Proprio pochi giorni fa mi era capitato di veder comparire Delia Scala, giovanissima e molto piccante, in una particina nel film «Grisbi» di Jacques Becker (1954), dov'era certamente finita, come si usava allora, per ragioni di coproduzione. Com'era carina! Ma in seguito si era scoperto che possedeva anche altre doti molto più rare. Intendiamoci, Odette Bedogni non era nata imparata, ma aveva lavorato su se stessa sempre e molto duramente. Diplomata ballerina alla Scala, donde lo pseudonimo che a un certo punto si scelse, era stata scoperta dal cinema molto presto, addirittura nel 1943 (Principessina di T. Gramantieri) e utilizzata in parti di graziosa più o meno ingenua, anche da Eduardo (Napoli milionaria) e da Steno e Monicelli (Vita da cani); fu tra l'altro in Bellezze in bicicletta di Campogalliani, in Roma ore 11 di De Santis (1952) e in molti altri film non dimenticati dei primi Anni Cinquanta. Ma nella seconda metà del decennio, mentre le sue partecipazioni cinematografiche pur mantenendosi numerose decadevano come qualità, cominciò, in anticipo sull'età in cui di solito lo fanno le sue colleghe, a pensare al teatro come alternativa; e apparve come Ariele in una Tempesta diretta da Franco Enriquez al festival shakespeariano di Verona. Il suo destino era tuttavia nel teatro leggero, anzi, nella commedia musicale, anzi, nella nuova commedia musicale, tra musical americano, commedia brillante e operetta europea, che Garinei e Giovannini stavano inventando a misura del pubblico italiano. Venne fuori che Delia Scala era nata per loro, e loro per lei. Oltre all'aspetto, dove si fondevano i due grandi richiami per il maschio latino, le indispensabili curve e l'aria di brava ragazza della porta accanto (e dimensioni non imponenti, tali da non intimidire nessuno); oltre al talento dell'attrice e alla disciplina della ballerina; oltre alla buona intonazione musicale; oltre a una non trascurabile dose di umorismo e di comunicativa, Delia possedeva in massimo grado la qualità indispensabile dei «performer» più grandi - mi è capitato di ricordarlo l'altro giorno a proposito di una sua collega - vale a dire l'energia. Si buttò nella nuova specializzazione con tutta la passione di cui era capace, e per molto tempo non ebbe rivali; anche adesso credo che chi abbia cominciato a frequentare quel genere di teatro in quegli anni non avrebbe esitazione a darle la palma di più grande di ogni tempo, almeno in Italia. Vogliamo ricordare i titoli? Buonanotte, Bettina! (1956-57), L'adorabile Giulio (1957-58), Un trapezio per Lisistrata (1957-58), Rinaldo in campo (1960-61), My Fair Lady (1963-64, questo non della coppia G&G!), Il giorno della tartaruga (1964-65), senza contare il «Delia Scala Show» (1961) costruito appositamente per lei. Come avrete notato, il titolo dello spettacolo spesso alludeva a lei, ma i suoi partner erano gente come Walter Chiari, Domenico Modugno, Renato Rascel e via dicendo. Trasferite in televisione, le commedie musicali mostrarono come Delia bucasse anche lo schermo piccolo (che veramente aveva già saggiato fin dal 1956 con «Lui e Lei», varietà di Metz e Marchesi), donde suoi trionfi anche qui, tra cui quello della leggendaria «Canzonissima» di Antonello Falqui, accanto a Nino Manfredi e Paolo Panelli (1959-60). Molto più di recente, dopo anni di assenza, ci furono episodi della «situation comedy» Casa Cecilia (1982-83) diretti da Vittorio De Sisti e infine Io e la mamma con Gerry Scotti. Nel frattempo c'erano stati svariati episodi tragici nella sua vita privata, tra cui una gravissima malattia e la scomparsa di tre grandi amori: in gioventù Eugenio Castellotti, corridore automobilistico morto in gara e poi Piero Giannotti, il primo marito, morto a Viareggio durante una passeggiata in bicicletta e il secondo marito Arturo Fremura. Lutti sempre affrontati dall'indomabile donnina con una grinta e con una grazia che sarebbero state ammirate da Hemingway. Amico da sempre dei suoi amici e spesso partner Paolo Panelli e Bice Valori, io la frequentavo l'estate, quando Delia, sposata prima a Viareggio e poi a Livorno, calava a trovarli a Castiglioncello, e di solito travolgeva la loro indolenza con il suo decisionismo: «Si fa questo gioco, si va a mangiare in quel ristorante, tra un'ora tutti a dormire». Non era prepotente, sapeva quello che voleva e lo aveva sempre saputo. E irresistibile com’era (tra l'altro, totalmente priva di malizia: era spiritosa, ma diretta, incapace di doppiezze), trascinava tutti noi, lietissimi di farci trascinare.
Da La Stampa, 16 gennaio 2003