Taxi Teheran |
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Un film di Jafar Panahi.
Con Jafar Panahi
Titolo originale Taksojuht.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 82 min.
- Iran 2015.
- Cinema
uscita giovedì 27 agosto 2015.
MYMONETRO
Taxi Teheran
valutazione media:
3,61
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un taxi che si chiama coraggiodi nikipiFeedback: 221 | altri commenti e recensioni di nikipi |
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domenica 30 agosto 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Antefatto: J.Panahi, il regista iraniano che la Sharia ha condannato a venti anni (venti!) di inattività se non vuole andare in prigione, ha trovato l’escamotage di interpretare il ruolo di un autista di taxi, adibito a set cinematografico, e di filmare col cellulare i vari tipi umani che imbarca. Il racconto dei racconti è accompagnato dal sorriso mite e l’imponente testa crinuta di J.P. e coadiuvato dalla sua disponibilità ad accogliere e ascoltare i “passeggeri”. Sfilano così, tra gli altri, un borseggiatore inflessibile giustizialista, una maestra coraggiosamente pedagogica, due anziane donne che credono nella magia dei numeri, un affaccendato distributore porta-a-porta di film proibiti dalla legge islamica, e una petulante "nipotina" del regista (che si inserisce a pieno titolo nella serie dei bravissimi bambini che recitano nei film iraniani) la quale, nell’implacabile volontà di girare un film per la scuola, sembra - per la determinazione e il rigore etico che la anima - raccogliere l’insegnamento del celebre “zio”. Attraverso lo schema di storie che si affiancano l’una all’altra, affiora la violenza delle istituzioni con l’accenno agli interrogatori con cui hanno torchiato l’autore, la persistenza di una cultura arcaica e anti-razionale che sopravvive nel Paese, e l’indottrinamento ottundente perseguito dalla scuola. Lasciato incustodito il taxi per andare a restituire un portafoglio dimenticato da una passeggera, due giovanotti, irriconoscibili sotto minacciosi caschi neri, rubano dall'auto il cellulare usato per le riprese – ripromettendosi di tornare a prendere la sim card che ne permetterà l’identificazione – e lo schermo si oscura bruscamente. L’assenza di titoli di coda (per scongiurare vendette della Sharia sui partecipanti al film), e lo schermo improvvisamente nero esemplificano in modo incisivo e sgomentante ciò che la condanna significa per Panahi e per noi spettatori: un buio vuoto e muto.
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