza che nella saga cinematografica dove dominano le spade laser, qui i blaster dei soldati sono capaci di centrare il bersaglio e sono immediatamente mortali.
A ridurre la brutalità c'è l'assenza di sangue, visto che le armi uccidono sul colpo ma lasciano ferite già cauterizzate, però il gore non è davvero necessario di fronte alla costante tragedia in cui è immersa la serie. Andor, che Gilroy ha recentemente definito il suo «lavoro migliore in assoluto», ha il merito di insegnare la ribellione senza farne una cosa facile o stucchevole, trasfigurando le reali rivolte del nostro mondo e suggerendo loro le parole nel modo più divulgativo possibile, attraverso una radicale e sovversiva reinterpretazione del franchise di Star Wars.
La migliore serie di genere dell'anno. L'universo di Star Wars si tinge di realismo e malinconia
Recensione
di Andrea Fornasiero
Kassa è originario del pianeta Kenari, la cui etnia è stata pressoché sterminata dall'Impero. Portato in salvo da Marva, che diviene per lui una madre adottiva, ha assunto il nome di Cassian Andor e non si perdona di aver abbandonato la sorella su Kenari. Nel corso della ricerca di lei, viene avvicinato da due soldati dell'impero che lo aggrediscono. Li uccide e scappa sul pianeta Ferrix, dove grazie a Bix, una sua vecchia fiamma, entra in contatto con un ricettatore. Questi è in realtà un leader della nascente ribellione e coopta Cassian per operazioni di resistenza. Nel mentre Syril Karn, zelante ufficiale imperiale, indaga sui due soldati uccisi e si mette sulle tracce di Cassian.
Il prequel di Rogue One: A Star Wars Story, Andor, non solo è il titolo più maturo mai realizzato nell'universo di Star Wars: è anche la miglior serie di genere dell'anno.
Andor ha molte qualità ma per via del suo rigore difetta di una partenza a razzo, non a caso Disney+ ha lanciato la serie rendendo subito disponibili tre episodi, ossia il primo capitolo, che si concludono con un furto e una fuga tra molte sparatorie. Non si tratta però di un limite bensì di un pregio, perché dimostra fedeltà a un'articolazione complessa del racconto, meticolosa nel mostrare la complessità di una ribellione clandestina e allo stesso tempo gli imprevisti sempre dietro l'angolo. Soprattutto dimostra fiducia nell'intelligenza e nella concentrazione del pubblico, rifiutando di distrarlo con accelerazioni e digressioni d'azione forzate, mantenendo invece un ritmo dalla tensione che cresce sottopelle prima di esplodere. Pur se divisa in più piccoli archi narrativi di due o tre episodi l'uno, Andor non rinuncia alla coralità e innesta anche diverse trame orizzontali. Tra le quali spicca quella più politica, su Coruscant, dove Mon Mothma cerca di nascondere i fondi che sta passando sottobanco a Luthen Rael, il capo della resistenza interpretato da un fantastico Stellan Skarsgård. Il secondo "capitolo" della serie è dedicato a una rapina su un pianeta montuoso, ma Andor vanta anche una sezione carceraria e un finale propriamente rivoluzionario, con tanto di scontri di piazza, lancio di bombe e repressione dura per le strade - un tripudio di scene resistenziali che quasi non ci si crede si veda su Disney+. Sono in particolare questi ultimi cinque episodi a funzionare al meglio, capitalizzando sulla precisa costruzione di un ingranaggio a orologeria, che ha sincronizzato una gran quantità di elementi nel finale della prima stagione.
Una lode a parte meritano però le puntate carcerarie, che per certi versi sono quelle più compatte e isolate dal flusso della serie. Tanto che le ha scritte un altro sceneggiatore, l'ottimo Beau Willimon, noto per essere stato l'autore della House of Cards americana - da cui era comunque uscito prima delle ultime discutibili stagioni. Willimon, dopo l'immeritato fallimento della sua The First, nel 2018, era praticamente scomparso e ritrovarlo qui è un piacere, anche perché è tutt'altro che arrugginito. Per esempio il lungo dialogo tra la carceriera Meero e Bix, in apertura del nono episodio, è un vero pezzo di bravura, così come la costruzione dell'evasione è incalzante e ha momenti di grande retorica, nel senso più nobile del termine. Il resto della serie è tutta a firma di Tony Gilroy, già sceneggiatore di Rogue One, mentre alla regia si danno il cambio Toby Haynes (Jonathan Strange & Mr Norrell), Susanna White (Parade's End) e Benjamin Caron, che ha in curriculum il più bell'episodio di The Crown, quello con Churchill e il suo ritrattista. Un team di grande livello, accompagnato da un musicista del calibro di Nicolas Britell, e da un cast eccellente che oltre al già citato Skarsgård vanta: Diego Luna nei panni del riluttante eroe; Adria Arjona in totale controcasting rispetto ai ruoli da latina più o meno sexy; Andy Serkis capò in una delle parti migliori della sua carriera; Fiona Shaw pure in stato di grazia e non manca nemmeno una piccola parte per Forest Whitaker. Uno star power tenuto comunque attentamente sotto controllo, così come gli effetti speciali arrivano solo quando servono e sono per altro eccellenti, ma non fanno mai da palliativo a falle nell'intreccio. Del resto, come già Rogue One, Andor vuole avere un taglio più malinconico e realistico, senza buffi aliene né spade laser, contro un Impero che è davvero terrificante e perennemente sotto un cielo grigio, che rende più sporchi e reali anche i pianeti della galassia lontana lontana.