Superstar

Film 2025 | Biografico, Commedia, Drammatico 60 min.

Regia di Claudia Costafreda, Nacho Vigalondo. Una serie Da vedere 2025 con Ingrid García Jonsson, Secun de la Rosa, Julian Villagran, Javier Gurruchaga. Cast completo Genere Biografico, Commedia, Drammatico - Spagna, 2025, Valutazione: 4 Stelle, sulla base di 1 recensione. STAGIONI: 1 - EPISODI: 6

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Ultimo aggiornamento venerdì 25 luglio 2025

Miniserie biografica che racconta le vicende che hanno portato Tamara a diventare una cantante pop di successo e un'icona negli anni 2000 della tv spagnola.

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 4,00
CRITICA
PUBBLICO
ASSOLUTAMENTE SÌ
Un coraggioso trattato visivo sulla mutazione della soggettività nell'era mediatica.
Recensione di Gabriele Prosperi
venerdì 25 luglio 2025
Recensione di Gabriele Prosperi
venerdì 25 luglio 2025

In un caleidoscopio di luci al neon, suoni sintetici e sogni improbabili, Superstar - prodotta da Netflix - racconta l'ascesa e la caduta di Tamara, poi Yurena, icona controversa della TV spagnola dei primi anni Duemila. Ogni episodio esplora la sua storia da un punto di vista diverso: la madre che ne gestisce la carriera, il compositore delle sue canzoni trash, i rivali bizzarri che l'accompagnano sul palcoscenico mediatico. La realtà si dissolve spesso nel surreale, mentre tra apparizioni, talk show, visioni mistiche e ricordi reinventati si delinea un ritratto multiplo di una donna che, suo malgrado, è diventata un simbolo pop.

Questa recensione non può che cominciare con un appello: che qualcuno, in Italia, un autore visionario o un produttore coraggioso, recuperi l'idea di Superstar e ne faccia una versione italiana.

O meglio ancora, una rilocalizzazione radicale, capace di pescare nel nostro archivio sentimentale e mediale, nelle infinite pieghe della nostra cultura televisiva del desiderio, della vergogna e della rovina.

Forse i nostri fenomeni non sono stati incapsulati in un nome preciso come "tamarismo", ma sono stati altrettanto diffusi, pervasivi e interclassisti. Dalla figura di Valeria Marini a quella di Pamela Prati, che da decenni popolano varietà, reality e rotocalchi tra culto e caricatura, fino a personaggi più laterali e irregolari come Lisa Fusco e Flavia Vento, e l'intero catalogo delle meteore del Grande Fratello: la televisione italiana ha coltivato e consumato con sistematica voracità figure femminili costruite sul confine tra glamour e naufragio.

È la grammatica della trash TV, certo, ma anche il linguaggio di un disastertainment perfettamente codificato, che trova la sua linfa nel piacere colpevole, nella fascinazione per il fallimento, nell'imbarazzo riflesso e riciclato che spinge a guardare mentre si vorrebbe distogliere lo sguardo. Donne mediatiche che, tra paillettes e scandali, hanno incarnato intere stagioni culturali e sono state risucchiate e ridicolizzate da un sistema che si è nutrito della loro esuberanza, delle loro fragilità e della loro solitudine. Superstar dimostra che si può raccontare tutto questo con rispetto, stile, empatia e ironia. Ed è esattamente il tipo di racconto che manca oggi in Italia.

La regia di Nacho Vigalondo trasforma questa miniserie in un piccolo trattato visivo sulla mutazione della soggettività nell'era mediatica. I sei episodi, ciascuno costruito come uno specchio distorto, raccontano una Tamara diversa a seconda dello sguardo di chi la osserva. È una struttura fluida, frammentaria, che privilegia l'impressione alla cronaca, il gesto simbolico al fatto nudo. L'ibridazione dei registri - melodramma, farsa, realismo magico, musical pop e satira - è sorprendentemente coerente, perché sempre funzionale a raccontare l'oscillazione di Tamara tra figura pubblica e soggetto vulnerabile, tra caricatura e destino, ma senza mai raggiungere quella consapevolezza piena e quella forza autoriale che hanno permesso ad altre - pioniere e ribelli, come Raffaella Carrà (non a caso citata anche in questa miniserie) - di diventare registe del proprio personaggio, artefici della propria narrazione e del proprio successo.

Qui, al contrario, non si tratta di emancipazione, ma di un continuo assecondare lo sguardo altrui, di una soggettività modellata dagli occhi che la osservano e dai riflettori che la deformano. Anche chi non conosce il fenomeno del tamarismo, né i suoi personaggi reali, può cogliere la forza evocativa di questo racconto. La serie si rivela, a ben vedere, come un'indagine culturale su un momento preciso in cui la televisione ha smesso di raccontare storie per iniziare a produrre identità. Siamo nel cuore dei primi anni 2000, quando la realtà diventa spettacolo, e lo spettacolo diventa la realtà di chi vi partecipa, quel passaggio fondamentale - oggi del tutto istituzionalizzato - in cui i personaggi smettono di essere in cerca d'autore e inizia una stagione in cui sono le persone in cerca di personaggi.

La fotografia gioca un ruolo fondamentale in questo processo. Il contrasto tra la plastica fluorescente dei salotti televisivi e i toni malinconici degli interni familiari riflette la doppia identità di Tamara: il personaggio e la persona. Ogni ambiente è iperrealistico e innaturale: è il kitsch elevato a gesto poetico, una sorta di archeologia emozionale che trasforma oggetti comuni - un telefono fisso, una tenda a fiori, una VHS - in simboli pop distorti e perturbanti. Viene spontaneo pensare a David Lynch, non tanto per le atmosfere inquietanti, quanto per la capacità di evocare il mistero che si annida nella superficie più banale.

La sceneggiatura adotta una struttura quasi pirandelliana: ogni episodio è la verità soggettiva di qualcuno su Tamara. Il montaggio asseconda questa struttura, alternando ritmi forsennati a sospensioni meditative, fino a culminare - ogni volta - in una danza finale, un ballo al ralenti che fonde il protagonista della puntata con la propria visione di Tamara. È una scelta registica straniante e ipnotica, che fa pensare ancora una volta a Lynch: quei momenti sembrano inviti a guardare dietro il sipario, a scorgere la meccanica fragile delle illusioni mediatiche.

È una visione formativa, in senso pieno. Superstar istruisce sul potere delle immagini, sulla violenza dolce della televisione, sull'osceno travestito da intrattenimento. E stupisce la sua capacità di essere perfettamente comprensibile anche a chi, come noi spettatori italiani, non conosce il contesto spagnolo: la grammatica del trash, del successo improvviso, del fallimento pubblico è, purtroppo, una lingua comune.

Ed è qui che torno al mio appello iniziale. In Italia, una serie come questa manca. Abbiamo avuto esperimenti di satira feroce e metatelevisiva come Boris, che però si è fermata alla critica interna al sistema. Abbiamo prodotto fiction su santi, preti, chef e carabinieri, ma quasi mai abbiamo guardato con umanità e coraggio alla nostra cultura pop. Eppure, le storie ci sono: figure ai margini, comprimarie del sogno televisivo italiano, vittime e complici di un immaginario che ancora ci appartiene. Superstar dimostra che è possibile raccontare queste vite senza giudizio, con grazia e sfrontatezza. Serve solo la volontà di farlo.

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Gabriele Prosperi

Le vicende che hanno portato Tamara a diventare una cantante pop di successo e un'icona della tv spagnola. Su Netflix. Vai all'articolo »

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