zarar
|
domenica 27 settembre 2015
|
lo sguardo di un regista clandestino
|
|
|
|
E’ un film che ha tutti i caratteri di altre opere di Jafar Panahi: su di uno sfondo che si indovina drammatico, la vita (e il film stesso) scorre minimalista, gentile, divagante, casuale, un po’ folle, un po’comico persino, in un tempo dai ritmi lunghi anche dove c’è concitazione. Il fondo oscuro emerge a tratti , con lampi improvvisi, segnali di allarme che increspano la superficie: il regista sorpreso per strada da una voce che gli ricorda la voce di chi l’ha interrogato in carcere, lo sguardo smarrito dell’amico aggredito, il testamento dettato dalla voce strozzata di un ferito, l’interrogativo senza risposta della nipotina che non capisce perché ti chiedano di raccontare la realtà e nello stesso tempo ti impediscano di raccontare la realtà.
[+]
E’ un film che ha tutti i caratteri di altre opere di Jafar Panahi: su di uno sfondo che si indovina drammatico, la vita (e il film stesso) scorre minimalista, gentile, divagante, casuale, un po’ folle, un po’comico persino, in un tempo dai ritmi lunghi anche dove c’è concitazione. Il fondo oscuro emerge a tratti , con lampi improvvisi, segnali di allarme che increspano la superficie: il regista sorpreso per strada da una voce che gli ricorda la voce di chi l’ha interrogato in carcere, lo sguardo smarrito dell’amico aggredito, il testamento dettato dalla voce strozzata di un ferito, l’interrogativo senza risposta della nipotina che non capisce perché ti chiedano di raccontare la realtà e nello stesso tempo ti impediscano di raccontare la realtà. Ma la realtà è più forte delle censure e si impone da sé all’ occhio imperturbabile e sereno, quasi nonchalant del regista-protagonista: durezza dell’oppressiva dittatura islamica, da una parte, dall’altra vitalità ‘leggera’, ma anche tenace e intelligente, moderna e antichissima (i pesciolini rossi simbolo ancestrale della vita e della fine dell’anno astrale) non piegata dalle circostanze. Una protesta non urlata, lasciata tra le righe, ma forse proprio per questo più intensa. Chi ha avuto occasione di andare in Iran e di sentire la gente, e direi soprattutto le straordinarie donne iraniane, sa quanto questo paradosso sia vero e avvertibile ovunque. Girato in condizioni difficili (dal 2010 Panahi – come oppositore del regime - è stato condannato nel suo paese a non produrre e/o dirigere film, a non viaggiare e rilasciare interviste per 20 anni) questo lavoro clandestino ha dunque un suo perché, anche se a mio parere gli manca la scioltezza e la struttura solida di un’opera pienamente realizzata. Ciò che rimane dentro alla fine del film, più dei singoli episodi che si snodano lungo la corsa del taxi per le strade di Teheran, è lo stesso protagonista, attore per caso: in quel suo volto tranquillo ed empatico, in quel parlare pacato appena appena ironico, in quel venire incontro senza enfasi a chiunque abbia una difficoltà è il suo cinema: impegno civile, sguardo libero e fermo, alieno da drammatizzazioni e tempeste emotive, ma totalmente empatico con il suo contesto.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a zarar »
[ - ] lascia un commento a zarar »
|
|
d'accordo? |
|
enrico danelli
|
sabato 10 ottobre 2015
|
politica, non cinema.
|
|
|
|
Va bene. Un bel reportage sulla situazione sociale dell'Iran, comunque sconosciuta ai più. Una grande prova di coraggio del regista che rischia di suo. Ma poi ? Se si deve valutare un articolo di giornale, un video su yuotube i suddetti ingredienti (coraggio e novità) bastano e avanzano per farne un lancio mondiale. Se si deve valutare un film non ci si può limitare a così poco. La trovata dello specchio segreto è piuttosto obsoleta e contrasta miseramente con le artificiali comparsate che via via si susseguono sul taxi: chiunque capisce che non c'è nulla di naturale e gli attori (cui va riconosciuto il coraggio di sfidare il regime insieme al regista) non sono proprio all'altezza della spontaneità che sarebbe loro richiesta.
[+]
Va bene. Un bel reportage sulla situazione sociale dell'Iran, comunque sconosciuta ai più. Una grande prova di coraggio del regista che rischia di suo. Ma poi ? Se si deve valutare un articolo di giornale, un video su yuotube i suddetti ingredienti (coraggio e novità) bastano e avanzano per farne un lancio mondiale. Se si deve valutare un film non ci si può limitare a così poco. La trovata dello specchio segreto è piuttosto obsoleta e contrasta miseramente con le artificiali comparsate che via via si susseguono sul taxi: chiunque capisce che non c'è nulla di naturale e gli attori (cui va riconosciuto il coraggio di sfidare il regime insieme al regista) non sono proprio all'altezza della spontaneità che sarebbe loro richiesta. Urtante la presenza della bambina (nipote del regista) tanto saputella e saccente che, se vogliamo, ottiene l'effetto opposto: il regime è comunque capace di generare esseri umani pensanti e culturalmente molto evoluti (In Italia abbiamo tali prototipi in così tenera età ?). Per il resto dialoghi triti e ritriti sulla pena di morte che non risolve il problema della criminalità (li sentiamo da decenni), sulla condizione delle donne nel mondo islamico e sulle situazioni famigliari e personali delle comparse. Simpatica la presenza del regista con il suo faccione bonario e sorridente. Eccelso il significato, comunque ormai usato e abusato da tutta la cinematografia mondiale, sulla potenza dei mezzi di informazione. Viva la libertà (anche quella di critica della critica).
[-]
|
|
[+] lascia un commento a enrico danelli »
[ - ] lascia un commento a enrico danelli »
|
|
d'accordo? |
|
miguel angel tarditti
|
domenica 13 settembre 2015
|
el arte se filtra como el agua
|
|
|
|
EL ARTE SE FILTRA COMO EL AGUA
CUANDO LA SOCIEDAD ES MAS CARCEL QUE LA CARCEL
“TAXI TEHERAN”, del Iraní Jafar Panahi.
Jafar Panahi está condenado por la “justicia” de Irán a 20 años de prohibición de filmar. Tampoco puede escribir guiones ni conceder entrevistas pena de ser detenido por seis años. Esto no es ficción es realidad.
Pero como sabemos por experiencia propia (léase Teatro Abierto en el periodo negro de la usurpación del poder militar), el arte tiene siempre un modo de manifestarse, como el agua que no puede ser fácilmente reprimida si pierde su cauce.
Porque el Arte es bandera de libertad, y ésta se puede reprimir, suspender, cercenar, pero finalmente escapa, corre, dice, grita, subleva, riega, hace crecer.
[+]
EL ARTE SE FILTRA COMO EL AGUA
CUANDO LA SOCIEDAD ES MAS CARCEL QUE LA CARCEL
“TAXI TEHERAN”, del Iraní Jafar Panahi.
Jafar Panahi está condenado por la “justicia” de Irán a 20 años de prohibición de filmar. Tampoco puede escribir guiones ni conceder entrevistas pena de ser detenido por seis años. Esto no es ficción es realidad.
Pero como sabemos por experiencia propia (léase Teatro Abierto en el periodo negro de la usurpación del poder militar), el arte tiene siempre un modo de manifestarse, como el agua que no puede ser fácilmente reprimida si pierde su cauce.
Porque el Arte es bandera de libertad, y ésta se puede reprimir, suspender, cercenar, pero finalmente escapa, corre, dice, grita, subleva, riega, hace crecer.
La libertad, el libre albedrío, sufre en su manifestación externa cuando el prepotente ostenta el poder omnímodo, irracional, tiene las armas, impone su fuerza.
Pero la prepotencia no es inteligente como el arte.
El arte es sutil (la prepotencia es fuerza), el arte es metáfora (la prepotencia no sabe de metáforas), el arte con una dulce sonrisa puede hablar de un dolor (la prepotencia no sabe de dulzuras).
Las sociedades represoras crean leyes que impiden la libre expresión; reglas, especie deformadas de leyes que sólo protegen sus mezquinos intereses de tiranía, desvirtuando el sentido ético de la ley que fue creada para proteger al ciudadano.
Pero el arte es imaginación e inteligencia y siempre es más fuerte porque no puede ser fácilmente frenado como no lo es el agua que drena.
A veces el poder tiránico gana en tiempo y dificulta, hiere, ofende, encarcela, pero el tiempo siempre tiene su vencimiento (por eso es tiempo) y se desgasta, y se auto elimina, salvo que sea eternidad, pero la eternidad pertenece al Arte y no al invasor prepotente. El Arte, si es arte, es eterno.
Jafar Panahi, director iraní, mal tratado por su sociedad, es inteligente y creativo, y se ingenia una estrategia para poder igualmente filmar, para evitar los ojos policiacos de sus “justicieros”, y se vuelve un taxista, que sólo filma dentro de su taxi, con una cámara oculta, y sus pasajeros “circunstanciales” hablan de tanto: justicia, leyes, vida, muerte, ética, moral, dándonos una fotografía de una sociedad que reprime, paradójicamente, más que la misma cárcel.
No son pasajeros auténticos los de su taxi, son actores, actores que se arriesgan a participar de este interesante film que denuncia, que milita por una causa justa, donde los ciudadanos, los artistas, los hombres sean respetados en su sentir, en su pensar, en su expresar.
Entiendo que es pedir mucho para ciertos regímenes a los que la libertad de expresión molesta porque el saber revela. El conocimiento crece al hombre.
Entiendo que puede ser utópico como la sociedad ideal de Platón, pero ese es el modelo hacia donde debemos apuntar, por el que debemos luchar.
Gracias a Jafar Panahi por luchar con inteligencia y regalarnos este trabajo interesante, y gracias a los actores (que no pueden figurar en el elenco para no ser reprimidos) por atreverse a enfrentar la deleznable prepotencia del sistema.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a miguel angel tarditti »
[ - ] lascia un commento a miguel angel tarditti »
|
|
d'accordo? |
|
taniamarina
|
martedì 20 novembre 2018
|
tutto il mondo è paese
|
|
|
|
Facce pulite come quelle di Jafar spuntano fuori soltanto in stati in cui pene capitali e guerre imperversano sui cittadini. Già solo la sua espressione potrebbe essere annoverata come una attendibile testimonainza di una rivoluzione cinematografica, proprio quella che avviene per mano sua a Teheran. Il gioco tra finzione realtà è affascinante, e forse la recitazione degli attori - che non dà affatto l'impressione di essere spontanea - è strategicamente voluta. Il cinema è finzione o la realtà si fa cinema? Un dubbio atavico che di tanto in tanto è bene ricordare, e succede in questa bella pellicola di rottura che un po' ricorda i fasti del neorealismo italiano.
[+]
Facce pulite come quelle di Jafar spuntano fuori soltanto in stati in cui pene capitali e guerre imperversano sui cittadini. Già solo la sua espressione potrebbe essere annoverata come una attendibile testimonainza di una rivoluzione cinematografica, proprio quella che avviene per mano sua a Teheran. Il gioco tra finzione realtà è affascinante, e forse la recitazione degli attori - che non dà affatto l'impressione di essere spontanea - è strategicamente voluta. Il cinema è finzione o la realtà si fa cinema? Un dubbio atavico che di tanto in tanto è bene ricordare, e succede in questa bella pellicola di rottura che un po' ricorda i fasti del neorealismo italiano. La grande città occidentalizzata ma radicata nella cultura mediorientale, ha in sé il germe della democrazia e della libertà di stampa. Una grande città che somiglia così tanto a Napoli, con le sue culture contraddittorie tra intelligenza, arte, superstizione e borseggi. Tutto il mondo è paese? Sarà... sta di fatto che Jafar è bravissimo nel ricordarcelo. Bel film, e grazie a Mymovies per lo streaming.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a taniamarina »
[ - ] lascia un commento a taniamarina »
|
|
d'accordo? |
|
filippo catani
|
sabato 7 gennaio 2017
|
ribellarsi alla censura
|
|
|
|
Il regista Panahi sfida il divieto del regime di non girare più film pena la detenzione salendo su un taxi e immortalando le storie dei passeggeri che salgono.
Ci vuole coraggio per sfidare qualsiasi tipo di regime; se poi lo si fa con il sorriso sulle labbra è ancora meglio. Ecco allora che Panahi armato di una piccola camera ci racconta attraverso le parole dei suoi passeggeri quello che è vivere in Iran e quello che si deve fare per attingere a libri e film proibiti. Il momento emblematico è ovviamente quando la giovanissima nipote del regista impegnata nella registrazione di un cortometraggio gli elenca quelli che sono i precetti per fare un film che sia accettabile.
[+]
Il regista Panahi sfida il divieto del regime di non girare più film pena la detenzione salendo su un taxi e immortalando le storie dei passeggeri che salgono.
Ci vuole coraggio per sfidare qualsiasi tipo di regime; se poi lo si fa con il sorriso sulle labbra è ancora meglio. Ecco allora che Panahi armato di una piccola camera ci racconta attraverso le parole dei suoi passeggeri quello che è vivere in Iran e quello che si deve fare per attingere a libri e film proibiti. Il momento emblematico è ovviamente quando la giovanissima nipote del regista impegnata nella registrazione di un cortometraggio gli elenca quelli che sono i precetti per fare un film che sia accettabile. Inevitabilmente ad ogni prescrizione è come aggiungere un anello alla catena della censura che ogni regime deve cercare di mantenere. Un film coraggioso e di grande impatto giustamente premiato a Berlino.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a filippo catani »
[ - ] lascia un commento a filippo catani »
|
|
d'accordo? |
|
nikipi
|
domenica 30 agosto 2015
|
un taxi che si chiama coraggio
|
|
|
|
Antefatto: J.Panahi, il regista iraniano che la Sharia ha condannato a venti anni (venti!) di inattività se non vuole andare in prigione, ha trovato l’escamotage di interpretare il ruolo di un autista di taxi, adibito a set cinematografico, e di filmare col cellulare i vari tipi umani che imbarca.
Il racconto dei racconti è accompagnato dal sorriso mite e l’imponente testa crinuta di J.P. e coadiuvato dalla sua disponibilità ad accogliere e ascoltare i “passeggeri”. Sfilano così, tra gli altri, un borseggiatore inflessibile giustizialista, una maestra coraggiosamente pedagogica, due anziane donne che credono nella magia dei numeri, un affaccendato distributore porta-a-porta di film proibiti dalla legge islamica, e una petulante "nipotina" del regista (che si inserisce a pieno titolo nella serie dei bravissimi bambini che recitano nei film iraniani) la quale, nell’implacabile volontà di girare un film per la scuola, sembra - per la determinazione e il rigore etico che la anima - raccogliere l’insegnamento del celebre “zio”.
[+]
Antefatto: J.Panahi, il regista iraniano che la Sharia ha condannato a venti anni (venti!) di inattività se non vuole andare in prigione, ha trovato l’escamotage di interpretare il ruolo di un autista di taxi, adibito a set cinematografico, e di filmare col cellulare i vari tipi umani che imbarca.
Il racconto dei racconti è accompagnato dal sorriso mite e l’imponente testa crinuta di J.P. e coadiuvato dalla sua disponibilità ad accogliere e ascoltare i “passeggeri”. Sfilano così, tra gli altri, un borseggiatore inflessibile giustizialista, una maestra coraggiosamente pedagogica, due anziane donne che credono nella magia dei numeri, un affaccendato distributore porta-a-porta di film proibiti dalla legge islamica, e una petulante "nipotina" del regista (che si inserisce a pieno titolo nella serie dei bravissimi bambini che recitano nei film iraniani) la quale, nell’implacabile volontà di girare un film per la scuola, sembra - per la determinazione e il rigore etico che la anima - raccogliere l’insegnamento del celebre “zio”.
Attraverso lo schema di storie che si affiancano l’una all’altra, affiora la violenza delle istituzioni con l’accenno agli interrogatori con cui hanno torchiato l’autore, la persistenza di una cultura arcaica e anti-razionale che sopravvive nel Paese, e l’indottrinamento ottundente perseguito dalla scuola.
Lasciato incustodito il taxi per andare a restituire un portafoglio dimenticato da una passeggera, due giovanotti, irriconoscibili sotto minacciosi caschi neri, rubano dall'auto il cellulare usato per le riprese – ripromettendosi di tornare a prendere la sim card che ne permetterà l’identificazione – e lo schermo si oscura bruscamente.
L’assenza di titoli di coda (per scongiurare vendette della Sharia sui partecipanti al film), e lo schermo improvvisamente nero esemplificano in modo incisivo e sgomentante ciò che la condanna significa per Panahi e per noi spettatori: un buio vuoto e muto.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a nikipi »
[ - ] lascia un commento a nikipi »
|
|
d'accordo? |
|
m.barenghi
|
mercoledì 2 settembre 2015
|
come definirlo???
|
|
|
|
Non è un film, piuttosto un documentario. Anzi, uno pseudo-documentario, perchè i personaggi pur traendo spunto dalla realtà sono attori, non persone. Una denuncia accorata e dolorosa della censura talora grottesca sul cinema e sull'espressione del pensiero in genere nell'Iran contemporaneo degli ayatollah. Poveretti!!! Ne nasce un'opera integralmente metalinguistica, lentissima, che si svolge in tempo reale, come vuole ovviamente la percorrenza in taxi -peraltro mal guidato dallo stesso regista- per le strade di una brutta Teheran. I movimenti di macchina si limitano agli spostamenti manuali delle telecamerine presenti nel taxi, o alle soggettive manuali della foto-cinecamera della nipote, peraltro petulante e sostanzialmente antipatica.
[+]
Non è un film, piuttosto un documentario. Anzi, uno pseudo-documentario, perchè i personaggi pur traendo spunto dalla realtà sono attori, non persone. Una denuncia accorata e dolorosa della censura talora grottesca sul cinema e sull'espressione del pensiero in genere nell'Iran contemporaneo degli ayatollah. Poveretti!!! Ne nasce un'opera integralmente metalinguistica, lentissima, che si svolge in tempo reale, come vuole ovviamente la percorrenza in taxi -peraltro mal guidato dallo stesso regista- per le strade di una brutta Teheran. I movimenti di macchina si limitano agli spostamenti manuali delle telecamerine presenti nel taxi, o alle soggettive manuali della foto-cinecamera della nipote, peraltro petulante e sostanzialmente antipatica. Mai quanto la coppia di deliranti anziane col pesciolino, che potrebbero funzionare solo se venissero assunte a perifrasi della superstizione religiosa. Comunque molto noioso e assai poco coinvolgente sul piano emozionale (non su quello intellettuale, ma il CINEMA è un'altra cosa!). L'effetto principale che ottiene questa pellicola, a parte la compassione per questi sventurati eredi di una civiltà plurimillenaria e un tempo luminosissima, è quello di distogliere definitivamente lo spettatore pur ben intenzionato da eventuali propositi di viaggio in questo paese, guidato da una dittatura teocratica e becera.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a m.barenghi »
[ - ] lascia un commento a m.barenghi »
|
|
d'accordo? |
|
catcarlo
|
mercoledì 9 settembre 2015
|
taxi teheran
|
|
|
|
Continuando la battaglia per dimostrare che non basta una sentenza per fermare la sua voglia e il suo bisogno di creare con la macchina da presa – attività che gli è stata vietata per vent’anni – Panahi va oltre il cinema da camera dei suoi ultimi lavori e alza la sfida scendendo in strada nei panni di un tassista che affronta il convulso traffico di Teheran (di preferenza su arterie di grande scorrimento o in quartieri residenziali) intrecciando storie di varia umanità: ne esce un ritratto della società iraniana che va oltre le difficoltà realizzative consentendo allo spettatore di entrare in contatto con un mondo conosciuto poco e per sentito dire.
[+]
Continuando la battaglia per dimostrare che non basta una sentenza per fermare la sua voglia e il suo bisogno di creare con la macchina da presa – attività che gli è stata vietata per vent’anni – Panahi va oltre il cinema da camera dei suoi ultimi lavori e alza la sfida scendendo in strada nei panni di un tassista che affronta il convulso traffico di Teheran (di preferenza su arterie di grande scorrimento o in quartieri residenziali) intrecciando storie di varia umanità: ne esce un ritratto della società iraniana che va oltre le difficoltà realizzative consentendo allo spettatore di entrare in contatto con un mondo conosciuto poco e per sentito dire. Scartata l’idea originale di una sorta di ‘specchio segreto’ per non mettere a repentaglio la sicurezza dei clienti, il regista ha scelto di farli reinterpretare da attori non professionisti e rigorosamente anonimi – il film non ha titoli né in testa né in coda se si eccettua l’elenco delle voci italiane – alternando abilmente i registri di dramma e commedia così da far scorrere senza momenti di stanchezza una storia ambientata tutta all’interno di un’automobile e ripresa con una piccola telecamera piazzata sul cruscotto in modo da non essere visibile da fuori. E’ inevitabile che si parli di cinema, della censura e delle storture della giustizia iraniana, come accade negli episodi dell’avvocatessa e del vicino di casa che è stato – come Panahi – in prigione, ma il regista riesce ad alleggerire l’atmosfera attorno all’argomento utilizzando la figura del venditore di film proibiti in Iran (‘sono tutti belli’ dice l’autore a un giovane fan) e, soprattutto, la lingua tagliente della simpaticissima nipotina alla quale è affidato l’elenco delle regole della censura insegnatele a scuola. La ragazzina, difatti, segue un corso di cinematografia e realizza con la macchina fotografica una sorta di film nel film tempestando di domande lo zio sulla settima arte tra un cliente e l’altro: Panahi, con la sua faccia tonda che ricorda un po’ Joe Pesci, riserva a lei risposte misurate che si riflettono nello sguardo bonario per i ‘clienti’ senza scomporsi mai troppo anche negli episodi più tragicomici, come quello del ferito che, pensando di morire, si mette a dettare il proprio testamento ad alta voce oppure quuando due sorelle e il loro preziosissimo pesce rosso divengono vittime dell’inesperienza dell’improvvisato tassista. Il brusco finale riporta lo spettatore alla realtà e al dubbio – comuni ladri o poliziotti alle calcagna? – ma non può far dimenticare che, tra gli altri suoi pregi, questo è in gran parte un film di donne tanto che ai personaggi femminili, a partire dall’insegnante nella prima scena che discute di pena di morte, sono riservate le battute più impegnative e ricche di saggezza nei confronti della vita in un Paese che le discrimina pesantemente. Così, se l’idea e il soggetto non possono certo dirsi nuovi, la difficoltà di realizzazione a cui si combina comunque un tono lieve che evita con cura di piangersi addosso fanno di questo film un’opera non solo significativa, ma anche assai godibile, dotata com’è di una scansione interiore alla quale è piacevole lasciarsi andare: forse il risultato complessivo non è tale da giustificare appieno l’Orso d’oro di Berlino anche al dilà della scelta ‘politica’, però è anche vero che questo è un lavoro politico sebbene realizzato in modo che non se ne senta il peso.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a catcarlo »
[ - ] lascia un commento a catcarlo »
|
|
d'accordo? |
|
riccardo tavani
|
venerdì 25 novembre 2016
|
il cinema come pelle dell'umanità sotto la dittatu
|
|
|
|
Jafar Panahi è stato condannato dai tribunali iraniani a 20 di proibizione a girare film, scrivere copioni e rilasciare interviste, pena la detenzione a 6 anni di prigione. Panahi nelle galere del suo paese già c’è stato e in esse ha subito anche botte e maltrattamenti vari. Nonostante questo continua a fare film, trovando sempre il modo di aggirare la censura e il fiato degli agenti che lo marcano strettamente. Anzi, aggirare la censura, la repressione, le minacce è ormai diventato la cifra del suo stile di vita e d’arte. Lo dimostra con questo Taxi Teheran, meritatissimo Orso D’Oro al Festival di Berlino 2014, mettendoci non solo la firma come regista ma anche la faccia come attore.
[+]
Jafar Panahi è stato condannato dai tribunali iraniani a 20 di proibizione a girare film, scrivere copioni e rilasciare interviste, pena la detenzione a 6 anni di prigione. Panahi nelle galere del suo paese già c’è stato e in esse ha subito anche botte e maltrattamenti vari. Nonostante questo continua a fare film, trovando sempre il modo di aggirare la censura e il fiato degli agenti che lo marcano strettamente. Anzi, aggirare la censura, la repressione, le minacce è ormai diventato la cifra del suo stile di vita e d’arte. Lo dimostra con questo Taxi Teheran, meritatissimo Orso D’Oro al Festival di Berlino 2014, mettendoci non solo la firma come regista ma anche la faccia come attore. Panahi s’infila in un taxi giallo come autista e comincia a girare la città e il film, facendo salire a bordo persone, le quali, con le loro vicende umane, riflettono la realtà della dittatura che incombe anche nei minimi gesti e parole della quotidianità. C’è da precisare che anche tutti coloro che hanno partecipato al film e appaiano sullo schermo, rischiano seriamente la repressione e per questo i loro nomi sono omessi nei titoli di coda.
La struttura drammatica del film eleva la proibizione cui è costretto a cifra stilistica, fondata sulla massima semplicità e rigore narrativo. La scena si svolge – e non può essere diversamente – solo dentro il taxi o a pochi metri attorno a esso. Nei dialoghi tra il taxista e i suoi passeggeri-attori emergono la pervasività e l’assurdità delle regole cui devono sottostare le persone e il continuo ricorso a stratagemmi per aggirarle. In questo senso il film stesso è davvero un personaggio della normale vita quotidiana degli iraniani, costretto com’è a ricorrere a espedienti per esprimersi attraverso l’immagine, la parola, il comportamento. Questa è la vera genialità dell’opera: essere la carne e la pelle stessa delle persone, delle vicende, delle realtà che mette in scena.
Panahi metta a tema narrativo anche la diffusione capillare dei media tecnologici di registrazione acustica e visiva: cellulari, tablet, macchinette fotografiche digitali. Attraverso il dialogo, ironicamente pungente, con una sua nipote adolescente, il regista svolge una vera lezione, rivolta a tutti, d’impegno cinematografico quotidiano, spiegando come si può beffare la censura o far emergere, anche da normali scene di strada, le imposizioni repressive della dittatura. Il cinema, non solo quello di Panahi, non può essere fermato, perché ormai le sue possibilità di espressione sono incapsulate dentro i minimi congegni della tecnologia contemporanea (e lo saranno sempre di più), dalla quale l’Iran non può certo isolarsi, pena la castrazione del suo stesso sviluppo e ruolo strategico sulla scena del mondo. Così come un passeggero può riprendere con il telefonino un uomo ferito caricato sul taxi per portarlo all’ospedale, chiunque può riprendere una scena di repressione all’angolo di una via, e, anzi – questo è l’invito silenziosamente implicito – portare la scena al regista, che la riverserà e monterà insieme ad altre, per mostrarla al mondo.
Sosteniamolo questo maestro del cinema, lo merita in tutti i sensi, e quello che ci offre – come artista e persona – non è certo poco.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a riccardo tavani »
[ - ] lascia un commento a riccardo tavani »
|
|
d'accordo? |
|
fabiofeli
|
martedì 8 settembre 2015
|
fare cinema e indossare una cravatta non è reato
|
|
|
|
Nonostante il divieto di girare film, Jafar Panahi manda alla Berlinale Taxi Teheran e vince meritatamente l'orso d'argento. Si arricchisce la collana delle opere del regista iraniano: arrivate in Italia: "il palloncino bianco", "Il cerchio", "Lo specchio", "Oro rosso" e "offside"; storie delicate i primi due, cupi il terzo e il quarto, apparentemente frivolo il quinto, con una ragazza che ama il calcio e non può vedere la partita allo stadio - fatidico spareggio dell'Iran contro l'Irlanda per accedere alla fase finale del campionato del mondo del 2002- perché non è accompagnata da un congiunto di sesso maschile. Le vicende processuali persecutorie vietano a Panahi di filmare. Ma nella epoca attuale ormai si fanno film con tanti strumenti e li si può scaricare in una semplice chiavetta.
[+]
Nonostante il divieto di girare film, Jafar Panahi manda alla Berlinale Taxi Teheran e vince meritatamente l'orso d'argento. Si arricchisce la collana delle opere del regista iraniano: arrivate in Italia: "il palloncino bianco", "Il cerchio", "Lo specchio", "Oro rosso" e "offside"; storie delicate i primi due, cupi il terzo e il quarto, apparentemente frivolo il quinto, con una ragazza che ama il calcio e non può vedere la partita allo stadio - fatidico spareggio dell'Iran contro l'Irlanda per accedere alla fase finale del campionato del mondo del 2002- perché non è accompagnata da un congiunto di sesso maschile. Le vicende processuali persecutorie vietano a Panahi di filmare. Ma nella epoca attuale ormai si fanno film con tanti strumenti e li si può scaricare in una semplice chiavetta. Un divieto stupidamente liberticida, quindi. Come quello che non permette di portare una cravatta. Basta un taxi con tanti personaggi che salgono e scendono per girare un ottimo film con un lungo piano-sequenza. Le chiavi da cercare sono il personaggio della nipotina del regista che legge i divieti integralisti sul quaderno di scuola e la lezione di Panahi allo studente aspirante regista su un buon soggetto, subito confezionato nella pellicola. Praticamente tutti i clienti del taxi trasgrediscono i divieti con azioni normalissime in altri paesi. E si espongono in prima persona tutti gli attori del film. Una menzione particolare va alla nipotina del regista, che ha ritirato il premio a Berlino. La sua vivacità e spontaneità ricorda la protagonista dei primi due film citati. Ma che il film non è un gioco ce lo fa capire la scena finale con la polizia al lavoro per cercare prove di reato. Il film è ironico e divertente. Da non mancare anche se pure questa volta non rappresenterà il cinema iraniano al concorso dei premi Oscar, come è accaduto per "Oro rosso", prescelto e poi ritirato.
FabioFeli
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabiofeli »
[ - ] lascia un commento a fabiofeli »
|
|
d'accordo? |
|
|