claudiarammy
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martedì 28 novembre 2017
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bel film
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Che vi devo dire a me è piaciuto, l'ho trovato un buon film, forse un po' troppo lungo. L'unica critica che sono in grado di fare sono alle gote della Ferilli che mi ricorda la mia infanzia, topo gigio
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monade74
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sabato 25 novembre 2017
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un gioco di specchi
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Se è vero che chi fa il male riceve il male e chi fa il bene altrettanto riceve, nel film "The place" se ne ha l'applicazione pratica. Un uomo senza nome riceve ogni giorno, in qualunque momento della sua giornata, persone. Nello stesso bistrot, seduto sulla stessa sedia a guardare la vita degli altri, alcuni (molti) dei quali hanno bisogno di comunicargliela, quella vita. Ogni individuo porta con sé una storia, e un desiderio. L'Uomo dichiara realizzabile ogni desiderio, purché si assolva a un compito, non sempre "giusto". Anzi, molto spesso il compito da portare a termine è aberrante, e gli sessi postulanti ne sono spaventanti. "Puoi sempre rinunciare", dice lui. Ma l'ego viene prima di ogni cosa: il bisogno del momento diventa "ate", l' accecamento di cui sono vittima i personaggi della tragedia greca.
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Se è vero che chi fa il male riceve il male e chi fa il bene altrettanto riceve, nel film "The place" se ne ha l'applicazione pratica. Un uomo senza nome riceve ogni giorno, in qualunque momento della sua giornata, persone. Nello stesso bistrot, seduto sulla stessa sedia a guardare la vita degli altri, alcuni (molti) dei quali hanno bisogno di comunicargliela, quella vita. Ogni individuo porta con sé una storia, e un desiderio. L'Uomo dichiara realizzabile ogni desiderio, purché si assolva a un compito, non sempre "giusto". Anzi, molto spesso il compito da portare a termine è aberrante, e gli sessi postulanti ne sono spaventanti. "Puoi sempre rinunciare", dice lui. Ma l'ego viene prima di ogni cosa: il bisogno del momento diventa "ate", l' accecamento di cui sono vittima i personaggi della tragedia greca. E così, per alcuni di loro, la realizzazione del desiderio porta davvero con sé una tragica contropartita. Succede anche che si rinunci. E allora può accadere un miracolo, o può non accadere nulla. Anzi, può accadere tutto. Può accadere che ci si renda conto della necessità di aprirsi un varco oltre il proprio naso, per rendersi conto dell'esistenza di altri individui, altre storie, altri mondi. Il film di Genovese è sostanzialmente questo: un rincorrersi di egoismi in una spirale che da qualche parte si spezza. Come in una "stanza della tortura" i personaggi parlano con l'uomo (un Valerio Mastrandrea superbamente sfingico) come specchiandosi, interrogandosi, lacerandosi. Lui mostra qualche cedimento quando il libero arbitrio del committente va oltre le attese, spesso in pericolose derive. Il film è riuscito, ma in parte. L'operazione di una storia corale, come in "Perfetti sconosciuti" è meno convincente, e l'attenzione dello spettatore è concentrata soprattutto sull'identità di quell'individuo che non è facilmente identificabile come demonio o come angelo. E, mentre gli intrecci tra gli avventori del bistrot diventano facilmente prevedibili nel dipanarsi della trama, è proprio l'Uomo quello che spiazza, lasciando aperti degli interrogativi che non trovano risposta.
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nuovotaw
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sabato 25 novembre 2017
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uno dei migliori film italiani visti ultimamente
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Non raconto la trama del film ,ma vado al sodo.Purtroppo siamo abituati a vedere dei film comici,senza capo nè coda e appena capita un "incidente di percorso" ci troviamo spaesati. Complimenti al regista ed agli attori.
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(di mariocicala)
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giovedì 23 novembre 2017
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bocciato
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la tecnica di girare il film in 20 MQ questa volta non ha funzionato l'incasso è dovuto solo alla scia del successo di perfetti sconosciuti per me si fermerà e dimenticheremo prestoìì
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(di claudiarammy)
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graziac
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giovedì 23 novembre 2017
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il coraggio di cambiare
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Tutto è già stato detto e fatto, in ogni arte. Detto ciò, non ritengo peccato originale rimarcare un tema già ampiamente trattato in molte salse, al cinema: il trovarsi di fronte ad un bivio, il bene ed il male che si confrontano ed a volte si somigliano paurosamente.
Apprezzo l'impostazione teatrale data alle scene, la mancanza di distrazione dal tema principale, che a volte risulta soffocante, ma trovo giusto che, dato il peso del tema, l'attenzione resti ferma su questo. Una ineluttabilità aleggia proprio lì dove, invece, si pone l'argomento della scelta possibile: ad ognuno di noi spetta il compito di riflettere, anche se il dilemma è appena accennato.
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Tutto è già stato detto e fatto, in ogni arte. Detto ciò, non ritengo peccato originale rimarcare un tema già ampiamente trattato in molte salse, al cinema: il trovarsi di fronte ad un bivio, il bene ed il male che si confrontano ed a volte si somigliano paurosamente.
Apprezzo l'impostazione teatrale data alle scene, la mancanza di distrazione dal tema principale, che a volte risulta soffocante, ma trovo giusto che, dato il peso del tema, l'attenzione resti ferma su questo. Una ineluttabilità aleggia proprio lì dove, invece, si pone l'argomento della scelta possibile: ad ognuno di noi spetta il compito di riflettere, anche se il dilemma è appena accennato.
Attori straordinari, si, ma avrei una richiesta per un regista che fa del cast uno dei suoi punti di forza: la prossima volta, possiamo far fare il poliziotto a Borghi, il cieco a Giallini, la suora a Silvia D'Amico, la ragazzetta ad Alba Rohwacher, solo per fare degli esempi? Scombinare un po' le carte, mettendo gli attori in posti dove non sono mai stati, potrebbe arricchire il film e le loro interpretazioni, che altrimenti risultano ripetizioni di ruoli già visti.
Per quanto riguarda Mastandrea, esprime una malinconia stanca e gelida, umana allo stesso tempo; il suo volto incarna perfettamente il dolore profondo di chi conosce l'animo umano. Davvero, non so chi altro avrei potuto vedere al suo posto.
Anche la Ferilli è molto se stessa, è vero: ma in modo in cui risulta spontanea, quasi limpida nella sua semplicità.
Un buon film, senz'altro perfezionabile, ma per nulla disprezzabile.
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luigiiodice
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martedì 21 novembre 2017
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speriamo che questo plagio non sia segno di decadenza
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Quello che c'è di buono in "The Place" (soggetto, trama, intrecci, personaggi, belle battute) è di "The booth at the end", la serie tv che il film traspone, a tratti goffamente, in una versione cinematografica italiana. La serie è stata presa, tradotta sbrigativamente (ma tradotta letteralmente, battuta per battuta, scena per scena), girata con attori da cartellone e presentata ad un festival come lungometraggio (sia la serie sia il film durano 2 ore). La sensazione poi è che Genovese non abbia veramente capito il senso della serie da cui ha tratto il film, la sua potenza. Si è limitato a ripetere una successione di scene e dialoghi già fatti da altri. Da quel Christopher Kubasik che appare solo di sfuggita nei titoli e che ne è il vero autore.
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Quello che c'è di buono in "The Place" (soggetto, trama, intrecci, personaggi, belle battute) è di "The booth at the end", la serie tv che il film traspone, a tratti goffamente, in una versione cinematografica italiana. La serie è stata presa, tradotta sbrigativamente (ma tradotta letteralmente, battuta per battuta, scena per scena), girata con attori da cartellone e presentata ad un festival come lungometraggio (sia la serie sia il film durano 2 ore). La sensazione poi è che Genovese non abbia veramente capito il senso della serie da cui ha tratto il film, la sua potenza. Si è limitato a ripetere una successione di scene e dialoghi già fatti da altri. Da quel Christopher Kubasik che appare solo di sfuggita nei titoli e che ne è il vero autore. Il soggetto non è liberamente tratto da. Il soggetto è quello. E sono sicuro di non stare rivelando niente di nuovo, se ne sono già accorti in tanti. A coloro che ancora credono che il film sia originale e che lo apprezzano in quanto una "nuova buona idea italiana", rivolgo l'invito di vedere la serie, anche solo i primi minuti. Penso che Genovese, forse per impazienza o per superficialità (non voglio pensare sia stato per pigrizia) si sia lasciato sfuggire una grande occasione. L'occasione di un'opera d'arte cinematografica, di una grande narrazione. Perché il racconto, qui, non emoziona. Sebbene l'idea da lui individuata fosse buona. Avrebbe avuto tutte le carte in regola per far provare paura, rabbia, curiosità, ansia, coinvolgimento, tristezza... Invece ha solo tradotto i dialoghi che ne parlavano. Peccato. Un compito copiato male.
Spero che The Place sia solo un inciampo del cinema italiano e non una sua nuova tendenza. Perché in questi ultimi anni film come Perfetti sconosciuti, Lo chiamavano Jeeg Robot, Smetto Quando Voglio e Indivisibili sembravano averci fatto ben sperare in idee originali veramente
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[+] io non guardo la tv
(di claudiarammy)
[ - ] io non guardo la tv
[+] hanno tradotto dall'inglese all'italiano
(di mariocicala)
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martedì 21 novembre 2017
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bene e male
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L'estrema vicinanza tra il bene ed il male; un film dalle caratteristiche poco consuete per il cinema italiano. Molto affascinante e aperto a tante riflessioni sull'animo dell'uomo, alle sue luci ed alle sua ombra. Consigliato
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enricodanelli
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lunedì 20 novembre 2017
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distillato di ùbris
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Non è la fotografia della realtà, ma la concentrazione della realtà. Il distillato di mille storie, vere e/o romanzate, che si accavallano nella nostra memoria. Il succo più sincero, onesto e immediato di migliaia di anni di letterarura sul tema dell'uomo di fronte al fato, alla sorte o al destino che dir si voglia. Lasciamo stare la realizzazione di tutto ciò (peraltro più che soddisfacente a cominciare dalle intense recitazioni): se il tema trattato qui è altissimo e le ambizioni del regista altrettanto, la sensibilità dello spettatore non può essere quella di Perfetti sconosciuti (film pur impegnato e intelligente, ma non impegnativo).
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Non è la fotografia della realtà, ma la concentrazione della realtà. Il distillato di mille storie, vere e/o romanzate, che si accavallano nella nostra memoria. Il succo più sincero, onesto e immediato di migliaia di anni di letterarura sul tema dell'uomo di fronte al fato, alla sorte o al destino che dir si voglia. Lasciamo stare la realizzazione di tutto ciò (peraltro più che soddisfacente a cominciare dalle intense recitazioni): se il tema trattato qui è altissimo e le ambizioni del regista altrettanto, la sensibilità dello spettatore non può essere quella di Perfetti sconosciuti (film pur impegnato e intelligente, ma non impegnativo). Qui viene richiesta una capacità di astrazione e di sintesi, senza le quali il film non viene compreso, rischiando di risultare noioso. La sintesi è che il destino gioca a dadi con gli uomini, ma non è mai malevolo pur nella apparente crudeltà : il destino (o Provvidenza con la P maiuscola per chi ci crede) ci prepara un intreccio di storie più o meno drammatiche, richiede prove più o meno difficili, ma alla fine il lieto fine è facilmente raggiungibile se l'uomo, per il solito delirio di onnipotenza, si astiene dall'andare oltre quello che gli viene chiesto. Non è un caso che tutte le storie vedono un happy end, ad eccezione di quelle dove i protagonisti (il meccanico, Rocco Papaleo, e la moglie insoddisfatta, Vittoria Puccini), pur raggiunto l'obiettivo, chiedono al destino qualcosa di più e prendono iniziative personali sentendosi invincibili (sfidano gli dei), con ciò decretando la loro tragica rovina. Come detto ottime recitazioni, anche quella della qui ruspante Sabrina Ferilli, perfettamente calata in un personaggio semplice che si rivela poi essere la figura più enigmatica di tutto il film. Questo film è cibo per la mente e per lo spiritio.
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dalia
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lunedì 20 novembre 2017
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placatevi, o critici!
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Non sono d'accordo con l'ultima parte della recensione. Mi è piaciuto moltissimo il mood del film, la scelta di far vedere tutto attraverso "i dettagli", riportati dalle ottime performance dei vari attori sui quali svetta - a mio parere - un incantevole maturo Mastandrea. Ed ho trovato le diverse "storie" per lo più credibilissime e ben scritte: un poco più deboli, forse, le dinamiche dell'anziana "bombarola" e del mitomane meccanico... ma in ogni caso compensate dalle mirabili interpretazioni di Lazzarini e Papaleo. Penso vi sia una supponente "esterofilia" in certa Critica che porta a non riconoscere mai sino in fondo la qualità del Cinema italiano, quando c'è. E c'è, secondo me.
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Non sono d'accordo con l'ultima parte della recensione. Mi è piaciuto moltissimo il mood del film, la scelta di far vedere tutto attraverso "i dettagli", riportati dalle ottime performance dei vari attori sui quali svetta - a mio parere - un incantevole maturo Mastandrea. Ed ho trovato le diverse "storie" per lo più credibilissime e ben scritte: un poco più deboli, forse, le dinamiche dell'anziana "bombarola" e del mitomane meccanico... ma in ogni caso compensate dalle mirabili interpretazioni di Lazzarini e Papaleo. Penso vi sia una supponente "esterofilia" in certa Critica che porta a non riconoscere mai sino in fondo la qualità del Cinema italiano, quando c'è. E c'è, secondo me. Anche i francesi (per fare un esempio su tutti) fanno opere importanti ma impefette... ma Oltralpe si concede tutto e la Critica italiana, anche un pò supinamente, è più indulgente. Comunque grazie, importante è creare opinione e veicolare.
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