Ieri l'Empire State Building, il grattacielo simbolo di New York, ha spento le sue luci per 15 minuti. Non è stato un black out né un allarme terrorismo, che in questi giorni stringe d'assedio Manhattan, ma un segno di lutto e un inchino alla biondina che stretta nella gigantesca mano di King Kong è diventata un'icona del cinema. Fay Wray è scomparsa domenica sera all'età 96 anni. L'attrice è morta nel suo appartamento sulla Quinta strada, la stessa del «suo» Empire: «quando guardo l'Empire State Building sento che mi appartiene. O forse sono io che appartengo a lui?». Il celebre edificio la vide protagonista nel 1933 del film di Merian Cooper e Ernest B. Schoedsack, che resta tra i suoi cento titoli quello che l'ha resa immortale. Un film che intreccia il mito della Bella e la Bestia con quello dell'esotismo, del saccheggio reale e immaginario dei paesi fuori dalla modernità. Il gorilla, la natura nella sua forma spettacolare e mostruosa, è reso spettacolo, business e si vendica. La bellezza è sacrificata al commercio e nella foresta della metropoli si consuma la tragedia, King Kong è abbattuto ma prima di cadere dal grattacielo salva l'innocente protagonista dello show, Ann Darrow, l'amata piccola donna, tesoro riconsegnato agli uomini.
Bella, spiritosa ed elegante, Fay Wray cominciò la carriera quando ancora andava a scuola. Prima di girare King Kong, aveva lavorato con Erich Von Stroheim in uno dei suoi capolavori, Marcia nuziale (The Wedding March). Molti i ruoli interpretati accanto a William Powell, Richard Arlen e Gary Cooper. Arrivata a Hollywood nel 1912, era stata interprete di commedie popolari e poi di western per la Universal. A vent'anni il fatale incontro con von Stroheim. Emozionata «mi preparai con delle scarpe a tacchi alti e i capelli perfettamente in ordine...». Ma il regista era di bassa statura, e inoltre voleva una bionda, l'avvertì allarmato il manager. Fay tornò a casa, indossò scarpe basse e si sciolse i capelli. «Credi di poter interpretare la parte di Mitzi?» le chiese il cineasta, e al suo timido sì, la salutò (lei piangeva dalla gioia) con un «Bene, arrivederci Mitzi». La vita dell'attrice cambiò direzione: «Non trovai più un regista bravo come von Stroheim. La sua genialità era nell'infinita capacità di occuparsi dei particolari». Fay però ammetterà poi l'importanza del film di Cooper: «Con gli anni ho capito che King Kong è diventata una cosa spirituale per molti e anche per me», disse in un'intervista del 1993. L'attrice rifiutò anche una piccola parte nel remake del `76 con Jessica Lange. «Il film che ho interpretato io - rispose all'offerta - era così straordinario, così pieno di immaginazione e effetti speciali, che non potrà mai essere eguagliato».
Fay Wray sembrava una ragazza di 92 quando nel 1999 fece il suo ingresso alle Giornate del cinema muto che l'avevano invitata per il restauro di Marcia nuziale. In quell'occasione (intervistata da Giuliana Muscio per il manifesto) disse dell'esperienza meravigliosa con Stroheim («anche se ha la fama di personaggio difficile, era una persona gentile... amava gli estremi, le cose belle e quelle orribili») e di quella altrettanto straordinaria sul set di Merian Cooper, che dopo The Lost World «si era trovato per le mani un mostro, che voleva usare in un altro film e così è nato King Kong... Merian era entusiasta come un bambino col suo nuovo giocattolo». Ma come si sentiva stretta nella manona del mostro? «Naturalmente era solo un effetto speciale, per cui ci voleva immaginazione per interpretare la scena. Ma Cooper mi ha aiutato e mi ha suggerito di lavorare sulla registrazione del sonoro, sui rumori e sulle grida». La cosa più spaventosa, ricordava l'attrice «era la tendenza del gorilla a `lasciare la presa' mentre era sospesa in aria».
Fay ricorda che all'epoca interpretava 12 pellicole in un anno, «ogni quattro lunedì cominciavo a girare un altro film...». Era anche una scrittrice, una sua commedia - The Meadowlark - aveva ottenuto un grande successo. Scrivere, diceva, era un'attività che le piaceva molto, aveva tra l'altro, realizzato un libro di memorie, On the other hand. E negli ultimi anni si era dedicata a una raccolta di saggi, Scene by Scene as Seen by Fay Wray, anche perché non andava più molto al cinema: «Sembra che non si possa vedere altro che esplosioni. L'effetto sensazionale a tutti i costi non mi piace... Non mi piace che il sentimento sia qualcosa fuori moda. L'emozione che ti danno i film muti è ancora preziosa e significativa...». Ma il suo grido di terrore attraversa ancora New York e quando uno alza gli occhi sulla cima dell'Empire ha l'impressione di vederla ancora avvinta a Kong, al cinema.
Da Il Manifesto, 11 agosto 2004