
L'ennesima ottima interpretazione di Isabelle Huppert impreziosisce un'opera multiforme, che si destreggia tra la commedia e il policier senza essere né l'uno né l'altro. Da giovedì 14 ottobre al cinema.
di Tommaso Tocci
Raro esempio di equilibrismo tra i generi capace di tenere un passo morbido e delicato, il nuovo film di Jean-Paul Salomé costruisce attorno a Isabelle Huppert un'opera multiforme, che si destreggia tra la commedia e il policier senza essere né l'uno né l'altro, insoddisfatto delle convenzioni e della rigidità come lo è la sua protagonista, nell'ennesima interpretazione di livello di un mostro sacro del cinema contemporaneo.
Il cittadino modello che decide di reinventarsi fuorilegge produce, al cinema come in TV, una tensione sempre uguale: da un lato occorre necessariamente dissacrare le strutture del poliziesco perché il personaggio ne è una presa in giro vivente; dall'altro c'è bisogno che la sua ascesa abbia un'anima seria per legittimarla. Breaking Bad ci riusciva alimentato da una spietata critica alla mascolinità, e La padrina ne è un piacevole contraltare europeo e al femminile, appena abbozzato nella sua giocosa nonchalance ma sorprendentemente ricco.
Formidabile e sfuggente, la padrina sfrutta le ambiguità della traduzione per creare nuovi personaggi e realtà alternative, mettendosi in tasca il tragitto emozionale tra le lingue di partenza e di arrivo. Così facendo diventa non soltanto esso stesso un riuscito esempio di traduzione tra i generi cinematografici, ma un elemento di un discorso aperto nella filmografia recente di Isabelle Huppert, incastrandosi alla perfezione tra Elle, Frankie, Le cose che verranno ed Eva. Una galleria di donne in transito che la diva francese sa rendere enigmatiche al mondo ancor più che a se stesse.