m. locatelli
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mercoledì 26 agosto 2015
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la vita dentro un taxi
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"Taxi Teheran" è uno di quei film che ti fanno stare bene. Jafar Panahi è capace di raccontare un Paese intero dall'interno di un taxi. E lo fa con un grande senso dell'umorismo anche se cosciente di raccontare una terribile realtà: Panahi non può girare film, la giustizia iraniana lo ha condannato a 20 anni senza poter prendere in mano una cinepresa. Un regista che non può girare, un' artista che non può arrichire il mondo con il suo punto di vista rivoluzionario. Un assurdo che, invece, si è ripetuto tante volte nel corso della storia, in tanti posti diversi.
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"Taxi Teheran" è uno di quei film che ti fanno stare bene. Jafar Panahi è capace di raccontare un Paese intero dall'interno di un taxi. E lo fa con un grande senso dell'umorismo anche se cosciente di raccontare una terribile realtà: Panahi non può girare film, la giustizia iraniana lo ha condannato a 20 anni senza poter prendere in mano una cinepresa. Un regista che non può girare, un' artista che non può arrichire il mondo con il suo punto di vista rivoluzionario. Un assurdo che, invece, si è ripetuto tante volte nel corso della storia, in tanti posti diversi.
Ma Panahi, che sembra non arrendersi mai, fa di tutto per continuare a girare. In "Taxi Teheran" ci fa "girare", appunto, la capitale iraniana nel suo taxi dentro al quale si susseguono vari personaggi che istaurano, in una forma o nell'altra, un rapporto con il nostro regista e che ci raccontano così dell'Iran e delle sue mille contradizioni.
Al taxi salgono donne e uomini, anziane, bambine. Colpisce molto allo spettatore occidentale vedere che le donne iraniane che ci racconta Panahi, quelle stesse donne con lo chador o l' hijab, hanno tutte un pensiero libero e sono indipendenti. Distruggono l'oppressione con delle parole sicure e un sorriso in bocca. Per non parlare della radiante bambina (nipote di Panahi) cha ha molto da dire e da farci riflettere.
Un film delizioso.
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no_data
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venerdì 28 agosto 2015
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il coraggio di un artista
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E un documentario? Un film di finzione? Un film di protesta? cos'è veramente "Taxi Teheran"? L'ultima opera di Jafar Panahì è soprattutto un regalo al cinema e alla gente che di cinema vive (e muore). Un regalo per tutti noi, cinefili, che amiamo la Settima Arte per quello che è: una forma di libera espressione. La giustizia iraniana ha proibito a Panahi di girare film per i prossimi 20 anni, pena la prigione. Ma lui non ci sta e gira lo stesso. E ci dimostra che non ci sono barriere che il pensiero libero non possa far cadere.
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E un documentario? Un film di finzione? Un film di protesta? cos'è veramente "Taxi Teheran"? L'ultima opera di Jafar Panahì è soprattutto un regalo al cinema e alla gente che di cinema vive (e muore). Un regalo per tutti noi, cinefili, che amiamo la Settima Arte per quello che è: una forma di libera espressione. La giustizia iraniana ha proibito a Panahi di girare film per i prossimi 20 anni, pena la prigione. Ma lui non ci sta e gira lo stesso. E ci dimostra che non ci sono barriere che il pensiero libero non possa far cadere.
Dal suo taxi intravediamo una Teheran molto movimentata così come è movimentato l'interno della sua macchina. Tanti personaggi, tanto diversi, che ci dicono la loro senza peli sulla lingua, come se non ci fosse una telecamera a riprenderli. Protagonista assoluta una bambina, nipote di Panahi nel film e nella realtà, spontanea e intelligente che racchiude tutto il senso della pellicola in se stessa: l'opposizione creativa e non violenta vince sempre di fronte all'intolleranza e ad una giustizia che giusta non è. Da vedere assolutamente!!
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[+] la grande bellezza
(di ciuccella)
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enzo70
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sabato 29 agosto 2015
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un film necessario per rompere il silenzio
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Un film coraggioso, ma il rischio non è condanna della critica, ma il carcere, quello vero, cui Jafar Panahi è stato già condannato, pena sospesa, ma divieto assoluto di fare un film, tipo Taxi Tehran. Il regista si mette alla guida di un taxi ed attraversa la città caricando l’umanità della città, dal nano commerciante di dvd illegali, al borseggiatore alla maestra elementare. In pratica due telecamere, una vede davanti, una dentro, la scelta del regista ha un significato anche simbolico. In questo film il regista iraniano sembra aver fatto sue le tecniche di racconto di Wenders, ma, oggettivamente, i rischi sono diversi. Sempre tenendosi al bordo delle tensioni della repubblica islamica, Panahi penetra le contraddizioni del regime iraniano, dai diritti civili delle donne, esemplare il testamento girato con un video in movimento dell’uomo morente a favore della moglie, alla censura, il decalogo del buon film recitato dalla nipote al discorso finale della donna con le rose.
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Un film coraggioso, ma il rischio non è condanna della critica, ma il carcere, quello vero, cui Jafar Panahi è stato già condannato, pena sospesa, ma divieto assoluto di fare un film, tipo Taxi Tehran. Il regista si mette alla guida di un taxi ed attraversa la città caricando l’umanità della città, dal nano commerciante di dvd illegali, al borseggiatore alla maestra elementare. In pratica due telecamere, una vede davanti, una dentro, la scelta del regista ha un significato anche simbolico. In questo film il regista iraniano sembra aver fatto sue le tecniche di racconto di Wenders, ma, oggettivamente, i rischi sono diversi. Sempre tenendosi al bordo delle tensioni della repubblica islamica, Panahi penetra le contraddizioni del regime iraniano, dai diritti civili delle donne, esemplare il testamento girato con un video in movimento dell’uomo morente a favore della moglie, alla censura, il decalogo del buon film recitato dalla nipote al discorso finale della donna con le rose. E dalla lezione del regista iraniano la politica mondiale dovrebbe trarre il coraggio di levarsi il velo dell’indifferenza.
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stefano capasso
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venerdì 28 agosto 2015
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la forza delle idee
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Ho visto ieri Taxi Teheran, un docufilm di Jafar Panahi. Il regista stesso è conduttore di un taxi che gira per la capitale iraniana, raccogliendo testimonianze di passeggeri (parenti, amici e sconosciuti) sulla vita quotidiana che si svolge nel paese. Ed emergono curiosità, credenze e soprattutto, immancabili, le dure leggi, che il governo impone al popolo, limitando spesso la libera espressione e la possibilità di conoscenza di altre culture.
Ingegnoso ed interessante il dispositivo adottato dal regista, che piazza una telecamera sul cruscotto della sua automobile, e di lì usando tre inquadrature riesce a raccontare una storia importante.
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Ho visto ieri Taxi Teheran, un docufilm di Jafar Panahi. Il regista stesso è conduttore di un taxi che gira per la capitale iraniana, raccogliendo testimonianze di passeggeri (parenti, amici e sconosciuti) sulla vita quotidiana che si svolge nel paese. Ed emergono curiosità, credenze e soprattutto, immancabili, le dure leggi, che il governo impone al popolo, limitando spesso la libera espressione e la possibilità di conoscenza di altre culture.
Ingegnoso ed interessante il dispositivo adottato dal regista, che piazza una telecamera sul cruscotto della sua automobile, e di lì usando tre inquadrature riesce a raccontare una storia importante. Una scelta dovuta anche al divieto di lavorare che la giustizia iraniana gli ha imposto, e che lo costringe a girare i suoi film in clandestinità. Un esempio forte di come quando c’è un’idea alla base, originale e sentita, bastano pochi e semplici mezzi per realizzarla. Un film a tratti divertente che fa riflettere.
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flyanto
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mercoledì 2 settembre 2015
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l' ennesima condanna di un paese assurdo
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Finalmente Jafar Panahi, dopo la condanna inflittagli dal proprio paese, l'Iran, a non scrivere e filmare più per almeno venti anni ed un certo periodo di detenzione in carcere, nonchè il divieto più assoluto di lasciare la propria terra, consegna al pubblico l'ultima sua opera cinematografica che si rivela essere ancora una volta un documento estremamente interessante di sua denuncia.
Assuntosi come autista di un taxi lungo le strade di Teheran, Jafar Panahi incontra nelle corse che fa svariati personaggi appartenenti alle più differenti classi sociali. Proprio durante questi tragitti in macchina egli, a loro insaputa, filma i propri clienti registrandone anche i dialoghi da cui si evince piano piano la terribile condizione in cui vive il paese.
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Finalmente Jafar Panahi, dopo la condanna inflittagli dal proprio paese, l'Iran, a non scrivere e filmare più per almeno venti anni ed un certo periodo di detenzione in carcere, nonchè il divieto più assoluto di lasciare la propria terra, consegna al pubblico l'ultima sua opera cinematografica che si rivela essere ancora una volta un documento estremamente interessante di sua denuncia.
Assuntosi come autista di un taxi lungo le strade di Teheran, Jafar Panahi incontra nelle corse che fa svariati personaggi appartenenti alle più differenti classi sociali. Proprio durante questi tragitti in macchina egli, a loro insaputa, filma i propri clienti registrandone anche i dialoghi da cui si evince piano piano la terribile condizione in cui vive il paese. Quello più singolare e diretto ma più esplicativo, e pertanto più interessante, è il dialogo che egli conduce con la propria nipotina di circa 8/10 anni. L'epilogo del film non fa che confermare e deplorare il regime dittatoriale e di estrema chiusura in cui l'Iran è costretto a vivere.
Sebbene "Taxi Teheran" non sia così esplicito rispetto ai suoi films precedenti, Jafar Panahi non si esimia dal presentare e conseguentemente condannare, appunto, l'intero regime che governa il proprio paese, in pratica limitando assurdamente ed all'inverosimile la libertà del suo popolo che non ha nemmeno la possibilità di agire e men che meno di ribellarvisi, se non venire imprigionato ed in taluni casi, venire addirittura condannato a morte.
L' " escamotage" trovato da Panahi di fingersi un autista di un taxi e di fare recitare dei "coraggiosi" attori nei ruoli dei clienti (coraggiosi perchè anche agli attori, come a tutte le persone che si dedicano alle varie manifestazioni artistiche vengono considerate scomode e "pericolose" dal regime iraniano) si rivela essere quanto mai vincente, se non del tutto originale, perchè gli permette di "interrogare" le varie persone cogliendone i pensieri, le opinioni ed i vari stati d'animo. Una particolare sensibilità scaturisce nel corso della conversazione con la nipotina (non si sa se la bimba sia veramente sua nipote) verso cui egli dimostra sincero affetto e particolare comprensione in quanto rappresentante della nuova generazione e dunque del futuro del suo paese. Ma, del resto, una particolare sensibilità nei confronti dei bambini, la generazione futura dell'Iran, appunto, era già apertamente emersa nel suo precedente e poetico "Il Palloncino Bianco".
Insomma, se il regista iraniano non aggiunge nulla di nuovo in particolare a quanto detto anni prima nelle sue opere, questa pellicola risulta in ogni caso essere un documento molto importante di denuncia e di lotta continua per un suo sempre sperabile futuro migliore.
Interessante e giustamente insignito dell'Orso d'Oro all'ultimo Festival del Cinema di Berlino.
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vanessa zarastro
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giovedì 3 settembre 2015
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cinema come simbolo di libertà
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Vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino, "Taxi Teheran" è un film iraniano diretto e interpretato da Jafar Panahi. Questo regista è stato condannato dal suo governo a non poter girare film per vent’anni perché ritenuto colpevole di fare propaganda anti-regime. Ciononostante Panahi riesce a girare in clandestinità. Ne è un esempio questo film in cui lui stesso si finge autista di un taxi collettivo e, fissata una telecamera sul cruscotto, e riprende tutti i personaggi che salgono sulla sua auto, e le loro conversazioni. Idea di per sé non originalissima poiché le confidenze ai tassisti hanno sempre stimolato la fantasia di registi più o meno impegnati politicamente.
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Vincitore dell’Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino, "Taxi Teheran" è un film iraniano diretto e interpretato da Jafar Panahi. Questo regista è stato condannato dal suo governo a non poter girare film per vent’anni perché ritenuto colpevole di fare propaganda anti-regime. Ciononostante Panahi riesce a girare in clandestinità. Ne è un esempio questo film in cui lui stesso si finge autista di un taxi collettivo e, fissata una telecamera sul cruscotto, e riprende tutti i personaggi che salgono sulla sua auto, e le loro conversazioni. Idea di per sé non originalissima poiché le confidenze ai tassisti hanno sempre stimolato la fantasia di registi più o meno impegnati politicamente.
"Taxi Teheran" è un esempio di cinema militante che fa riflettere. Sembra che le persone in taxi affrontino vari temi comi, ad esempio, quelli dei reati e delle loro punizioni con posizioni anche diametralmente opposte. Una maestra elementare, infatti, discute con un giovane sedicente ladro, sull’eccesso della pena di alcuni piccoli furtarelli che lei interpreta più come segno di disperazione che come un vero e proprio reato. Una giovane avvocatessa, poeticamente e simbolicamente rappresentata sempre con un mazzo di rose rosse, difende i diritti delle donne cui è vietato perfino accedere allo stadio sportivo, crimine punibile in Iran con la detenzione! Un piccolo trafficante di DVD mette insieme film non ancora usciti a film non distribuiti in Iran giudicati troppo “occidentali” e democratici. Una donna in lacrime accompagna il marito ferito che nel tragitto vuole filmare il suo testamento. Smatphone, macchina fotografica e telecamera sono oggi dunque tutti mezzi della memoria che captano la realtà e il volere delle persone.
Non è mai chiaro il limite tra finzione e realtà. Il mio dubbio, infatti, è proprio su questo, il film non è uno “specchio segreto” perché c’è un disegno dietro, una costruzione, ma non è neanche sufficientemente chiarificatore perché spiega poco e affronta troppe poche cose, richiudendosi più su simboli di libertà. Alla fine il film risulta interessante ma sicuramente non dei migliori di Jafar Panahi.
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iltrequartista
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giovedì 6 luglio 2017
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il coraggio di jafar
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Quando ingiustamente ti condannano, ma continui ad andare dritto per la tua strada,poco contano premi e nomination,hai già stravinto a livello personale e morale.
Jafar merita un nostro lungo applauso , per il coraggio dimostrato, e non basterebbero cinque stelle su un sito web a sottolineare quanto siamo dalla sua parte.
Finoa questo punto credo che siamo tutti d'accordo.
Su quest'opera cinematografica in quanto tale,non sento di condividere lo stesso entusiasmo.
La fotografia è eccellente,come l'idea del taxi che si aggira nella città per descriverne l'essenza e per interagire direttamente con il popolo,ma spesso si assiste ad una serie di lunghe scene scollegate a livello narrativo.
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Quando ingiustamente ti condannano, ma continui ad andare dritto per la tua strada,poco contano premi e nomination,hai già stravinto a livello personale e morale.
Jafar merita un nostro lungo applauso , per il coraggio dimostrato, e non basterebbero cinque stelle su un sito web a sottolineare quanto siamo dalla sua parte.
Finoa questo punto credo che siamo tutti d'accordo.
Su quest'opera cinematografica in quanto tale,non sento di condividere lo stesso entusiasmo.
La fotografia è eccellente,come l'idea del taxi che si aggira nella città per descriverne l'essenza e per interagire direttamente con il popolo,ma spesso si assiste ad una serie di lunghe scene scollegate a livello narrativo.
I dialoghi sono chiaramente costruiti ad arte per attaccare il governo(lo avrei fatto anche io al posto del regista,sia chiaro) ma finiscono per dare il senso di poca veridicità.
Tutto sembra programmato accuratamente,sfociando talvolta in noia e lentezza e si perde la verve narrativa che una pellicola girata in strada avrebbe dovuto avere.
A supporto di quanto detto la lunghissima sequenza in cui la nipotina legge i divieti integralisti sul quaderno di scuola,cose che spulciando in rete potete trovare tranquillamente da soli.
Letti da una bambina ovviamente faranno più effetto e così via per altre scene.
In sintesi,almeno in questo caso, stimo Panahai più per l'uomo che per il regista e non credo di fargli torto.
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maumauroma
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mercoledì 2 settembre 2015
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viva il cinema,viva la liberta'
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che dire di questo film:semplicemente splendido.uno dei massimi registi contemporanei fotografa la realta'del suo paese attraverso i commenti dei passeggeri che salgono sul suo "finto" taxi da lui stesso guidato attraverso le strade trafficate della sua amata teheran.jafar panahi non puo'girare film in iran ,pena la condanna a 6 anni di prigione,eppure ,armato di 3 piccole telecamerine appoggiate sul cruscotto dell'auto ci offre in ottanta minuti con pochi tratti una rappresentazione profonda di questa grande e sfortunata nazione,dell'ottusita' di un regime chiuso e spietato,dei suoi assurdi divieti e obblighi che potrebbero apparire comici se non fossero drammaticamente veri.
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che dire di questo film:semplicemente splendido.uno dei massimi registi contemporanei fotografa la realta'del suo paese attraverso i commenti dei passeggeri che salgono sul suo "finto" taxi da lui stesso guidato attraverso le strade trafficate della sua amata teheran.jafar panahi non puo'girare film in iran ,pena la condanna a 6 anni di prigione,eppure ,armato di 3 piccole telecamerine appoggiate sul cruscotto dell'auto ci offre in ottanta minuti con pochi tratti una rappresentazione profonda di questa grande e sfortunata nazione,dell'ottusita' di un regime chiuso e spietato,dei suoi assurdi divieti e obblighi che potrebbero apparire comici se non fossero drammaticamente veri.magnifiche le scene con la sua(vera/finta) nipotina ,con il (vero/finto) venditore di dvd.commovente la rosa appoggiata sul cruscotto dalla piu' grande attrice iraniana in omaggio al cinema.inquietante il (vero/finto) finale con gli sgherri dei servizi segreti che tentano di impadronirsi della memory card delle telecamere.meritatissimo orso d'oro a berlino.viva il cinema,viva la liberta'.
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robert eroica
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domenica 30 agosto 2015
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la vita da dietro un vetro
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Ad un ragazzo appassionato di cinema che gli chiede come scrivere un nuovo soggetto, il regista Panahi risponde secco che occorre dimenticare i film visti e i libri letti e che bisogna invece uscire di casa per cercarne di nuovi. Ed è quello che fa anche Panahi, che letteralmente inventa il film che il governo non gli consente di girare. E quello che non può realizzare liberamente, un artista lo compie in modo occulto, disegnando traiettorie oblique, contaminando la possibilità con la necessità. Qui il regista si inventa tassista in una Teheran tutta percorsa sulle strade, a diretto contatto con la gente, con le storie ora drammatiche, ora bizzarre, ora paradossali di cui sono gli indiscussi protagonisti.
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Ad un ragazzo appassionato di cinema che gli chiede come scrivere un nuovo soggetto, il regista Panahi risponde secco che occorre dimenticare i film visti e i libri letti e che bisogna invece uscire di casa per cercarne di nuovi. Ed è quello che fa anche Panahi, che letteralmente inventa il film che il governo non gli consente di girare. E quello che non può realizzare liberamente, un artista lo compie in modo occulto, disegnando traiettorie oblique, contaminando la possibilità con la necessità. Qui il regista si inventa tassista in una Teheran tutta percorsa sulle strade, a diretto contatto con la gente, con le storie ora drammatiche, ora bizzarre, ora paradossali di cui sono gli indiscussi protagonisti. Ladri, insegnanti, ex vicini di casa, vittime di incidenti stradali, avvocati, bizzarre signore che trasportano pesci rossi verso la libertà: tutti salgono sul taxi di Panahi e mostrano un pezzo della loro vita, delle piccole preoccupazioni, delle loro mete, delle ambizioni e dei piccoli e grandi desideri. E il bello, in questa operazione assolutamente “sui generis”, è che non si capisce mai a che punto sia il cortocircuito tra reale e sceneggiato, anche quando entra in campo anche la reale nipote del regista, che viene riaccompagnata da scuola. E la commozione pura irrompe quando l’avvocatessa che conosce bene Panahi, gli regala una rosa lasciandola sul cruscotto, a ben sperare, “in onore del cinema”. Quello che testardamente il regista iraniano continua a portare avanti, col suo ennesimo “non – film”, girato in “camera car”, non staccando mai dalla vettura che guida verso una libertà di azione che gli auguriamo prossima.
Robert Eroica
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goldy
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martedì 1 settembre 2015
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quando è necessario ribadire
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Delle problematiche sulla denuncia di mancanza di democrazia nel paese, Panahi ne ha fatto una costante nei suoi film. "Il cerchio" del 2000 sintetizza in modo mirabile i nodi tematici da risolvere per iniziare un processo democratico nel paese. Oggi li ribadisce, ma nel frattempo sembra che le cose potrebbero cominciare a migliorare dopo l'abolizione dell'embargo da parte dei paesi occidentali. Quindi denunce vecchie che è necessario ribadire in un contesto formale geniale con un Panahi che commuove fino alle lacrime per lo sguardo con cui affronta il mondo e l'umanità che lo abita. Uno sguardo semplicemengte "buono". Sembra poco ma è tantissimo, pacificante e rivoluzionario.
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