valeriato
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martedì 23 gennaio 2018
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il caso del plagio di una serie tv al cinema
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Nel caso di plagio sollevato da The Place mi sembra che l'aspetto più interessante sia che il film è più o meno la traduzione in italiano di una serie americana Netflix.
Il successo al botteghino (solo in parte giustificao dalla sua uscita in sala in più di 500 copie per tre settimane) mi pare affermi allora il prevalere di un certo stile televisivo anche sul grande schermo.
Dino Risi una volta disse "la tv vive di cinema ma il cinema muore di tv". Questo film potrebbe essere una conferma di questa morte del cinema. Un regista affermato, Genovese, ha scelto non solo di riprendere una serie ma anche di farlo pedissequamente, scegliendone una della durata di un lungometraggio (8 puntate da 15 minuti per un totale di 2 ore) e ricopiandone dialoghi, trame, scenografie, personaggi e movimenti dei personaggi.
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Nel caso di plagio sollevato da The Place mi sembra che l'aspetto più interessante sia che il film è più o meno la traduzione in italiano di una serie americana Netflix.
Il successo al botteghino (solo in parte giustificao dalla sua uscita in sala in più di 500 copie per tre settimane) mi pare affermi allora il prevalere di un certo stile televisivo anche sul grande schermo.
Dino Risi una volta disse "la tv vive di cinema ma il cinema muore di tv". Questo film potrebbe essere una conferma di questa morte del cinema. Un regista affermato, Genovese, ha scelto non solo di riprendere una serie ma anche di farlo pedissequamente, scegliendone una della durata di un lungometraggio (8 puntate da 15 minuti per un totale di 2 ore) e ricopiandone dialoghi, trame, scenografie, personaggi e movimenti dei personaggi. Per paura, per mancanza di tempo o per scelta stilistica?
Qualunque sia la risposta, il risultato è stato un "prodotto" medio, in cui la tensione viene smorzata sul nascere dalla prevedibilità di uno script che fatica a far montare la suspence, si incaglia in inutili ridondanze e non regla nessuna emozione. inferiore alla maggior parte di quello che oggi è ormai possibile vedere standosene comodamente a casa.
Il cinema, che in sala ha vissuto prima la concorrenza della tv e ora dei nuovi media, in The Place sembra aver rinunciato alla sua specificità. Questo piegarsi al gusto Netflix, ovvero della piattaforma che più di tutte sta influenzando le nuove generazioni, appare a tutti gli effetti come una resa.
La speranza è che possano manifestarsi ancora autori capaci di invertire questa tendenza.
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[+] interessante analisi, riprendo
(di luigiiodice)
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[+] ho letto che li hanno già denunciati per plagio
(di vincenzori)
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[+] quanta superficialità !
(di teresa70)
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petri
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sabato 20 gennaio 2018
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bellissimo !!!
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Il film mi ha stregato ! Diverso da tutto ciò che si vede in giro.
Molto interessante anche l'operazione di adattamento della serie americana ( ho amato anche quella ) , trovo che nel formato film si godano molto di più le storie dei personaggie e il fatto di dare a tutti un finale compiuto ( cosa che nella serie non c'era ) è interessante.
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vincenzori
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lunedì 11 dicembre 2017
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un film pretenzioso e irritante
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Dieci bravi attori da cartellone e una domanda da grande storia: "Cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che desideri?". Il film si apre su un bar colorato di periferia, con Mastrandrea seduto al tavolo in fondo alla sala. E lì rimane. Lì rimane Mastrandrea e lì rimane anche il film. I vari personaggi che gli sfilano davanti entrano, pronunciano battute da esercitazione teatrale, escono. Per due ore.
The Place avrebbe potuto essere una grande opera, grande come l'idea da cui prende origine (il mistero semplice e metafisico della serie The Booth at the End) e con cui si vende.
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Dieci bravi attori da cartellone e una domanda da grande storia: "Cosa saresti disposto a fare per ottenere quello che desideri?". Il film si apre su un bar colorato di periferia, con Mastrandrea seduto al tavolo in fondo alla sala. E lì rimane. Lì rimane Mastrandrea e lì rimane anche il film. I vari personaggi che gli sfilano davanti entrano, pronunciano battute da esercitazione teatrale, escono. Per due ore.
The Place avrebbe potuto essere una grande opera, grande come l'idea da cui prende origine (il mistero semplice e metafisico della serie The Booth at the End) e con cui si vende. Si è infranto invece su una sequela di dialoghi banali e battute altisonanti. E attori che non possono credere a quello che gli tocca dire.
I film in un ambiente unico con più personaggi si possono fare, e con Perfetti sconosciuti Genovese ha già dimostrato che si possono fare alla grande. Ma non puoi pretendere di affrontare temi alti (la vita e la morte, il bene e il male, la violenza, Dio e il trascendente) con parole così povere, personaggi così piatti, trame così prevedibili.
La noia che ho provato vedendo questo film potrebbe riflettere la superficialità con cui è stato scritto.
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giorgetta
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domenica 10 dicembre 2017
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la condanna dell'angelo caduto
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Un locale sormontato dalla scritta al neon The Place, un signore seduto a un tavolino che riceve dei postulanti con la stessa imperturbabile calma: un film fatto di niente, quello di Genovese, che però invoglia alla discussione e si presta a varie interpretazioni.
Ne azzardo una. Valerio Mastrandrea, misterioso artefice di un patto, che permetterà a chi lo sottoscrive di realizzare un desiderio impossibile, al prezzo di un pegno pagato con azioni spesso depravate, potrebbe essere un angelo caduto, che deve fare il mestiere di Satana, anche se non gli piace. Il suo compito è tentare l’uomo, prospettando miracolose conquiste. Il prezzo da pagare è chiaro, ma il postulante sembra non vederlo: è troppo accecato dalla brama di realizzare il suo sogno.
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Un locale sormontato dalla scritta al neon The Place, un signore seduto a un tavolino che riceve dei postulanti con la stessa imperturbabile calma: un film fatto di niente, quello di Genovese, che però invoglia alla discussione e si presta a varie interpretazioni.
Ne azzardo una. Valerio Mastrandrea, misterioso artefice di un patto, che permetterà a chi lo sottoscrive di realizzare un desiderio impossibile, al prezzo di un pegno pagato con azioni spesso depravate, potrebbe essere un angelo caduto, che deve fare il mestiere di Satana, anche se non gli piace. Il suo compito è tentare l’uomo, prospettando miracolose conquiste. Il prezzo da pagare è chiaro, ma il postulante sembra non vederlo: è troppo accecato dalla brama di realizzare il suo sogno. L’angelo non può nè spingerlo ad accettare il patto, nè dissuaderlo dal compiere il misfatto. Il suo mestiere è quello del tentatore: il resto spetta alla scelta del soggetto. Nè lui, nè Dio possono fermare un uomo che vuole uccidere unicamente per il proprio tornaconto. Senza questa clausola non esisterebbe la libertà, solo potendo scegliere fra il bene e il male l’uomo può essere autonomo. Per questo, pur nella incredibile miseria della sua condizione, lacerata da un continuo avvicendarsi di passioni contrastanti, l’uomo è posto a un gradino superiore all’angelo caduto, che deve fare da spettatore alla malvagità umana senza poter intervenire.
L’unica mossa che compete al tentatore è quella di intrecciare a bella posta le incombenze dei vari personaggi: ad esempio, chi deve uccidere una bambina si troverà di fronte chi ha il compito di proteggerla. Ma non è detto che questo stratagemma funzioni: l’uomo, con la sue perverse fantasie, è in grado di complicare anche gli orditi più semplici, fino a raggiungere il paradosso. Chi doveva proteggere la bambina la rapirà in un accesso di mania di grandezza. Ogni errore commesso dagli attori del copione prescritto finisce per riverberarsi sugli altri: tutti resteranno incastrati in una serie di cause ed effetti che creano nuovi insospettati scenari.
Interessante il fatto che l’unica persona che cerca un arricchimento dell’anima, la suora che vuol sentire di nuovo Dio, deve infrangere i precetti del suo ordine per rimanere incinta. Come dire che la vera ricerca spirituale non può basarsi su un supino rispetto delle regole, su un’abdicazione alla vita: occorre farsi sporcare dall’esistenza per capire chi siamo veramente, per fare una scelta pienamente consapevole, invece di barricarsi in un comodo rifugio dal mondo.
La totale neutralità e impassibilità dell’angelo resta tale anche se la transazione mette sul piatto della bilancia visceri e sangue, o se viene accusato di essere un mostro, perfino quando viene lui stesso minacciato, per una bomba che una sua cliente vuole porre nel locale; il contratto, registrato su un album scritto fittamente a mano, può essere bruciato solo dopo la revoca o il compimento da parte del contraente.
Alla fine Angela, la ragazza del locale, potrà forse liberarlo da questa condanna: un angelo che ha messo al primo posto l’amore e non la superbia.
Un film metafisico dunque, una parabola sul libero arbitrio e sull’interconnessione dei destini umani, che l’impianto teatrale a scena unica rendono più netta e quasi didascalica.
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marco.vittorio.defilippis@gmail.com
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venerdì 8 dicembre 2017
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ottimo film italiano, tutto da godere.
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Io vado al cinema per vedere uno spettacolo e per ricevere ciò che il regista vuole comunicare. In un film poco soddisfacente manca uno dei due aspetti o è insufficiente o addirittura mancano entrambi. Questo film è eccellente. Il regista sollecita l'immaginazione dello spettatore in un modo bellissimo ed efficacissimo. Ciò che io ho colto dal messaggio del regista credo possa anche andare molto al di là di quello che Genovese voleva dire e rappresentare. "The place" è un film sul campo quantistico delle persone e sull'osservatore (l'uomo con l'agenda seduto fisso al tavolino) che rende possibile la creazione della realtà dei "clienti".
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Io vado al cinema per vedere uno spettacolo e per ricevere ciò che il regista vuole comunicare. In un film poco soddisfacente manca uno dei due aspetti o è insufficiente o addirittura mancano entrambi. Questo film è eccellente. Il regista sollecita l'immaginazione dello spettatore in un modo bellissimo ed efficacissimo. Ciò che io ho colto dal messaggio del regista credo possa anche andare molto al di là di quello che Genovese voleva dire e rappresentare. "The place" è un film sul campo quantistico delle persone e sull'osservatore (l'uomo con l'agenda seduto fisso al tavolino) che rende possibile la creazione della realtà dei "clienti". Non è possibile qui descrivere tutto ciò che viene implicato a livello scientifico e matematico da questo film, ma credo sia importante cogliere la nuova "morale" che viene presentata, una morale quantistica, che esce completamente dagli schemi aristotelici e per questo ci fa enormemente paura: non importa ciò che agiamo, ma quanto siamo determinati nel raggiungere il nostro obiettivo. L'equazione che regola il pricipio di indeterminazione di Schrödinger trova il suo autovettore (una delle possibili sue soluzioni, nota anche come collasso della funzione d'onda) nella determinazione del nostro obiettivo. Mirabile il finale, che non dico per non guastare la visione a chi legge senza aver visto ancora lo stupendo film. Un ultimo commento rivolto a chi vuole forzatamente trovare in un nuovo lavoro delle conferme e dei rimandi a lavori precedenti che avrebbero in qualche modo "ispirato" questo film. Per quale motivo risentirsi se tali conferme non ci sono o sono "travisate"? Io vado al cinema per godere di uno spettacolo e The place mi ha fatto godere immensamente. Questo è buon cinema italiano!
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sylla
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martedì 5 dicembre 2017
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una brutta pagina di cinema italiano
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Non so se esistano altri casi come The Place nella storia del nostro cinema: una serie presa e copiata quasi per intero, battuta per battuta. Cosa succederà quando tutti si accorgeranno che il film non ha nulla di originale, che è un plagio di un film americano? Che si può rivederlo una seconda volta guardando The booth at the end? Personalmente non mi era mai capitato di assistere a qualcosa del genere.
Nell'originale manca il cieco e la sfida della violenza sessuale, ma per il resto è identico, e mi pare pure migliore.
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Non so se esistano altri casi come The Place nella storia del nostro cinema: una serie presa e copiata quasi per intero, battuta per battuta. Cosa succederà quando tutti si accorgeranno che il film non ha nulla di originale, che è un plagio di un film americano? Che si può rivederlo una seconda volta guardando The booth at the end? Personalmente non mi era mai capitato di assistere a qualcosa del genere.
Nell'originale manca il cieco e la sfida della violenza sessuale, ma per il resto è identico, e mi pare pure migliore. In The Place viene raccontato tutto di The Booth at the end ma con più freddezza e non emoziona.
Considero questo film di Genovese uno scivolone, dovuto forse alla fretta di sfruttare la scia di Perfetti Sconosciuti. Rimango in attesa del suo prossimo. Sperando che decida di ricominciare a lavorare sulla sceneggiatura (invece di prenderne una già fatta da un americano poco conosciuto). Per regalarci qualcosa di buono.
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[+] una furbata
(di mariocicala)
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lunedì 4 dicembre 2017
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palloso
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ellebi
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sabato 2 dicembre 2017
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questione di scelte...
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C'è un uomo seduto sempre allo stesso tavolo, a quasiasi ora del giorno e della notte, in un angolo di un ristorante bar.
Tiene sempre un quaderno a portata di mano , a volte vi annota qualcosa, a volte, assorto, legge...
Non si sa nulla di lui, ma sin dalle prime scene è evidente quanto sia un "essere" in bilico fra angelo e demone , venuto ad alimentare il mostro che si nasconde dentro ognuno di noi in quanto, sostiene: "la gente è in grado di fare molto più di quello che crede, anche le cose più orrende" , se questa è l'unica opportunità per dare vita ai desideri più grandi, quelli in apparenza irrealizzabili.
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C'è un uomo seduto sempre allo stesso tavolo, a quasiasi ora del giorno e della notte, in un angolo di un ristorante bar.
Tiene sempre un quaderno a portata di mano , a volte vi annota qualcosa, a volte, assorto, legge...
Non si sa nulla di lui, ma sin dalle prime scene è evidente quanto sia un "essere" in bilico fra angelo e demone , venuto ad alimentare il mostro che si nasconde dentro ognuno di noi in quanto, sostiene: "la gente è in grado di fare molto più di quello che crede, anche le cose più orrende" , se questa è l'unica opportunità per dare vita ai desideri più grandi, quelli in apparenza irrealizzabili...
E' iniziato così un viaggio interiore (che pur non avendomi convinta per come è stato sviluppato) mi ha coinvolta nella scoperta delle parti più oscure dei personaggi della storia, aprendo anche interrogativi di sostanza dentro di me...
E' stato importante alla fine uscirne con la rassicurante consapevolezza di quanto la vita sia sempre una questione di scelte.
Sono quelle che ci permettono di difendere o recuperare la nostra umanità, invece di cedere alle tentazioni peggiori...
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ninoraffa
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venerdì 1 dicembre 2017
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l'uomo dei dettagli
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Seduto a tutte le ore in un bar di periferia, un uomo ha potere di soddisfare i desideri. Un prevedibile viavai di persone siede al suo tavolo con le richieste più varie – dalla bellezza alla notte infuocata con una starlette – e lui le accontenta. Naturalmente in cambio di qualcosa. Il prezzo richiesto l’uomo lo legge in un libro-quaderno che ha sempre davanti, e può consistere in azioni innocue come aiutare delle vecchiette ad attraversare la strada, difficili come rimanere incinta per una suora, oppure criminali come violentare una donna o uccidere una bambina. Non c’è un nesso evidente tra desiderio e corrispettivo. L’uomo si definisce come uno che chiude degli accordi, insiste con tutti che sono liberi di accettare o meno, e sembrerebbe quasi sollevato se loro rifiutassero.
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Seduto a tutte le ore in un bar di periferia, un uomo ha potere di soddisfare i desideri. Un prevedibile viavai di persone siede al suo tavolo con le richieste più varie – dalla bellezza alla notte infuocata con una starlette – e lui le accontenta. Naturalmente in cambio di qualcosa. Il prezzo richiesto l’uomo lo legge in un libro-quaderno che ha sempre davanti, e può consistere in azioni innocue come aiutare delle vecchiette ad attraversare la strada, difficili come rimanere incinta per una suora, oppure criminali come violentare una donna o uccidere una bambina. Non c’è un nesso evidente tra desiderio e corrispettivo. L’uomo si definisce come uno che chiude degli accordi, insiste con tutti che sono liberi di accettare o meno, e sembrerebbe quasi sollevato se loro rifiutassero. Non gl’importa come le azioni chieste in cambio vengano portate a termine, gl’interessa però conoscerne i dettagli che va scrivendo sul suo libro. Non chiede né sembra interessato a compensi per sé.
Chi è l’uomo che abita il bar? Etichettarlo non è agevole e forse non ha troppa importanza. Un subordinato dio gnostico, un diavolo post-moderno, una sgualcita parca in abiti d’ufficio, un sacerdote-profeta spossato e scettico? Scena dopo scena scopriamo un essere saturo di destini, assonnato e insonne, incredulo al bene e al male, rassegnato alla cieca volontà degli uomini, che non fa nulla per dissuaderli o sedurli, che ha quasi pena di accontentarli, che scrive e soprascrive nel suo libro sacro le loro azioni, ovvero i dettagli che gli stanno tanto a cuore. Un essere, che intuiamo soprannaturale, indifferente e forse decaduto, a cui rimane l’unico potere di leggere nella sua caotica scrittura le combinazioni spesso delittuose che realizzeranno i desideri umani. Un essere in possesso, e forse posseduto, dal dono dubbio di sfogliare nel suo libro la trama unica del mondo, ovvero l’incessante intrecciarsi e collidere di tutte le vite, e lo sfasciarsi, e qualche volta il ricomporsi di ogni vita con i pezzi delle altre.
Dall’altra parte del tavolino i suoi clienti: dominati da un’unica idea, potenzialmente assassina come tutte le idee assolute, fosse anche quella di salvare un figlio, oppure sentire Dio; liberi di rifiutare l’accordo, eppure già scritti nel libro che viene scritto e riscritto con le loro stesse scelte; capaci di scambiare e confondere bene a male, di mostruosità a partire dalle migliori intenzioni, d’inattesi riscatti dopo una serie di abiezioni. D’idee assassine si muore, si uccide, ma si può anche risorgere.
Se The Place, il bar, fosse un luogo fisico potrebbe rappresentare il paradiso perduto in cui si è insinuato il caos; oppure il tempio dissacrato in cui offriamo i nostri voti, talvolta abietti, in cambio d’incerte preghiere che neppure comprendiamo. Ma ci sono altre soluzioni. Se il luogo fosse il teatro della nostra coscienza, l’uomo che lo abita - l’uomo dei desideri - sarebbe uno specchio: il limite indicibile che siamo disposti a superare per soddisfare un’ossessione, come pure il conflitto interiore attraverso cui possiamo liberarcene.
Angela è la proprietaria del bar. E’ veritiero il suo nome? A sera fa le pulizie e rassetta la sala, come un principio d’ordine nel caos; parla d’amore e si siede davanti all’uomo, unica a non chiedergli qualcosa. Prova (invano) a farlo ridere, e lui in tutta la storia ha un unico sguardo d’umanità proprio riferito a lei. Angela gli sta di fronte alla pari, oppure è superiore proprio in virtù del suo amore? L’ultima inquadratura riserva una sorpresa e (forse) una speranza. Si brucia un altro desiderio, il libro passa di mano, e l’uomo si trova dall’altra parte del tavolo. Ha anche lui qualcosa da chiedere? O addirittura, sin dall’inizio, il ruolo di dispensatore di destini è il prezzo sgradito pagato in cambio di qualcosa che anche lui ha chiesto? Oltre Angela c’è qualcun altro? La spirale dei desideri e dei prezzi - il gioco di specchi - da qualche parte finisce? Chi guarda dall’alto la strada, e l’interno del bar attraverso la vetrata? Esiste veramente qualcuno là fuori?
Interrogativo e plurimo quest’ultimo film di Paolo Genovese, tratto dal soggetto originale della serie “The booth at the end”. Girato dentro un bar in perfetta unità di luogo, The Place completa la triade aristotelica d’unità di azione e tempo nel meccanico susseguirsi di movimenti scenici, di giorni e notti. Privo di avvenimenti, se non quelli raccontati dai personaggi, lo svolgimento è tutto giocato sui dialoghi, sul non detto, su espressioni e sfumature. Ottimo Valerio Mastandrea, affiatati e all’altezza gli altri comprimari, una menzione speciale per Alba Rohrwacher perfetta nella parte. The Placepostula domande, insensate per molti, cruciali per altri, neppure ipotizzando soluzioni. Domande che comunque difficilmente contemplano un’unica risposta. Almeno da questa parte della realtà.
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[+] il limite estremo del desiderare
(di cesare)
[ - ] il limite estremo del desiderare
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tmpsvita
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martedì 28 novembre 2017
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un film che si accontenta di essere discreto
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"The Place" (2017) 105'
RATING: 6,5/10 🌕🌕🌕🌘🌑
Dopo il grandissimo ed inaspettato successo di "Perfetti Sconosciuti" Paolo Genovese torna al cinema con questo "The Place".
Si tratta di un film estremamente particolare, audace e sperimentale, per questo Genovese ha sfruttato intelligentemente questa ondata di popolarità, per realizzare qualcosa di poco commerciale senza fallire al botteghino.
Come il film precedente, questo si rivela essere una boccata d'aria fresca al cinema nostrano che, con due/tre film all'anno, dimostra di voler ancora tornare ad essere cinema di qualità ma soprattutto originalità.
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"The Place" (2017) 105'
RATING: 6,5/10 🌕🌕🌕🌘🌑
Dopo il grandissimo ed inaspettato successo di "Perfetti Sconosciuti" Paolo Genovese torna al cinema con questo "The Place".
Si tratta di un film estremamente particolare, audace e sperimentale, per questo Genovese ha sfruttato intelligentemente questa ondata di popolarità, per realizzare qualcosa di poco commerciale senza fallire al botteghino.
Come il film precedente, questo si rivela essere una boccata d'aria fresca al cinema nostrano che, con due/tre film all'anno, dimostra di voler ancora tornare ad essere cinema di qualità ma soprattutto originalità.
Anche in questo caso si tratta di un film veramente difficile, perché, a causa della sua singolarità, percorre durante tutta la sua durata su di un sottile filo teso tra due grandi bivi: nel primo si rivela essere un pessimo film, completamente assurdo, noioso, presuntuoso ed irritante, dall'altro invece si rivela, come poi è stato per "Perfetti Sconosciuti", un autentico gioiellino che emoziona, appassiona, coinvolge.
Ecco, "The place" si accontenta, forse per paura di saltare nella parte sbagliata e quindi correre un rischio, di riuscire a stare in piedi sul quel filo ed arrivare al traguardo senza strafare.
Ciò lascia lo spettatore, alla fine del film, un po' con l'amaro in bocca perché aveva tutte le carte in regola per poter diventare un capolavoro ma come ho detto si accontenta, si accontenta di essere semplicemente un film piacevole che ha come grande pregio quello di spronare, anche se mai troppo, le menti degli spettatori.
Quello che è ormai certo, vista questa ennesima conferma, è la grande maestria, professionalità ed ambizione con la quale Genovese gira ogni suo film, in particolar modo questi ultimi due nei quali si è saputo muovere in luoghi ristretti e situazioni difficili, in maniera precisa, fluida e coinvolgente.
Nel cast poi spiccano nomi come quello di Giallini, Mastandrea, Papaleo, Ferilli e Lazzarini ed altri; interpreti straordinari che rappresentano buona parte dell'attuale cinema italiano, quello di qualità.
Ho apprezzato particolarmente la fotografia: colori scuri, tristi, stanchi, in alcuni casi risultano quasi accennati, insomma una fotografia sicuramente inusuale nel nostro cinema ma che rispecchia ed esalta perfettamente l'atmosfera e lo spirito del film.
Purtroppo non posso dire lo stesso della sceneggiatura che tra varie forzature, in alcuni casi funzionali in altri necessarie, si fa strada accompagnata un ritmo molto lento che, in più casi, rischia di cadere nel noioso e di trascinare il film nella ripetitività, rischio fortunatamente sempre scampato. Il problema più grosso sono, però, i dialoghi che la compongono: da in film del genere, che si regge quasi completamente su di essi, ci si dovrebbe aspettare qualcosa di più.
Intendiamoci, i dialoghi non sono scritti in malomodo, anzi sono abbastanza buoni e scritti in maniera intelligente e ben elaborara, il punto è il loro contenuto che non mi ha soddisfatto quanto avrebbe dovuto.
Durante tutto il film ho aspettato che in mezzo a tutte quelle parole disposte ottimamente ma banali e, dopo un po', prevedibili, spuntare fuori una frase d'impatto, di quelle che ti lasciano a bocca aperta per la loro potenza, il loro suono ed il loro significato. Ed invece niente... il film finisce e una piccola insoddisfazione rimane dentro di me.
Per concludere.... un film sulle seconde possibilità, su quelle perse, sul destino, sulla difficoltà della vita, sull'ipocrisia e su tanti altri temi importanti.
Niente però è sviluppato totalmente, il film emoziona il giusto anche se comunque rimane per questo aspetto alquanto dimenticabile ma in generale gradevole e più che sufficiente
VOTO: 6,5/10
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