Taxi Teheran |
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Un film di Jafar Panahi.
Con Jafar Panahi
Titolo originale Taksojuht.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 82 min.
- Iran 2015.
- Cinema
uscita giovedì 27 agosto 2015.
MYMONETRO
Taxi Teheran
valutazione media:
3,61
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Fingersi tassista a Teheran
di Emiliano Morreale L'Espresso
L'Orso d'oro assegnato a "TaxiTeheran" all'ultimo Festival di Berlino è stato anche un gesto politico, nei confronti di un grande regista iraniano che incarna l'opposizione interna al regime. Incarcerato per mesi tra il 2009 e il 2010, Jafar Panahi, uno degli autori più prestigiosi del suo paese, non può lasciare il territorio nazionale e in teoria non può girare film, Con questo lavoro ha eluso il divieto per la terza volta dopo "This is Not a Film" e "Closed Curtain", piazzando alcune telecamere sul cruscotto di un taxi che lui stesso si è messo a guidare, figurando dunque come protagonista nei panni di se stesso.
Il taxi può essere certamente anche una metafora della prigione, di un carcere mobile che osserva la città e che ospita storie. Vicende che solo all'inizio possono ingannare con una parvenza di stile documentano, ma che quasi subito appaiono esplicitamente come apologhi, tendenti al bozzetto affettuoso: al neorealismo rosa, si sarebbe detto una volta da noi. Un uomo e una donna che parlano della pena di morte, uno spacciatore di Dvd stranieri che diventa una specie di Sancho Panza del regista, due vecchiette che devono lanciare nel fiume dei pesci rossi, l'avvocatessa di Panahi stesso, che continua a lottare per i diritti umani, eccetera.
Sono piccole storie che compongono una specie di racconto a episodi, che continuamente, in maniera più o meno sotterranea, parla di cinema e di film (anche di quelli del regista: vengono citati "Oro rosso","Lo specchio" e "Offside"). ll taxi è la prigione ma è anche il cinema, ovviamente, e dunque il tassista-regista sarà alle prese con un giovane aspirante cineasta, o con la propria nipotina, a cui la maestra ha spiegato le regole per fare un film scolastico "distribuibile" (donne sempre col velo, cattivi mai con la barba ma sempre con la cravatta, e così via).
Pur alludendo sobriamente alle proprie disgrazie passate e presenti, Panahi si atteggia nel corso del film a saggio osservatore e dispensatore di consigli, scettico ma non cinico nei confronti del cinema e della vita, come conferma ancora una volta il finale, paradossale e ironico.
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