Peter Farrelley è stato bravissimo a dirigere film brillanti come "Scemo più scemo" , "Tutti pazzi per Mary" ecc. cioè film di grande successo di pubblico, grazie a storie paradossali raccontate e montate con abilità e umorismo. Con Greenbook ha voluto compiere un passo più in là, unendo ambiziosa critica sociale, difesa dei diritti umani, lotta alla discriminazione razziale con l'umorismo intelligente, in modo da risultare degno per gli Oscar: nominations che effetivamente ha ricevuto!
Nel film si sente la voglia di calcare i contrasti per rendere il tutto più saporito: il musicista nero Doc Shirley, del tutto improbabile nel suo stile principesco-educatissimo impettito, degno di un alto Lord inglese che impartisce lezioni di stile e educazione a un robusto buttafuori da bar bianco assunto come suo autista che è il suo esatto opposto: un tizio risoluto alquanto grezzo, cafone e pure squattrinato, ma per contrasto anche padre e marito premuroso. Trai due si istaura sin da subito il meccanismo dialettico hegeliano Servo/Padrone che finirà inevitabilmente per rovesciarsi nell'opposto laddove l'impettito padrone nero diverrà dipendente dal proprio rozzo servo bianco, divenuto indispensabile. È qui che sta il divertente paradosso: di solito il cinema ci ha abituato ai bianchi (padroni) che impartiscono lezioni ai neri (servitori) e mai l'esatto opposto. In questo rovescaimento, Farrelley ha un guizzo innovativo geniale, praticamente inedito. Prendendo a pretesto la storia vera del brillante pianista nero Dr. Doc Shirley (abbastanza ignoto in Europa), ci ha tuttavia aggiuntomolto del suo, tant'è che i familgiari di Shirely musicista, nonché che dell'autista Tony Vallelunga, all'uscita del film si sono lamentati per la poca veridicità dei personaggi - e non solo caricaturale. Il regista ha preso al volo tutti gli ingredienti politcally correct attuali, come la non discriminazione razziale (mai risolta del tutto), i pregiudizi omofobi (mai risolti nemmeno quelli), il servilismo verso le autorità e la corruzione (tuttora sempre esistenti) ecc. Alla fine non manca nemmeno la scena finale più scontata del cinema americano che vuole tutti riuniti attorno al tacchino di Natale, in perfetta sintonia e amicizia (sic).
Insomma: riscoperta della Hollywood ottimista d'un tempo, assieme alla fiducia nella famiglia e istituzioni americane, con la risoluzione (apparente) dei conflitti razziali, con un entusiastico "embrassons nous" finale. Nonostante certa scontatezza, va detto che c'è molto sano umorismo anche critico, ottima regia, ottimo ritmo di narrazione con due protagonisti d'eccezione come Mortensen e Mahershala Alì. Farrell ha centrato il bersaglio riuscendo a entusiasmare e persino a commuovere; ma poi, in perfetto stile americano, finisce subito per rovesciare la commozione in una risata risolutoria ove ogni problema sembra risolto. Egli ci insegna che restando classici e di qualità, .... non si sbaglia mai.
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