L'odore del sangue

   
   
   

Lietta Tornabuoni

L'Espresso

L’odore del sangue è il titolo di un romanzo che Goffredo Parise scrisse nel 1979. Era molto malato. Subito avvolse il dattiloscritto in una custodia, lo sigillò coi piombini e la ceralacca e lo chiuse in un cassetto. Non lo riaprì e non lo rilesse fino al giugno 1986. Non lo riscrisse né ritoccò. Pochi giorni dopo fu portato in ospedale e il 31 agosto morì. Non solo il titolo, anche l’argomento e l’epilogo de “L’odore del sangue”, ha scritto Cesare Garboli, «si connettono direttamente a un pensiero fisso, all’ossessione del sangue, nel cui odore dolciastro e nauseabondo Parise riconosceva l’origine della vita, la traccia crudele, e appunto sanguinosa, che lasciano alloro passaggio la gioventù e la passione di vivere».
Nella vicenda, a Roma, alla fine degli anni Settanta, un marito, uno psicoanalista legato a una ragazza, passata la cinquantina si sente tradito da una moglie con la quale ha vissuto a lungo un fantastico e avventuroso rapporto nutrito di sessualità platonica. La donna, una cinquantenne bella, si è innamorata di un giovane picchiatore dall’eterno giubbotto di pelle nera, un ragazzo, un teppista, un fascista dei quartieri alti dalle idee confuse, che si muove in branco e vive in palestra, con il culto della violenza e della forza fisica. Al marito la confessione della moglie non basta, vuole dettagli, particolari: cosa fanno insieme, com’è il sesso del ragazzo. Interrogando la moglie non stenta a identificare il meccanismo sentimentale, possessivo, nostalgico, masochista, che ha dato origine a un amore insensato e malato, che porterà a una fine fatale.
Parise non espresse il desiderio di pubblicare il testo, che venne ugualmente pubblicato dopo la sua morte (editore Rizzoli). Il romanzo non glI piaceva: e aveva ragione. Neppure un regista bravo come Mario Martone, traendone un film collocato nel nostro presente, è riuscito a migliorarlo. Neppure le varianti aiutano: il protagonista Michele Placido da psicoanalista diventa giornalista-scrittore, e questo mutila la sua curiosità, insistenza; il ragazzo amante della moglie Fanny Ardant, reso socialmente e politicamente impreciso, attenua lo scontro fra civili colti intellettuali e un barbaro violento; i dialoghi sessuali molto espliciti tra marito e moglie, trasferiti dalla pagina allo schermo, dalla lettura all’ascolto, suonano goffi. Tra gli interpreti recita con bravura Giovanna Giuliani, elaborata e naturale.
Da L’Espresso, 8 aprile 2004


di Lietta Tornabuoni, 8 aprile 2004

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