I giardini dell'Eden

Un film di Alessandro D'Alatri. Con Kim Rossi Stuart, Massimo Ghini, Saïd Taghmaoui Biografico, Ratings: Kids+16, b/n durata 0 min. - Italia 1998. MYMONETRO I giardini dell'Eden * * * - - valutazione media: 3,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Roberto Nepoti

La Repubblica

Ci informano le storie del cinema che, nei primi quattro anni della nuova arte, furono realizzati sette film sulla Passione e due su episodi della vita di Cristo. Da allora al 1910, il pubblico del cinema delle origini ne avrebbe visti altri diciotto. Con I giardini dell'Eden anche il nostro Alessandro D'Alatri affronta la più grande storia mai raccontata (e ripetuta): lo fa, però, ricostruendo episodi ignoti e apocrifi dell'infanzia e della giovinezza di Jeoshua. Dopo un prologo ambientato nel 1947, dove un pastorello rinviene misteriosi manoscritti del Mar Morto, vediamo Gesù ragazzo (con gli occhi scuri, che poi diventeranno azzurri come quelli di Kim Rossi Stuart) discorrere con i dottori del Tempio; quindi lo seguiamo fino alla soglia dei trent'anni, quando arruola gli Apostoli e dà inizio alla sua predicazione. Qui il film s'interrompe: sul più bello, dirà qualcuno, ma con l'inestimabile vantaggio di averci risparmiato per tutto il tempo l'estetica da presepe inflittaci da innumerevoli biopic sulla vita di Cristo. Frattanto, il Salvatore ha conosciuto gli zeloti, che volevano convertirlo alla rivolta violenta, visto all'opera il cugino Giovanni Battista, affrontato il Demonio nel deserto. Incidentalmente ha incontrato Massimo Ghini, nel "cammeo" di un minaccioso centurione romano a cavallo, e Lorenzo notti, in quello di un giovane combattuto tra vita monacale e fidanzata. Ha anche viaggiato: in India, come mostra una scena in cui Gesù contempla una statua del Buddha. I giardini dell'Eden è uno strano film, parzialmente irrisolto ma non privo di fascino. Non tanto per la bella fotografia di Federico Masiero (troppe nuvole in viaggio, però), per la regia controllata (con qualche eccesso di montaggio, che qui e là fa trapelare le origini pubblicitarie dell'autore) o per il complesso dei pregi formali, ma per ragioni più inaspettate. Perché questa storia non-ufficiale di Gesù Cristo ha un andamento da "romanzo di formazione", che evoca fortissime analogie con la storia ufficiale del Buddha. Come il principe Siddharta, Gesù passa dalla visione delle sofferenze umane (donne lapidate, violenze dei legionari romani, bambine vendute, stragi di predoni) per giungere a predicare la pace e l'amore; come lui apprezza oltremodo la saggezza e concepisce giardini dell'Eden in cui gli umani devono rendersi degni di entrare. Malgrado il taglio più sommesso, qualcosa (incluso il prologo) ricorda le scelte, quiete e meditative, di Bernardo Bertolucci nel Piccolo Buddha. Va anche reso merito a D'Alatri, e al suo cosceneggiatore Miro Silvera, per le scelte non predicatorie e per le battute di dialogo quasi mai sentenziose. Ciò che appare meno convincente, magari, è ottica New Age (pesantemente sottolineata dalla colonna musicale) con cui Jeoshua viene osservato: correndo, a tratti, il rischio di appiattirne la figura storica in quella di un serafico pacifista-ecologista mosso da una fede ultraterrena.
Da La Repubblica, 10 agosto 1998


di Roberto Nepoti, 10 agosto 1998

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