NO SPOILER Agosto/Settembre 2017. Esce in Italia l'ultimo, atessissimo e acclamato film di Christopher Nolan. Molte le discussioni sul ritenere questo film un capolavoro o meno. Ecco perché andrebbe considerato tale, ignorando indiscutibili qualità già elogiate da moltissimi altri recensori.
Per decenni nella guerra cinematografica abbiamo visto sul grande schermo storie di epiche e vittoriose battaglie, storie romantiche con i bombardamenti a fare da sfondo, con personaggi caratterizzati fino all'osso, dei quali conoscevamo quasi tutto. Personaggi a cui il pubblico, affezionatosi, non esitava a regalar loro qualche lacrima nei momenti più drammatici. È una delle tante regole della settima arte: lo sviluppo di un arco narrativo e una caratterizzazione profonda di un personaggio affinché il pubblico possa trovare sintonia con esso. Metodo ritenuto fondamentale in quasi tutti i film, bellici inclusi.
Nolan però sovverte a questa regola, mettendo in scena un cast corale che ci regala personaggi privi di alcuna caratterizzazione o di qualsiasi arco rilevante. Nessun protagonista. Nessun personaggio memorabile. Nolan prende 400 000 uomini e li sbatte in un purgatorio in terra: si riesce a vedere il paradiso, ma alle spalle incalza l'inferno. Un'esperienza bellica viscerale, il cui scopo è quello di angosciare lo spettatore, farlo aggrappare alle proprie poltrone, negandogli il compiacimento visivo di altri blockbusters. La guerra fa paura e basta. Eppure questo inferno distaccatamente collettivo racconta meglio l'umanità di quanto abbiano mai fatto i suoi predecessori. Quelle migliaia di elmetti per la prima volta non rappresentano soldati guidati da valori, ma uomini che vogliono solo tornare a casa, e che si attaccheranno alle più pericolanti barchette pur di tornarci. Puro istinto di sopravvivenza. Nessuna battaglia vittoriosa. Nessuna bandiera da piantare. Nessun trionfo di retorica. Solo un popolo che vuole mettere in salvo i suoi fratelli da un incubo. Per la prima volta nel cinema bellico il voler vincere sul nemico passa in secondo piano, schiacciato dall'importanza della sopravvivenza, del ritorno a casa, del ritorno alla vita, della solidarietà, dell'aiuto reciproco.
"Sono stati battuti da Hitler? Pazienza, ora l'importante è che riescano a tornare sani e salvi"
Sembrano dire gli equipaggi delle quasi trecento imbarcazioni civili partite in soccorso. Un trionfo di umanità fra i più strazianti mai espressi su schermo. E Nolan riesce in questo senza il bisogno di soldati con problemi personali, dediti inverosimilmente a raccontare qualsiasi cosa di loro allo spettatore. Nolan dimostra che la regola citata precedentemente non trova fondatezza nel cinema bellico. E non tutti sono disposti ad accettare subito questa cosa, ormai abituati a decadi di film bellici completamente diversi. Molti si sono lamentanti di questa mancanza di "veri" personaggi, ma Nolan fa scacco matto al suo stesso pubblico. È veramente necessario conoscere un personaggio per essere emotivamente coinvolti di fronte alle sue crude e realistiche peripezie, come essere schiacciati a sardina su un molo pronti per essere decimati da aerei nemici? Quando vediamo in tv stragi terroristiche, abbiamo bisogno di conoscere le persone coinvolte per poter provare dispiacere per loro? La risposta appare semplice.
Dunkirk così finisce, fra le altre cose, per essere una denuncia contro quella mancanza di umanità che paradossalmente affligge molte branche del cinema, e lo fa spiazzando completamente lo spettatore, che a primo impatto percepirà il capolavoro umanitario Dunkirk come un film freddo, emotivamente vuoto. E a giudicare da molti pareri in giro, ci è riuscito pienamente.
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