
Titolo originale | Otapanje vladara |
Anno | 2025 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Montenegro, Italia, Francia, Croazia, Serbia |
Durata | 93 minuti |
Regia di | Ivan Salatic |
Attori | Marko Pogacar, Luka Petrone, Tea Ljubesic, Vanja Matic, Jakov Zovko Aleksa Lukic. |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento domenica 2 febbraio 2025
L'esilio nell'Italia meridionale di un poeta montenegrino e della sua corte, sullo sfondo delle lotte nazionaliste di metà Ottocento.
CONSIGLIATO SÌ
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Nel Montenegro di metà XIX secolo, da secoli sotto la dominazione ottomana e attraversato da spinte indipendentiste, il sacerdote e poeta Morlak governa un piccolo territorio montagnoso fedelmente accudito da suoi uomini, in particolare dal servitore Djuko. Gravemente malato di tubercolosi, Morlak si mette in viaggio con la sua piccola corte verso Napoli e l'Italia meridionale. La condizione d'esilio, la noia di lunghe giornate tutte uguali, la frequentazione di una nobiltà locale indifferente, indeboliscono poco alla volta Morlak e spingono Djuko ad agire perché il suo maestro non muoia lontano dalla sua patria.
Coprodotto dalla Rai, un dramma storico e contemplativo, liberamente ispirato alla vita del vero Petar II Petrovic Njegoš (1813-1851), principe-vescovo dell'allora neonato, ma non ancora riconosciuto, Montenegro.
La prospettiva scelta dal regista croato Ivan Salatic (al secondo lungometraggio dopo You Have the Night, presentato nel 2018 alla Settimana della critica di Venezia) per raccontare eventi documentati e poi liberamente ricostruiti è quella laterale del servitore di Morlak, il mite e insofferente Djuko, uomo privo di formazione ma totalmente dedito alla causa del suo maestro. La vicenda parte dal fantomatico ritrovamento di alcuni oscuri scritti poetici e politici dello stesso Djuko, probabilmente intenzionato a imitare la produzione poetica di Morlak. Nel tentativo d'emulazione del servo verso il padrone si coglie la natura della riflessione storica e identitaria del regista, che in tempi di nuovi nazionalismi pronti a infiammare nuovamente l'Europa riprende le riflessioni che nell'Ottocento accompagnarono la diffusione del concetto d'identità nazionale (nei Balcani, ma anche e soprattutto in Italia e Germania) e ne mina la tenuta intellettuale attraverso la vicenda di un poeta in fin di vita, stanco e disaffezionato alla sua battaglia, e dei suoi incerti emulatori. Figli di un sistema politicamente oppressivo, gli indipendentisti di Wondrous Is the Silence of My Master (cioè "Straordinario è il silenzio del mio maestro", anche se il titolo italiano dovrebbe essere La rinuncia del principe) sono consapevoli della loro debolezza, due volte strappati al loro mondo - la prima perché clandestini agli occhi del dominatore ottomano, la seconda perché costretti a trasferirsi nell'Italia meridionale - e costretti a vivere la paradossale condizione di apolidi legati alla loro terra. Tale condizione è riflessa nelle immagini del film, scritto e fotografato dalla stesso Salatic, il quale affronta la ricostruzione storica con uno stile visivamente e narrativamente molto controllato, con lunghe inquadratura fisse, dislocazione dei personaggi nello spazio, contrasti visivi e sonori tra il paesaggio montano della prima parte e quello marino della seconda, con in mezzo lo stupore di Morlak e dei suoi compagni, in fondo rozzi montanari, di fronte alle bellezze artistiche delle residenze nobiliari in cui sono ospitati nel regno borbonico.
Lo straniamento di Djuko, attratto dal maestro ma incapace di comprenderne i ragionamenti (è lui stesso a confessare il proprio smarrimento oppure a provare invidia verso un giovane montenegrino affascinato da Morlak), è dunque lo stesso dello spettatore, trasportato in un tempo lontano, messo di fronte alle parole e ai pensieri dei suoi protagonisti e alle complessità di questioni politiche e sociali che rivelano la finitezza di individui ambigui e contraddittori (che senso ha, per esempio, il gesto finale di Djuko? È liberatorio, oppressivo, interessato, disperato...?). Ogni cosa è del resto anticipata dalla primissima sequenza del film, in cui il profilo oscuro di Djuko emerge dalla nebbia, quasi a sottolineare come ogni tentativo di ricostruzione del passato sia ostacolato dall'impossibilità di vedere direttamente.... Senza essere Martone, che insiste maggiormente sui contrasti di idee e di caratteri delle fasi storiche che racconta (Noi credevamo potrebbe essere del resto un modello di Salatic), Wondrous Is the Silence of My Master sta dunque più dalle parti di opere come Zama di Lucrecia Martel (modello inarrivabile) o Unrest di Cyril Schäublin, che hanno tentato la via della ricostruzione storica con un cinema non più calligrafico ma al contrario astratto, interessato soprattutto a cogliere la materialità e la vastità del tempo.