Matares

Film 2019 | Drammatico, +13 90 min.

Anno2019
GenereDrammatico,
ProduzioneAlgeria
Durata90 minuti
Regia diRachid Benhadj
AttoriAli Damiche, Kobe Alix Hermann, Hacene Kerkache, Anis Salhi, Dorian Yohoo .
Distribuzione30 Holding
RatingConsigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
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Regia di Rachid Benhadj. Un film con Ali Damiche, Kobe Alix Hermann, Hacene Kerkache, Anis Salhi, Dorian Yohoo. Genere Drammatico, - Algeria, 2019, durata 90 minuti. distribuito da 30 Holding. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13

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Ultimo aggiornamento martedì 26 maggio 2020

Due bambini, divisi da nazionalità e religione, entrano in conflitto.

Consigliato assolutamente no!
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Se una bambina ivoriana di 8 anni dà lezioni di Storia.
Pino Farinotti
lunedì 9 dicembre 2019
Pino Farinotti
lunedì 9 dicembre 2019

Mi capita quotidianamente di ricevere link o vimeo di film in uscita. Mi dispongo sempre con la speranza di trovare qualcosa che valga la pena di raccontare. Mi accade raramente. Ma qualche volta ecco l'opera che non passa inosservata, che possiede qualità, soprattutto l'intenzione magari ideale, legittima e utopistica - ma per l'arte, e per il cinema, è un dovere - di cambiare il mondo. E non alludo a pronunciamenti astratti e corali, ma a piccole storie individuali, modelli semplici e forti alla portata immediata di tutti. Il film è Matares, diretto dall'algerino Rashid Benhadj.

Matares è la storia della piccola Mona, di otto anni, che dalla Costa d'Avorio ha raggiunto l'Algeria con la sua famiglia. Il padre è riuscito a varcare il Mediterraneo per dare a moglie e figlia almeno una sopravvivenza, in attesa di essere raggiunto. Mona, che è cristiana, per raccogliere il denaro vende fiori ai turisti, che non mancano nella zona di Matares, un suggestivo cimitero riservato ai bambini dei dignitari romani.

Caro ad Albert Camus, lo scrittore franco-algerino, premio Nobel, che su una lapide ha fatto incidere queste parole: "Qui capisco cosa chiamiamo gloria, il diritto di amare senza misura". Lo scenario di Matares è vasto e magnifico, rovine che richiamano quelle di Palmyra, è un valore estetico che ti fa un film. Le prime parole sono di Mona, voce fuori campo: "C'era una volta un uomo che si chiamava Adamo. Lui ed Eva vivevano in paradiso, avevano tutto ciò che desideravano, ma un giorno fece una stupidaggine bella grossa. Credo che avesse rubato una mela. Quando dio venne a saperlo si arrabbiò e cacciò entrambi dal paradiso. Sulla terra la vita non era facile. Adamo ed Eva dovevano lavorare per poter vivere. Ma un giorno Adamo fu costretto a lasciare la sua Africa, sua moglie e anche i suoi bambini. Andò altrove per trovare qualcosa da mangiare. Cercò per interi giorni ma non trovò cibo per la sua famiglia. Decise di riposarsi, dopo di che si rimise in viaggio".

Metafora ingenua, ma chiara. La vita per la bambina non è facile, deve raccogliere soldi e se non lo fa viene punita. Incontra Said, algerino, musulmano, poco più grande di lei. Il primo approccio è difficile "sporca negra vai a vendere altrove, questa è zona mia". Ma a poco a poco il rapporto cambia, Mona è personalità ferma e decisa, è lei la leader. I due si capiscono, si attraggono, si integrano, sono di mistica diversa ma diventano parte una dell'altro. La vita è molto dura, i grandi sfruttano, puniscono, sono violenti. Mona è costretta a offrire il corano, lei, così legata al suo Gesù. Said alla fine la cerca ma non la trova più. Gli dicono che Mona è stata portata via con sua madre.

I significati trasmessi da Matares sono racchiusi nella vicenda della bambina ma possono essere ridotti a una sintesi, al grande nodo di questa epoca: accogliere o non accogliere. I media pongono il quesito ad ogni ora di ogni giorno. La politica, e la società, si dividono. Ciascuno porta i propri argomenti, che si contrappongono. Una parte ti dice: "i migranti rubano, spacciano, stuprano, delinquono in proporzione di gran lunga maggiore dei residenti. Oppure li vedi bighellonare nei paesi e nelle periferie stravolgendo il sistema di vita". È la lettura di una parte. L'altra parte ti dice: "sono una forza nuova e buona indispensabile all'economia, sono degli 'ultimi' vergognosamente sfruttati dal caporalato e dalla criminalità, e come fai a non accogliere bambini e donne incinte. A lasciarli sul mare o... in fondo al mare".

Poi c'è la gente, frastornata dalle immagini e dalla propaganda. Da una parte teme per il proprio sistema di vita, per un equilibrio che verrà stravolto, per un parente che non troverà lavoro perché il sistema ormai privilegia gli stranieri. Dunque come fai a orientarti? Nessuno, dico nessuno, è in grado di dettare una soluzione possibile. Ma un dato è chiaro, ed è incontestabile, apodittico: la migrazione non si fermerà, è nel suo destino. Non fermi i ghiacci che si sciolgono, la temperatura della terra che sale, la transumanza, come non si sono fermate le grandi migrazioni nei secoli. Lo dice la natura e lo dice la storia. Laggiù in Africa, il grande viaggio verso la felicità non è un'opzione di qualcuno, è una necessità ed è una vocazione generale che si rafforza attraverso le visioni e il passaparola disperato di un continente. Una vocazione inarrestabile. E le civiltà ne stanno prendendo atto, ma ancora con dubbi, prudenza e una parte di angoscia.

Ma fra poco il meccanismo dovrà scattare. E allora cosa succederà? Anche questo nessuno lo sa, ma le nazioni, le società, la terra, dovranno assumere una convivenza, un compromesso, perché nessuno&niente è perfetto, lo sappiamo, ma si può vivere da imperfetti. Certo dovremo rivedere la formula iniziale del diritto alla felicità, i nostri figli e nipoti dovranno gestire un insieme di caratteri e di colori diversi. Ma il mondo, nella sua storia, pure con perdite dolorose... è ancora qui. Siamo ancora qui. E qualcuno è persino felice.

Mi sono concesso una tiritera un po' enfatica. Ma sono un autore, un artista e come tale, per definizione, sto con gli ultimi. Anch'io ho delle paure. Ma poi vedo quelle centinaia di africani a cavalcioni di una gomma di due millimetri di spessore, quattro per metro quadrato. E ricordo quelle navi che facevano rotta dall'Africa verso le Americhe, con gli schiavi sistemati su un fianco, quattro in un metro, per sfruttare al massimo lo spazio. Tutto questo dalla vicenda di una bambina della Costa D'Avorio. Vorresti accoglierla e proteggerla, vorresti adottarla.

Alla fine, prima dei titoli di coda, scorre questa notizia: "Il film si ispira alla storia dei 13mila emigranti africani espulsi dal territorio algerino negli ultimi due anni. La piccola Mona e sua mamma hanno fatto parte di un gruppo di donne e bambini che sono stati espulsi, abbandonati senz'acqua né cibo al sud del Sahara. Tra gli altri rifugiati africani che hanno partecipato a questo film, alcuni hanno pagato con la vita il loro sogno e riposano nel fondo del Mediterraneo. I più fortunati, malgrado abbiano visto la costa italiana, si sono visti rifiutare l'entrata".

Dorian Yohoo è la bambina che fa Mona. Dopo il film è scomparsa. Di lei non si sa più niente. Dunque il suo messaggio assume forza ancora maggiore.

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venerdì 20 novembre 2020
Pino Farinotti

Disponibile su VatiVision una piccola storia di amicizia e complicità sullo sfondo della tragedia delle migrazioni. Vai all'articolo »

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lunedì 9 dicembre 2019
Pino Farinotti

Accogliere o non accogliere: è il grande nodo di questa epoca, un nodo che in qualche modo va sciolto. Di Pino Farinotti. Vai all'articolo »

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